"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 31 Dicembre 2017, Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, festa

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 2,22-40.
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 32 pagina 190 - CD 1, traccia 32
Vedo partire da una casetta modestissima una coppia di persone. Da una scaletta esterna scende una giovanissima madre con un bambino fra le braccia, avvolto in un panno bianco.Riconosco questa Mamma nostra. È sempre Lei, pallida e bionda, snella e tanto gentile in ogni suo atto. È vestita di bianco, col manto in cui si avvolge di un pallido azzurro. Sul capo un velo bianco. Porta con tanta cura il suo bambino.Ai piedi della scaletta l’attende Giuseppe presso ad un ciuchino bigio. Giuseppe è vestito tutto di color marrone chiaro, sia nella tunica che nel mantello. Guarda Maria e le sorride. Quando Maria giunge presso il ciuchino, Giuseppe si passa la briglia dell’asinello sul braccio sinistro e prende per un momento il Bambino, che dorme tranquillo, per permettere a Maria di accomodarsi meglio sulla sella del ciuchino. Poi le rende Gesù e si incamminano. Giuseppe cammina al fianco di Maria, tenendo sempre per la briglia il somarello e facendo attenzione che questo vada dritto e senza inciampi. Maria tiene in grembo Gesù e, come per tema che il freddo gli posa nuocere, gli stende addosso un lembo del suo mantello. Parlano pochissimo i due sposi, ma si sorridono sovente. La strada, che non è un modello stradale, si snoda fra una campagna che la stagione fa nuda. Qualche altro viaggiatore si scontra coi due o li raggiunge, ma sono rari.Poi ecco delle case che si mostrano e delle mura che serrano una città. I due sposi entrano in essa da una porta e comincia il percorso sul selciato (molto sconnesso) cittadino. Il cammino diviene molto più difficile, sia perché vi è del traffico che fa fermare tutti i momenti il ciuchino, sia perché lo stesso sulle pietre e sulle buche che sostituiscono le pietre mancanti ha continue scosse, che disturbano Maria e il Bambino.La strada non è piana. Sale, sebbene lievemente. È stretta fra case alte dalle porticine strette e basse e dalle rade finestre sulla via. In alto il cielo si affaccia con tante fettine di azzurro fra case e case, anzi fra terrazze e terrazze. In basso sulla via vi è gente e vocio, e si incrociano altre persone a piedi, o su somarelli, o conducenti somarelli carichi, e altre dietro ad unaingombrante carovana di cammelli. Ad un certo punto passa con molto rumore di zoccoli e di armi una pattuglia di legionari romani, che scompaiono oltre un arco posto a cavalcione di una via molto stretta e sassosa.Giuseppe piega a sinistra e prende una via più larga e più bella. Vedo la cinta merlata, che già conosco, in fondo ad essa.Maria smonta dal ciuchino presso la porta dove è una specie di posteggio per altri somarelli. Dico «posteggio» perché è una specie di capannone, meglio, di tettoia, dove è paglia sparsa e dei paletti con degli anelli per legare i quadrupedi.Giuseppe dà alcune monete ad un ometto accorso e con esse acquista un poco di fieno, e attinge un secchio d’acqua da un pozzo rudimentale che è in un angolo, e li dà al ciuchino. Poi raggiunge Maria ed ambedue entrano nel recinto del Tempio. Si dirigono prima verso un porticato, dove vi sono quelli che Gesù poi fustigò egregiamente: i venditori di tortore e agnelli e i cambiavalute. Giuseppe acquista due colombini bianchi. Non cambia il denaro. Si capisce che ha già quello che gli occorre.Giuseppe e Maria si dirigono ad una porta laterale che ha otto gradini, come mi pare abbiano tutte le porte, quasi che il cubo del Tempio sia sopraelevato dal resto del suolo. Questa porta ha un grande atrio, come i portoni delle nostre case di città, per darle un’idea, ma più vasto e ornato. In esso vi sono a destra e a sinistra due specie di altari, ossia due costruzioni rettangolari, di cui sul principio non capisco bene lo scopo. Sembrano delle basse conche, perché l’interno è più basso dell’orlo esterno, che si sopraelevava di qualche centimetro. Non so se chiamato da Giuseppe o se venuto di suo, accorre un sacerdote. Maria offre i due poveri colombi ed io, che capisco la loro sorte, volgo altrove lo sguardo. Osservo gli ornati del pesantissimo portale, del soffitto, dell’atrio. Mi pare però di vedere, con la coda dell’occhio, che il sacerdote asperga Maria con