"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 26 dicembre 2010, Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, festa

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 2,13-15.19-23.
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,
dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto
e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino».
Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele.
Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea
e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 35 pagina 221.
Il mio spirito vede la seguente scena.
È notte. Giuseppe dorme sul suo lettuccio nella minuscola stanzetta. Un placido sonno di chi si ri­posa dal molto lavoro compiuto con onestà e solerzia.
Lo vedo nell’oscurità dell’ambiente, che è appena rotta da un filo di luce lunare che penetra da una fessura dell’impannata lasciata accostata ma non serrata del tutto, come se Giuseppe avesse caldo nella piccola stanza o volesse avere quel filo di luce per sapersi regolare all’alba e alzarsi solle­cito. È volto su un fianco e nel sonno sorride a chissà quale visione che vede nel sogno.
Ma il sorriso si cambia in affanno. Sospira profondamente, come fa chi è preso da un incubo, e si sveglia con un soprassalto. Si siede sul letto, si stropiccia gli occhi e si guarda intorno. Guarda verso la finestrella da cui viene quel filo di luce. È notte alta, ma egli afferra la veste stesa ai piedi del letto e, sempre stando seduto sul letto, se la infila sulla tunica bianca dalle corte maniche che aveva sulla pelle. Scosta le coperture, mette i piedi a terra e cerca i sandali. Se li mette e allaccia. Si alza in pie­di e si dirige alla porta di fronte al suo letto, non a quella che ha al fianco dello stesso e che conduce nello stanzone dove furono accolti i Magi.
Picchia piano, appena un tic-tic, con la punta delle dita. Deve sentire che lo si invita ad entrare, perché apre con attenzione la porta e la riaccosta senza rumore. Prima di andare alla porta ha ac­ceso un piccolo lume ad olio, ad una sola fiamma, e si fa perciò lume con questo. Entra. Ma in una camera, di poco più vasta della sua e nella quale vi è un basso lettino presso una cuna, vi è già un lumino che arde, e la fiammella oscillante in un angolo pare una stellina dalla luce tenue e dorata che permetta di vedere senza dar noia a chi dorma.
Ma Maria non dorme. È inginocchiata presso la cuna nella sua veste chiara e prega, vegliando Ge­sù che dorme tranquillo, Gesù che ha l’età che gli vidi nella visione dei Magi. Un infante di circa un anno, bello, roseo e biondo, che dorme con la testolina ricciuta affondata nel guanciale e una manina serrata a pugno sotto la gola.
«Non dormi?», chiede Giuseppe a voce bassa e stupita. «Perché? Gesù non sta bene?».
«Oh, no! Egli sta bene. Io prego. Ma per certo che poi dormirò. Perché sei venuto, Giuseppe?». Maria parla rimanendo inginocchiata dove era.
Giuseppe parla a voce bassissima per non svegliare il Bambino, ma concitata. «Bisogna andare via subito di qui. Ma subito. Prepara il cofano e un sacco con quanto puoi mettervi. Io preparerò il resto, porterò più che posso… All’alba fuggiremo. Lo farei anche prima, ma devo parlare alla padrona di casa…».
«Ma perché questa fuga?».
«Ti dirò poi meglio. È per Gesù. Un angelo me l’ha detto: “Prendi il Fanciullo e la Madre e fuggi in Egitto”. Non perdere tempo. Io vado a preparare ciò che posso».
Non c’è bisogno di dire a Maria di non perdere tempo. Appena ha sentito parlare di angelo, di Ge­sù e di fuga, ha compreso che vi è un pericolo per la sua Creatura ed è balzata in piedi più bianca in viso di una cera, tenendosi una mano sul cuore, angosciata. E ha subito cominciato a muoversi lesta e leggera ed a sistemare gli indumenti nel cofano e in un ampio sacco, che ha steso sul suo letto ancora intatto. È certo angosciata, ma non perde la testa e fa le cose sollecitamente ma con ordine. Ogni tanto, passando presso la cuna, guarda il Bambino che dorme ignaro.
«Hai bisogno di aiuto?», chiede di tanto in tanto Giuseppe mettendo il capo dentro la porta rima­sta socchiusa.
«No, grazie», risponde sempre Maria.
Solamente quando il sacco è pieno, e deve essere pesante, chiama Giuseppe perché l’aiuti a chiu­derlo e a levarlo dal letto. Ma Giuseppe non vuole essere aiutato e fa da sé, prendendo il lungo in­volto e portandolo nella sua cameretta.