dell’acqua. Deve essere acqua, perché non vedo macchie sul suo abito. Poi Maria, che insieme ai colombini aveva dato un mucchietto di monete al sacerdote (mi ero dimenticata di dirlo) entra con Giuseppe nel Tempio vero e proprio, accompagnata dal sacerdote. Io guardo da tutte le parti. È un luogo ornatissimo. Sculture a teste d’angeli e palme e ornati corrono sulle colonne, le pareti e il soffitto. La luce penetra da curiose finestre lunghe, strette, naturalmente senza vetri, e tagliate diagonalmente alla parete. Suppongo che sia per impedire agli acquazzoni di entrare. Maria si inoltra sino ad un certo punto. Poi si arresta. A qualche metro da Lei vi sono degli altri gradini e su questi sta un’altra specie di altare, oltre il quale vi è un’altra costruzione. Mi accorgo che credevo essere nel Tempio e invece ero in ciò che contorna il Tempio vero e proprio, ossia il Santo, oltre il quale pare chenessuno, fuorché i sacerdoti, possono entrare. Quello che io credevo Tempio non è perciò che un chiuso vestibolo, che da tre parti cinge il Tempio, dove è chiuso il Tabernacolo. Non so se mi sono spiegata per bene. Ma non sono architetto o ingegnere.Maria offre il Bambino – che si è svegliato e gira i suoi occhietti innocenti intorno con lo sguardo stupito degli infanti di pochi giorni – al sacerdote. Questo lo prende sulle braccia e lo solleva a braccia tese, volto verso il Tempio, stando contro a quella specie di altare che sta su quei gradini. Il rito è compiuto. Il Bambino viene restituito alla Mamma e il sacerdote se ne va. Vi è della gente che guarda curiosa. Fra questa si fa largo un vecchietto curvo e arrancante, che si appoggia ad un bastone. Deve essere molto vecchio, direi certo oltre gli ottant’anni. Egli si accosta a Maria e le chiede di dargli per un attimo il Piccino. Maria lo accontenta sorridendo.Simeone, che io ho sempre creduto appartenesse alla casta sacerdotale e invece è un semplice fedele, almeno a giudicare dalla veste, lo prende, lo bacia. Gesù gli sorride con la smorfietta incerta dei poppanti. Sembra che lo osservi curioso, perché il vecchietto piange e ride insieme, e le lacrime fanno tutto un ricamo di luccichii insinuandosi fra le rughe e imperlando la barba lunga e bianca, verso la quale Gesù tende le manine. È Gesù, ma è sempre un bambinello, e ciò che gli si muove davanti attira la sua attenzione e gli dà velleità di afferrare quella cosa per capire meglio cosa è. Maria e Giuseppe sorridono, e anche i presenti, che lodano la bellezza del piccino.Sento le parole del santo vecchio e vedo lo sguardo stupito di Giuseppe, quello commosso di Maria, e anche quelli della piccola folla, in parte stupita e commossa e in parte, alle parole del vecchio, presa da ilarità. Fra questi vi sono dei barbuti e tronfi sinedristi, che scuotano il capo, guardando Simeone con compatimento ironico. Lo devono pensare andato fuor di cervello per l’età. Il sorriso di Maria si spegne in un più vivo pallore quando Simeone le annuncia il dolore. Per quanto Ella sappia, questa parola le trafigge lo spirito. Si avvicina di più a Giuseppe, Maria, per confortarsi, si stringe con passione il suo Bambino al seno e beve, come anima assetata, le parole di Anna, a sua volta sopraggiunta, la quale, donna come è, ha pietà del suo soffrire e le promette che l’Eterno le addolcirà di una forza soprannaturale l’ora del dolore. «Donna, a Chi ha dato il Salvatore al suo popolo non mancherà il potere di dare il suo angelo a confortare il suo pianto. Non è mai mancato l’aiuto del Signore alle grandi donne d’Israele, e tu sei ben più di Giuditta e di Giaele. Il nostro Dio ti darà cuore di oro purissimo per resistere al mare di dolore, per cui sarai la più grande Donna della creazione, la Madre. E tu, Bambino, ricordati di me nell’ora della tua missione». E qui mi cessa la visione.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Lunedì 25 dicembre 2017, Natale del Signore: Messa del giorno, solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 244 pagina 109 - CD 4, traccia 19
(...) 2Giovanni lascia gli apostoli per venire ad aiutare le donne in un passaggio scabroso su cui i sandali scivolano, molto più che il sentiero è sparso di pietre lisce, come scaglie di ardesia rossastra, e di un’erbetta lucida e dura, molto traditrici per il piede che su esse non ha presa. Lo Zelote lo imita e appoggiandosi a loro le donne superano il punto pericoloso.
«È un poco faticosa questa via. Ma è senza polvere e senza folla. Ed è più breve» dice lo Zelote.
«La conosco, Simone» dice Maria. «Venni a quel paesello a mezza costa, con i nipoti, quando Gesù fu cacciato da Nazaret» dice Maria Ss. e sospira.
«Però è bello da qui il mondo. Ecco là il Tabor e l’Hermon, e a settentrione i monti d’Arbela, e là in fondo il grande Hermon. Peccato che non si veda il mare come si vede dal Tabor» dice Giovanni.
«Ci sei stato?».
«Sì, col Maestro».
«Giovanni, col suo amore per l’infinito, ci ha ottenuto una grande letizia, perché Gesù, là in cima, parlò di Dio con un rapimento mai udito. E poi, dopo aver avuto già tanto, ottenemmo una grande conversione. Lo conoscerai anche tu, Maria. E ti si fortificherà lo spirito più ancora che già non sia. Trovammo un uomo indurito nell’odio, abbrutito dai rimorsi, e Gesù ne fece uno che non esito a dire che sarà un grande discepolo. Come te, Maria. 3Perché, credi pure che è verità ciò che ti dico, noi peccatori siamo i più cedevoli al Bene che ci prende, perché sentiamo il bisogno di essere perdonati anche da noi stessi» dice lo Zelote.
«È vero. Ma tu sei molto buono, dicendo “noi peccatori”. Tu sei stato un disgraziato, non un peccatore».
«Tutti lo siamo, chi più chi meno, e chi crede di esserlo meno è il più soggetto a divenirlo se pure non lo è già. Tutti lo siamo. Ma i più grandi peccatori che si convertono sono quelli che sanno essere assoluti nel Bene come lo furono nel male».
«Il tuo conforto mi solleva. Sei sempre stato un padre per i figli di Teofilo, tu».
«E come un padre giubilo di avervi tutti e tre amici di Gesù».
«Dove lo avete trovato quel discepolo gran peccatore?».
«A Endor, Maria. Simone vuol dare al mio desiderio di vedere il mare il merito di tante cose belle e buone. Ma se Giovanni l’anziano è venuto a Gesù non è per merito di Giovanni lo stolto. È per merito di Giuda di Simone» dice sorridendo il figlio di Zebedeo.
«Lo ha convertito?» chiede dubbiosa Marta.
«No. Ma ha voluto andare ad Endor e…».
«Sì, per vedere l’antro della maga... È un uomo molto strano Giuda di Simone… Bisogna prenderlo come è… Già!… E Giovanni di Endor ci guidò alla caverna e poi rimase con noi. Ma, figlio mio, sempre tuo è il merito, perché senza il tuo desiderio di infinito non avremmo fatto quella via e non sarebbe venuto a Giuda di Simone il desiderio di andare a quella strana ricerca».
4«Mi piacerebbe sapere cosa ha detto Gesù sul Tabor… come mi piacerebbe riconoscere il monte dove lo vidi» sospira Maria Maddalena.
«Il monte è quello su cui pare ora accendersi un sole per quel piccolo stagno, usato dalle greggi, che raccoglie le acque sorgive. Noi eravamo più su, dove la cima pare spaccata come un largo bidente che voglia infilzare le nuvole e portarle altrove. Per il discorso di Gesù, credo che Giovanni te lo può dire».
«Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?».
«Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene».
Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù.
«Egli disse:
“Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’. Pensate il caos dell’Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società, che ha dato agli uomini la terra e quanto contiene e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Né come caos informe né come cosa ordinata. Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi.