«Prendo anche le coperte di lana?», chiede Maria.
«Più che puoi prendi. Il resto lo perderemo. Ma più che puoi prendilo. Ci farà comodo perché… perché dobbiamo stare via molto, Maria!…». Giuseppe è molto addolorato nel dire questo. E Maria si può pensare come è. Piega sospirando le coltri sue e di Giuseppe, e questi le lega con una fune. «Lasceremo i trapunti e le stuoie», dice mentre lega le coltri. «Anche se prendo tre asinelli, non pos­so gravarli troppo. Dobbiamo fare lunga e disagevole via, parte fra montagne e parte nel deserto. Copri bene Gesù. Le notti saranno fredde, tanto nelle montagne che nel deserto. Ho preso i doni dei Magi perché ci faranno comodo laggiù. Quanto ho lo spendo tutto per comperare i due asinelli. Non possiamo rimandarli indietro e devo acquistarli. Io vado senza attendere l’alba. So dove cercarli. Tu finisci di preparare tutto». Ed esce.
Maria raccoglie ancora qualche oggetto, poi, dopo avere osservato Gesù, esce e torna con delle piccole vesti che paiono ancora umide, forse lavate nel giorno avanti. Le piega e avvolge in un telo e le unisce alle altre cose. Non c’è più nulla.
Si volge intorno e vede in un angolo un giocattolo di Gesù: una pecorina intagliata nel legno. La prende con un singhiozzo e la bacia. Il legno porta le tracce dei dentini di Gesù, e le orecchie della pecorina sono tutte morsicchiate. Maria carezza quell’oggetto senza valore, di un povero legno chia­ro, ma di tanto valore per Lei, perché le dice l’affetto di Giuseppe per Gesù e le parla del suo Bambi­no. Mette anche quello presso le altre cose sul cofano chiuso.
Ora non c’è proprio più nulla. Solo Gesù nella sua cunella. Maria pensa che sia bene preparare anche il Bambino. Va alla cuna e la scuote un poco per svegliare il Piccino. Ma Egli ha solo un breve mugolio e si volta, continuando a dormire. Maria lo carezza piano sui ricciolini. Gesù apre la bocchina ad uno sbadiglio. Maria si curva e lo bacia sulla gota. Gesù finisce di destarsi. Apre gli occhi. Vede la Mamma e sorride, e tende le manine al seno di Lei.
«Sì, amore della tua Mamma. Sì, il latte. Prima dell’ora solita… Ma Tu sei sempre pronto a suc­chiare la tua Mamma, agnellino mio santo!».
Gesù ride e scherza agitando i piedini fuori delle coperte, agitando le braccia con una di quelle allegrie degli infanti, così belle a vedersi. Punta i piedini contro lo stomaco della Mamma, si curva ad arco e appoggia anche il capino biondo sul seno di Lei, e poi si butta indietro e ride con le manine afferrate ai cordoncini che stringono al collo la veste di Maria, tentando di aprirla. Nella sua camicina di lino Egli appare bellissimo, grassottello, roseo come un fiore.
Maria si curva e, stando così, attraverso la cuna come una protezione, piange e sorride insieme, mentre il Bambino cinguetta quelle parole, che non son parole, di tutti i bambinelli e nelle quali è netta e ripetuta la parola «mamma». La guarda, stupito di vederla piangere. Stende una manina verso le righe lucide del pianto e se la bagna nella carezza. E, vezzoso, si riappoggia al seno mater­no e ci si raccoglie tutto contro, carezzandolo con la manina.
Maria lo bacia fra i capelli e se lo prende in collo, si siede, lo veste. Ecco, la vestina di lana è infi­lata, ed ecco messi i sandaletti minuscoli. Gli dà il latte e Gesù succhia avido il buon latte della sua Mamma e, quando gli sembra che da destra ne venga più poco, va a cercare a sinistra, e ride nel farlo, guardando da sotto in su la Mamma. Poi si addormenta da capo sul seno di Lei, la gotina rosea e tonda ancora contro la mammella bianca e tonda.
Maria si alza piano piano e lo depone sulla trapunta del suo letto. Lo copre con il suo mantello. Torna alla cuna e piega le piccole coperture. Riflette se sia bene prendere anche il materassino. È tanto piccino! Lo si può prendere. Lo mette, insieme al cuscino, presso le cose già messe sul cofano. E piange sulla cuna vuota, povera Mamma, perseguitata nella sua Creatura.