Ma, pensatevelo sempre, non c’è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere; non c’è insetto, per piccolo e noioso che sia, che non abbia la sua ragione buona di essere. E così non c’è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è - passando dalle cose alle persone - e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattie, come non prosperità di mezzi e di salute, che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana, che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette. Ma l’occhio di Dio, ma il Pensiero senza limitazioni di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel saper credere che Dio fa tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò che fa per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare.
6Dio aveva già creato gli angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale Dio li aveva collocati, si erano ribellati e con l’animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio. Alle armoniose ragioni degli angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati.
Viva in eterno coloro che in Cielo come in terra sanno basare ogni loro pensiero su un presupposto di ottimismo pieno di luce! Mai sbaglieranno completamente, anche se i fatti li smentiranno. Non sbaglieranno almeno per quanto riguarda il loro spirito, il quale continuerà a credere, a sperare, ad amare soprattutto Dio e prossimo, rimanendo perciò in Dio fino ai secoli dei secoli!
Il Paradiso era già stato liberato da questi orgogliosi pessimisti, i quali vedevano nero anche nelle luminosissime opere di Dio, così come in terra i pessimisti vedono nero anche nelle più schiette e solari azioni dell’uomo, e per volersi separare in una torre d’avorio, credendosi gli unici perfetti, si autocondannano ad una oscura galera, la cui via termina nelle tenebre del regno infero, il regno della Negazione. Perché il pessimismo è Negazione esso pure.
7Dio fece dunque il Creato. E come per comprendere il mistero glorioso del nostro Essere uno e trino bisogna saper credere e vedere che fin dal principio il Verbo era, ed era presso Dio, uniti dall’Amore perfettissimo che solo possono effondere due che Dèi sono pur essendo Uno, così ugualmente, per vedere il creato per quello che è, occorre guardarlo con occhi di fede, perché nel suo essere, così come un figlio porta l’incancellabile riflesso del padre, così il creato ha in sé l’incancellabile riflesso del suo Creatore. Vedremo allora che anche qui in principio fu il cielo e la terra, poi fu la luce, paragonabile all’amore. Perché la luce è letizia così come lo è l’amore. E la luce è l’atmosfera del Paradiso. E l’incorporeo Essere che è Dio, Luce è, ed è Padre di ogni luce intellettiva, affettiva, materiale, spirituale, così in Cielo come in terra.
In principio fu il cielo e la terra, e per essi fu data la luce e per la luce tutte le cose furono fatte. E come nel Cielo altissimo furono separati gli spiriti di luce da quelli di tenebre, così nel Creato furono separate le tenebre dalla luce e fu fatto il Giorno e la Notte, e il primo giorno del creato fu, col suo mattino e la sua sera, col suo meriggio e la sua mezzanotte. E quando il sorriso di Dio, la Luce, tornò dopo la notte, ecco che la mano di Dio, il suo potente volere, si stese sulla terra informe e vuota, si stese sul cielo su cui vagavano le acque, uno degli elementi liberi nel caos, e volle che il firmamento separasse il disordinato errare delle acque fra cielo e terra, acciò fosse velario ai fulgori paradisiaci, misura alle acque superiori, perché sul ribollire dei metalli e degli atomi non scendessero i diluvi a dilavare e disgregare ciò che Dio riuniva.
L’ordine era stabilito nel cielo. E l’ordine fu sulla terra per il comando che Dio dette alle acque sparse sulla terra. E il mare fu. Eccolo. Su esso, come sul firmamento, è scritto. ‘Dio è’. Quale che sia l’intellettualità di un uomo e la sua fede o la sua non fede, davanti a questa pagina, in cui brilla una particella dell’infinità che è Dio, in cui è testimoniata la sua potenza - perché nessuna potenza umana né nessun assestamento naturale di elementi possono ripetere, seppure in minima misura, un simile prodigio - è obbligato a credere. A credere non solo alla potenza ma alla bontà del Signore, che per quel mare dà cibo e vie all’uomo, dà sali salutari, dà tempera al sole e spazio ai venti, dà semi alle terre l’una dall’altra lontane, dà voce di tempeste perché richiamino la formica che è l’uomo all’Infinito suo Padre, dà modo di elevarsi, contemplando più alte visioni, a più alte sfere.