Torna Giuseppe. «Sei pronta? È pronto Gesù? Hai preso le sue coperte, il suo lettino? Non possia­mo portare la cuna, ma almeno Egli abbia il suo materassino, povero Piccino che cercano a morte!».
«Giuseppe!». Maria ha un grido mentre si afferra al braccio di Giuseppe.
«Sì, Maria, a morte. Erode lo vuole morto… perché ne ha paura… per il suo regno umano ha paura di questo Innocente, quella belva immonda. Cosa farà quando capirà che Egli è fuggito, non so. Ma noi saremo lontani, ormai. Non credo che si vendicherà cercandolo sino in Galilea. Già sarebbe troppo difficile per lui scoprire che noi siamo galilei e tanto meno di Nazareth e chi siamo, di preciso. A meno che Satana non lo aiuti per ringraziarlo d’essergli servo fedele. Ma… se ciò avvenisse… Dio ci aiuterà lo stesso. Non piangere, Maria. Vederti piangere mi è un dolore ben più forte di quello di dover andare in esilio».
«Perdonami, Giuseppe! Non è per me che piango, né per il poco bene che perdo. Piango per te… Hai già dovuto sacrificarti tanto! Ed ora torni a non avere più clienti, né casa. Quanto ti costo, Giu­seppe!».
«Quanto? No, Maria. Non mi costi. Mi consoli. Sempre. Non pensare al domani. Abbiamo le ric­chezze dei Magi. Ci aiuteranno nei primi tempi. Poi troverò lavoro. Un operaio onesto e capace si fa subito strada. Hai visto qui. Non mi bastano le ore al lavoro che ho».
«Lo so. Ma chi ti solleverà dalla nostalgia?».
«E tu, chi ti solleverà dalla nostalgia di quella casa che ti è così cara?».
«Gesù. Avendo Lui, ho ancora quello che là ho avuto».
«E io, avendo Gesù, ho la patria, sperata fino a pochi mesi or sono. Ho il mio Dio. Lo vedi che non perdo nulla di ciò che mi è caro sopra ogni cosa. Basta salvare Gesù e allora tutto ci resta. Anche non dovessimo più vedere questo cielo, queste campagne, né quelle ancor più care di Galilea, avremo sempre tutto, perché avremo Lui. Vieni, Maria, ché l’alba si inizia. È tempo di salutare l’ospite e di caricare la roba nostra. Tutto andrà bene».
Maria si alza in piedi, ubbidiente. Si avvolge nel mantello, mentre Giuseppe fa un ultimo fagotto ed esce carico di quello.
Maria solleva delicatamente il Bambino e lo avvolge in uno scialle e se lo stringe al cuore. Guarda le pareti che l’hanno ospitata per dei mesi e con una mano le sfiora. Beata casa, che ha meritato di essere amata e benedetta da Maria!
Esce. Traversa la stanzetta che era di Giuseppe, entra nello stanzone. La padrona di casa, in lacri­me, la bacia e saluta e, sollevando un lembo dello scialle, bacia sulla fronte il Bambino, che dorme tranquillo. Scendono per la scaletta esterna.
Vi è un primo chiarore d’alba che dà appena modo di vedere. Nella poca luce si vedono tre soma­relli. Il più robusto, carico delle masserizie. Gli altri, con la sella. Giuseppe si dà da fare ad assicura­re per bene cofano e involti sul basto del primo. Vedo legati a mazzo, e posti sulla cima del sacco, i suoi arnesi da falegname.
Ancora saluti e lacrime e poi Maria monta sul suo ciuchino, mentre la padrona tiene Gesù in collo e lo bacia ancora, poi lo rende a Maria. Monta anche Giuseppe, che ha legato il suo asino con l’asino carico dei bagagli per esser libero di tenere a cavezza l’asinello di Maria.
La fuga ha inizio mentre Betlemme, che sogna ancora la fantasmagorica scena dei Magi, dorme quieta, inconscia di quanto l’attende.
E la visione cessa così.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Sabato 25 dicembre 2010, Natale del Signore: Messa del giorno, solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1, 1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 244 pagina 109.