8Tre sono le cose che più parlano di Dio nel creato che è tutto testimonianza di Lui. La Luce, il firmamento, il mare. L’ordine astrale e meteorologico, riflesso dell’Ordine divino; la luce che solo un Dio poteva fare; il mare, la potenza che solo Dio, dopo averla creata, poteva mettere in saldi confini, dandole moto e voce, senza che per questo, come turbolento elemento di disordine, sia danno alla terra che lo sopporta sulla sua superficie.
Penetrate il mistero della luce che mai si consuma. Alzate lo sguardo al firmamento dove ridono le stelle e i pianeti. Abbassate lo sguardo al mare. Vedetelo per quello che è. Non separazione, ma ponte fra i popoli che sono sulle altre sponde, invisibili, ignote anche, ma che bisogna credere che ci siano solo perché è questo mare. Dio non fa nulla di inutile. Non avrebbe perciò fatto questa infinità se essa non avesse a limite, là, oltre l’orizzonte che ci impedisce di vedere, altre terre, popolate da altri uomini, venuti tutti da un unico Dio, portati là per volere di Dio, a popolare continenti e regioni, da tempeste e correnti. E questo mare porta nei suoi flutti, nelle voci delle sue onde e delle sue maree, appelli lontani. Tramite è, non separazione.
Quell’ansia che dà dolce angoscia a Giovanni è questo appello di fratelli lontani. Più lo spirito diviene dominatore della carne e più è capace di sentire le voci degli spiriti che sono uniti anche se divisi, così come i rami sgorgati da un’unica radice sono uniti anche se l’uno neppur vede più l’altro perché un ostacolo si frappone fra essi.
Guardate il mare con occhi di luce. Vi vedrete terre e terre sparse sulle sue spiagge, ai suoi limiti, e nell’interno terre e terre ancora, e da tutte giunge un grido: ‘Venite! Portateci la Luce che voi possedete. Portateci la Vita che vi viene data. Dite al nostro cuore la parola che ignoriamo ma che sappiamo essere la base dell’universo: amore. Insegnateci a leggere la parola che vediamo tracciata sulle pagine infinite del firmamento e del mare: Dio. Illuminateci perché sentiamo che una luce vi è più vera ancora di quella che arrossa i cieli e fa di gemme il mare. Date alle nostre tenebre la Luce che Dio vi ha data dopo averla generata col suo amore, e l’ha data a voi ma per tutti, così come la dette agli astri ma perché la dessero alle terre. Voi gli astri, noi la polvere. Ma formateci così come il Creatore creò con la polvere la terra perché l’uomo la popolasse adorandolo ora e sempre, finché venga l’ora che più terra non sia, ma venga il Regno. Il Regno della luce, dell’amore, della pace, così come a voi il Dio vivente ha detto che sarà, perché noi pure siamo figli di questo Dio e chiediamo di conoscere il Padre nostro’.
E per vie di infinito sappiate andare. Senza timori e senza sdegni. Incontro a quelli che chiamano e piangono. Verso quelli che vi daranno anche dolore perché sentono Dio ma non sanno adorare Dio, ma che pure vi daranno la gloria perché grandi sarete quanto più possedendo l’amore, lo saprete dare, portando alla Verità i popoli che attendono”.
9Gesù ha detto così, molto meglio di come io ho detto. Ma almeno questo è il suo concetto».
«Giovanni, tu hai dato una esatta ripetizione del Maestro. Solo hai lasciato ciò che disse del tuo potere di capire Iddio per la tua generosità di donarti. Tu sei buono, Giovanni. Il migliore fra noi! Abbiamo fatto la via senza avvedercene. Ecco là Nazaret sulle sue colline. Il Maestro ci guarda e ci sorride. Raggiungiamolo solleciti per entrare in città uniti».
«Io ti ringrazio, Giovanni» dice la Madonna. «Hai fatto un grande regalo alla Mamma».
«Io pure. Anche alla povera Maria tu hai aperto orizzonti infiniti…».
«Di che parlavate tanto?» chiede Gesù ai sopraggiungenti.
«Giovanni ci ha ripetuto il tuo discorso del Tabor. Perfettamente. E ne fummo beati».
«Sono contento che la Madre lo abbia udito, Lei che porta un nome in cui il mare non è estraneo e possiede una carità vasta come il mare».
«Figlio mio, Tu la possiedi come Uomo, e nulla ancora è rispetto alla tua infinita carità di Verbo Divino. Mio dolce Gesù!».