(...) 2Giovanni lascia gli apostoli per venire ad aiutare le donne in un passaggio scabroso su cui i sandali scivolano, molto più che il sentiero è sparso di pietre lisce, come scaglie di ardesia rossastra, e di un’erbetta lucida e dura, molto traditrici per il piede che su esse non ha presa. Lo Zelote lo imita e appoggiandosi a loro le donne superano il punto pericoloso.
«È un poco faticosa questa via. Ma è senza polvere e senza folla. Ed è più breve» dice lo Zelote.
«La conosco, Simone» dice Maria. «Venni a quel paesello a mezza costa, con i nipoti, quando Gesù fu cacciato da Nazaret» dice Maria Ss. e sospira.
«Però è bello da qui il mondo. Ecco là il Tabor e l’Hermon, e a settentrione i monti d’Arbela, e là in fondo il grande Hermon. Peccato che non si veda il mare come si vede dal Tabor» dice Giovanni.
«Ci sei stato?».
«Sì, col Maestro».
«Giovanni, col suo amore per l’infinito, ci ha ottenuto una grande letizia, perché Gesù, là in cima, parlò di Dio con un rapimento mai udito. E poi, dopo aver avuto già tanto, ottenemmo una grande conversione. Lo conoscerai anche tu, Maria. E ti si fortificherà lo spirito più ancora che già non sia. Trovammo un uomo indurito nell’odio, abbrutito dai rimorsi, e Gesù ne fece uno che non esito a dire che sarà un grande discepolo. Come te, Maria. 3Perché, credi pure che è verità ciò che ti dico, noi peccatori siamo i più cedevoli al Bene che ci prende, perché sentiamo il bisogno di essere perdonati anche da noi stessi» dice lo Zelote.
«È vero. Ma tu sei molto buono, dicendo “noi peccatori”. Tu sei stato un disgraziato, non un peccatore».
«Tutti lo siamo, chi più chi meno, e chi crede di esserlo meno è il più soggetto a divenirlo se pure non lo è già. Tutti lo siamo. Ma i più grandi peccatori che si convertono sono quelli che sanno essere assoluti nel Bene come lo furono nel male».
«Il tuo conforto mi solleva. Sei sempre stato un padre per i figli di Teofilo, tu».
«E come un padre giubilo di avervi tutti e tre amici di Gesù».
«Dove lo avete trovato quel discepolo gran peccatore?».
«A Endor, Maria. Simone vuol dare al mio desiderio di vedere il mare il merito di tante cose belle e buone. Ma se Giovanni l’anziano è venuto a Gesù non è per merito di Giovanni lo stolto. È per merito di Giuda di Simone» dice sorridendo il figlio di Zebedeo.
«Lo ha convertito?» chiede dubbiosa Marta.
«No. Ma ha voluto andare ad Endor e…».
«Sì, per vedere l’antro della maga... È un uomo molto strano Giuda di Simone… Bisogna prenderlo come è… Già!… E Giovanni di Endor ci guidò alla caverna e poi rimase con noi. Ma, figlio mio, sempre tuo è il merito, perché senza il tuo desiderio di infinito non avremmo fatto quella via e non sarebbe venuto a Giuda di Simone il desiderio di andare a quella strana ricerca».
4«Mi piacerebbe sapere cosa ha detto Gesù sul Tabor… come mi piacerebbe riconoscere il monte dove lo vidi» sospira Maria Maddalena.
«Il monte è quello su cui pare ora accendersi un sole per quel piccolo stagno, usato dalle greggi, che raccoglie le acque sorgive. Noi eravamo più su, dove la cima pare spaccata come un largo bidente che voglia infilzare le nuvole e portarle altrove. Per il discorso di Gesù, credo che Giovanni te lo può dire».
«Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?».
«Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene».
Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù.
«Egli disse:
“Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’. Pensate il caos dell’Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società, che ha dato agli uomini la terra e quanto contiene e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Né come caos informe né come cosa ordinata. Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi.
Ma, pensatevelo sempre, non c’è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere; non c’è insetto, per piccolo e noioso che sia, che non abbia la sua ragione buona di essere. E così non c’è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è - passando dalle cose alle persone - e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattie, come non prosperità di mezzi e di salute, che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana, che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette. Ma l’occhio di Dio, ma il Pensiero senza limitazioni di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel saper credere che Dio fa tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò che fa per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare.
6Dio aveva già creato gli angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale Dio li aveva collocati, si erano ribellati e con l’animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio. Alle armoniose ragioni degli angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati.