«Vieni, Mamma, al mio fianco. Come quando tornavamo da Cana o da Gerusalemme quando ero bambino, tu mi tenevi per mano».
E si guardano col loro sguardo d’amore.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 24 dicembre 2017, IV Domenica di Avvento

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 16 pagina 96 - CD 1, traccia 16
Ciò che vedo. Maria, fanciulla giovanissima, quindici anni al massimo all’aspetto, è in una piccola stanza rettangolare. Una vera stanza di fanciulla. Contro una delle due pareti più lunghe è il giaciglio: un basso lettuccio senza sponde, coperto di alte stuoie o tappeti. Si direbbe che sono stesi su una tavola o su un traliccio di canne, perché stanno molto rigidi e senza curve come avviene nei nostri letti. Contro l’altra parete, una scansia con una lucerna ad olio, dei rotoli di pergamena, un lavoro di cucito piegato con cura, pare un ricamo. Di fianco a questa, verso la porta che è aperta sull’orto ma velata da una tenda che palpita ad un leggero vento, è seduta su uno sgabello basso la Vergine. Fila del lino candidissimo e morbido come una seta. Le sue piccole mani, solo di poco più scure del lino, prillano sveltamente il fuso. Il visetto giovanile, e tanto tanto bello, è lievemente curvo e lievemente sorridente, come se accarezzasse o seguisse qualche dolce pensiero.Vi è molto silenzio nella casetta e nell’orto. Vi è molta pace tanto sul viso di Maria quanto nell’ambiente che la circonda. Pace e ordine. Tutto è lindo e ordinato, e l’ambiente, umilissimo nel suo aspetto e nelle suppellettili, quasi nudo come una cella, ha un che di austero e regale per il grande nitore e la cura con cui sono disposte le stoffe sul lettuccio, i rotoli, il lume, la piccola brocca di rame presso al lume, con entro un fascio di rami fioriti, rami di pesco o di pero. Non so. Sono certo di alberi da frutto di un bianco lievemente rosato.Maria si mette a cantare sottovoce e poi alza lievemente la voce. Non va al gran canto. Ma è già una voce che vibra nella stanzetta e nella quale si sente una vibrazione d’anima. Non capisco le parole, dette certo in ebraico. Ma dato che ripete ogni tanto: ‘Jehovà’, intuisco che sia qualche canto sacro, forse un salmo. Forse Maria ricorda i canti del Tempio. E deve essere un dolce ricordo, perché posa sul grembo le mani sorreggenti il filo e il fuso e alza il capo appoggiandolo indietro alla parete, accesa da un bel rossore nel viso, con gli occhi persi dietro a chissà quale soave pensiero, fatti lucidi da un’onda di pianto che non trabocca ma che li fa più grandi. Eppure quegli occhi ridono, sorridono al pensiero che vedono e che l’astrae dal sensibile. Il viso di Maria, emergente dalla veste bianca e semplicissima, così rosato e cinto dalle trecce che porta avvolte come corona intorno al capo, pare un bel fiore.Il canto si muta in preghiera: “Signore Iddio Altissimo, non tardare oltre a mandare il tuo Servo per portare la pace sulla terra. Suscita il tempo propizio e la vergine pura e feconda per l’avvento del tuo Cristo. Padre, Padre santo, concedi alla tua serva di offrire la sua vita a questo scopo. Concedimi di morire dopo aver visto la tua Luce e la tua Giustizia sulla terra e di aver conosciuto che la Redenzione è compiuta. O Padre santo, manda sulla terra il Sospiro dei Profeti. Manda alla tua serva il Redentore. Che nell’ora in cui cessi il mio giorno, si apra per me la tua Dimora, perché le sue porte sono state già aperte dal tuo Cristo per tutti coloro che hanno sperato in Te. Vieni, vieni, o Spirito del Signore. Vieni ai tuoi fedeli che ti attendono. Vieni, Principe della Pace!...” Maria resta assorta così....La tenda palpita più forte, come se qualcuno dietro ad essa ventilasse con qualcosa o la scuotesse per scostarla. E una luce bianca di perla fusa ad argento puro fa più chiare le pareti lievemente gialline, più vivi i colori delle stoffe, più spirituale il volto sollevato di Maria. Nella luce, e senza che la tenda sia scostata sul mistero che si compie -anzi non palpita più, pende ben rigida contro gli stipiti, come fosse parete che isola l’interno dall’esterno- si prosterna l’Arcangelo.Deve necessariamente assumere aspetto umano. Ma è un aspetto trasumano. Di quale carne è composta questa figura bellissima e sfolgorante? Di quale sostanza l’ha materializzata Iddio per renderla sensibile ai sensi della Vergine? Solo Dio può possedere queste sostanze e usarle in tal maniera perfetta. E’ un volto, è un corpo, sono occhi, bocca, capelli e mani come le nostre. Ma non sono la nostra opaca materia. E’ una luce che ha preso colore di carne, di occhi, di chioma, di labbra, una luce che si muove e sorride e guarda e parla.