Viva in eterno coloro che in Cielo come in terra sanno basare ogni loro pensiero su un presupposto di ottimismo pieno di luce! Mai sbaglieranno completamente, anche se i fatti li smentiranno. Non sbaglieranno almeno per quanto riguarda il loro spirito, il quale continuerà a credere, a sperare, ad amare soprattutto Dio e prossimo, rimanendo perciò in Dio fino ai secoli dei secoli!
Il Paradiso era già stato liberato da questi orgogliosi pessimisti, i quali vedevano nero anche nelle luminosissime opere di Dio, così come in terra i pessimisti vedono nero anche nelle più schiette e solari azioni dell’uomo, e per volersi separare in una torre d’avorio, credendosi gli unici perfetti, si autocondannano ad una oscura galera, la cui via termina nelle tenebre del regno infero, il regno della Negazione. Perché il pessimismo è Negazione esso pure.
7Dio fece dunque il Creato. E come per comprendere il mistero glorioso del nostro Essere uno e trino bisogna saper credere e vedere che fin dal principio il Verbo era, ed era presso Dio, uniti dall’Amore perfettissimo che solo possono effondere due che Dèi sono pur essendo Uno, così ugualmente, per vedere il creato per quello che è, occorre guardarlo con occhi di fede, perché nel suo essere, così come un figlio porta l’incancellabile riflesso del padre, così il creato ha in sé l’incancellabile riflesso del suo Creatore. Vedremo allora che anche qui in principio fu il cielo e la terra, poi fu la luce, paragonabile all’amore. Perché la luce è letizia così come lo è l’amore. E la luce è l’atmosfera del Paradiso. E l’incorporeo Essere che è Dio, Luce è, ed è Padre di ogni luce intellettiva, affettiva, materiale, spirituale, così in Cielo come in terra.
In principio fu il cielo e la terra, e per essi fu data la luce e per la luce tutte le cose furono fatte. E come nel Cielo altissimo furono separati gli spiriti di luce da quelli di tenebre, così nel Creato furono separate le tenebre dalla luce e fu fatto il Giorno e la Notte, e il primo giorno del creato fu, col suo mattino e la sua sera, col suo meriggio e la sua mezzanotte. E quando il sorriso di Dio, la Luce, tornò dopo la notte, ecco che la mano di Dio, il suo potente volere, si stese sulla terra informe e vuota, si stese sul cielo su cui vagavano le acque, uno degli elementi liberi nel caos, e volle che il firmamento separasse il disordinato errare delle acque fra cielo e terra, acciò fosse velario ai fulgori paradisiaci, misura alle acque superiori, perché sul ribollire dei metalli e degli atomi non scendessero i diluvi a dilavare e disgregare ciò che Dio riuniva.
L’ordine era stabilito nel cielo. E l’ordine fu sulla terra per il comando che Dio dette alle acque sparse sulla terra. E il mare fu. Eccolo. Su esso, come sul firmamento, è scritto. ‘Dio è’. Quale che sia l’intellettualità di un uomo e la sua fede o la sua non fede, davanti a questa pagina, in cui brilla una particella dell’infinità che è Dio, in cui è testimoniata la sua potenza - perché nessuna potenza umana né nessun assestamento naturale di elementi possono ripetere, seppure in minima misura, un simile prodigio - è obbligato a credere. A credere non solo alla potenza ma alla bontà del Signore, che per quel mare dà cibo e vie all’uomo, dà sali salutari, dà tempera al sole e spazio ai venti, dà semi alle terre l’una dall’altra lontane, dà voce di tempeste perché richiamino la formica che è l’uomo all’Infinito suo Padre, dà modo di elevarsi, contemplando più alte visioni, a più alte sfere.
8Tre sono le cose che più parlano di Dio nel creato che è tutto testimonianza di Lui. La Luce, il firmamento, il mare. L’ordine astrale e meteorologico, riflesso dell’Ordine divino; la luce che solo un Dio poteva fare; il mare, la potenza che solo Dio, dopo averla creata, poteva mettere in saldi confini, dandole moto e voce, senza che per questo, come turbolento elemento di disordine, sia danno alla terra che lo sopporta sulla sua superficie.