“Ave, Maria, piena di Grazia, ave!” La voce è un dolce arpeggio come di perle gettate su un metallo prezioso.Maria trasale e abbassa lo sguardo. E più trasale quando vede la fulgida creatura inginocchiata ad un metro circa di distanza da Lei e che, con le mani incrociate sul petto, la guarda con una venerazione infinita.Maria balza in piedi e si stringe alla parete. Diviene pallida e rossa alternativamente. Il suo viso esprime stupore e sgomento. Si stringe inconsciamente le mani sul seno nascondendole sotto le larghe maniche, si curva quasi per nascondere il più possibile il suo corpo. Un atto di pudore soave. “No. Non temere. Il Signore è teco! Tu sei benedetta fra tutte le donne.”Ma Maria continua a temere. Da dove è venuto quell’essere straordinario? E’ un messo di Dio o dell’Ingannatore?“Non temere, Maria!” ripete l’Arcangelo. “Io sono Gabriele, l’Angelo di Dio. Il mio Signore mi ha mandato a te. Non temere, perché tu hai trovato grazia presso Dio. Ed ora tu concepirai nel seno e partorirai un Figlio e gli porrai nome ‘Gesù’. Questi sarà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo (e tale sarà invero) e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo Regno non avrà mai fine. Comprendi, o santa Vergine amata dal Signore, Figlia benedetta di Lui, chiamata ad esser Madre del suo Figlio, quale Figlio tu genererai.” “Come può avvenire questo se io non conosco uomo? Forse che il Signore Iddio più non accoglie l’offerta della sua serva e non mi vuole vergine per amor di Lui? ”.“Non per opera di uomo sarai Madre, o Maria. Tu sei l’eterna Vergine, la Santa di Dio. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Perciò Santo si chiamerà Colui che nascerà da te, e Figlio di Dio. Tutto può il Signore Iddio nostro. Elisabetta, la sterile, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio che sarà il Profeta del tuo Figlio, colui che ne prepara le vie. Il Signore ha levato a questa il suo obbrobrio, e la sua memoria resterà nelle genti congiunta al nome tuo, come il nome della sua creatura a quello del tuo Santo, e fino alla fine dei secoli le genti vi chiameranno beate per la Grazia del Signore venuta a voi, ed a te specialmente; venuta alle genti per mezzo tuo. Elisabetta è nel suo sesto mese ed il suo peso la solleva al gaudio, e più la solleverà quando conoscerà la tua gioia. Nulla è impossibile a Dio, Maria, piena di Grazia. Che devo dire al mio Signore? Non ti turbi pensiero di sorta. Egli tutelerà gli interessi tuoi se a Lui ti affidi. Il mondo, il Cielo, l’Eterno attendono la tua parola!” Maria, incrociando a sua volta le mani sul petto e curvandosi in un profondo inchino, dice: “Ecco l’ancella di Dio. Si faccia di me secondo la sua parola.”L’Angelo sfavilla nella gioia. Adora, perché certo egli vede lo Spirito di Dio abbassarsi sulla Vergine curva nell’adesione, e poi scompare senza smuover tenda, ma lasciandola ben tirata sul Mistero santo.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 17 dicembre 2017, III Domenica di Avvento - GAUDETE

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,6-8.19-28.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45 pagina 281.
[questo testo è lo stesso che quello di domenica scorsa]
Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire. Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.”“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: “Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 10 dicembre 2017, II Domenica di Avvento

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,1-8.
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45 pagina 281.
[...].Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire. Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.”“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: “Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore. Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/