Penetrate il mistero della luce che mai si consuma. Alzate lo sguardo al firmamento dove ridono le stelle e i pianeti. Abbassate lo sguardo al mare. Vedetelo per quello che è. Non separazione, ma ponte fra i popoli che sono sulle altre sponde, invisibili, ignote anche, ma che bisogna credere che ci siano solo perché è questo mare. Dio non fa nulla di inutile. Non avrebbe perciò fatto questa infinità se essa non avesse a limite, là, oltre l’orizzonte che ci impedisce di vedere, altre terre, popolate da altri uomini, venuti tutti da un unico Dio, portati là per volere di Dio, a popolare continenti e regioni, da tempeste e correnti. E questo mare porta nei suoi flutti, nelle voci delle sue onde e delle sue maree, appelli lontani. Tramite è, non separazione.
Quell’ansia che dà dolce angoscia a Giovanni è questo appello di fratelli lontani. Più lo spirito diviene dominatore della carne e più è capace di sentire le voci degli spiriti che sono uniti anche se divisi, così come i rami sgorgati da un’unica radice sono uniti anche se l’uno neppur vede più l’altro perché un ostacolo si frappone fra essi.
Guardate il mare con occhi di luce. Vi vedrete terre e terre sparse sulle sue spiagge, ai suoi limiti, e nell’interno terre e terre ancora, e da tutte giunge un grido: ‘Venite! Portateci la Luce che voi possedete. Portateci la Vita che vi viene data. Dite al nostro cuore la parola che ignoriamo ma che sappiamo essere la base dell’universo: amore. Insegnateci a leggere la parola che vediamo tracciata sulle pagine infinite del firmamento e del mare: Dio. Illuminateci perché sentiamo che una luce vi è più vera ancora di quella che arrossa i cieli e fa di gemme il mare. Date alle nostre tenebre la Luce che Dio vi ha data dopo averla generata col suo amore, e l’ha data a voi ma per tutti, così come la dette agli astri ma perché la dessero alle terre. Voi gli astri, noi la polvere. Ma formateci così come il Creatore creò con la polvere la terra perché l’uomo la popolasse adorandolo ora e sempre, finché venga l’ora che più terra non sia, ma venga il Regno. Il Regno della luce, dell’amore, della pace, così come a voi il Dio vivente ha detto che sarà, perché noi pure siamo figli di questo Dio e chiediamo di conoscere il Padre nostro’.
E per vie di infinito sappiate andare. Senza timori e senza sdegni. Incontro a quelli che chiamano e piangono. Verso quelli che vi daranno anche dolore perché sentono Dio ma non sanno adorare Dio, ma che pure vi daranno la gloria perché grandi sarete quanto più possedendo l’amore, lo saprete dare, portando alla Verità i popoli che attendono”.
9Gesù ha detto così, molto meglio di come io ho detto. Ma almeno questo è il suo concetto».
«Giovanni, tu hai dato una esatta ripetizione del Maestro. Solo hai lasciato ciò che disse del tuo potere di capire Iddio per la tua generosità di donarti. Tu sei buono, Giovanni. Il migliore fra noi! Abbiamo fatto la via senza avvedercene. Ecco là Nazaret sulle sue colline. Il Maestro ci guarda e ci sorride. Raggiungiamolo solleciti per entrare in città uniti».
«Io ti ringrazio, Giovanni» dice la Madonna. «Hai fatto un grande regalo alla Mamma».
«Io pure. Anche alla povera Maria tu hai aperto orizzonti infiniti…».
«Di che parlavate tanto?» chiede Gesù ai sopraggiungenti.
«Giovanni ci ha ripetuto il tuo discorso del Tabor. Perfettamente. E ne fummo beati».
«Sono contento che la Madre lo abbia udito, Lei che porta un nome in cui il mare non è estraneo e possiede una carità vasta come il mare».
«Figlio mio, Tu la possiedi come Uomo, e nulla ancora è rispetto alla tua infinita carità di Verbo Divino. Mio dolce Gesù!».
«Vieni, Mamma, al mio fianco. Come quando tornavamo da Cana o da Gerusalemme quando ero bambino, tu mi tenevi per mano».
E si guardano col loro sguardo d’amore.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 19 dicembre 2010, IV Domenica di Avvento - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto.
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore.
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino.
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto.
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino.
Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.”
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora.
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?”
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce.
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.”
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...”
“Oh! no! Non hai mancato!”
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.”
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.”
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?”
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.”
Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe.
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?”
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.”
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...”
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”.
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...”
“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”.
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui.


Dice Maria:
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo.
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo.
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore.
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto?
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole.
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui.
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende.
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/