"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 27 febbraio 2022 - VIII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 6,39-45.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca?
Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?
Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello».
Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni.
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.
L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio ».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 301 pagina 42 - CD 5, traccia 6
1Gesù non torna altro che ad Endor. Si ferma alla prima casa del paese, che è più un ovile che una casa. Ma, appunto perché tale, con stalle basse, chiuse, colme di fieni, può ricoverare i tredici pellegrini. Il padrone della stessa, un uomo rude ma buono, si affretta a portare una lucerna e un secchiello di latte spumoso, più delle forme di pane molto scuro. Poi si ritira, benedetto da Gesù che resta solo coi suoi dodici.
Gesù offre e distribuisce il pane e, in mancanza di scodelle o calici, ognuno inzuppa le sue fette di pane nel secchiello e beve, quando ha sete, direttamente allo stesso. Gesù beve soltanto un poco di latte.
2È serio, silenzioso… Tanto che, finito il pasto, saziata la fame che negli apostoli non manca mai, finiscono ad accorgersi del suo mutismo.
Andrea chiede per primo: «Cosa hai, Maestro? Mi sembri triste o stanco…».
«Non nego di esserlo».
«Perché? Per quei farisei? Ma orami dovresti averci fatto l’abitudine… Quasi quasi ce l’ho fatta io che… via! Tu sai come ero le prime volte con loro. Essi cantano sempre quella canzone!… Le serpi non possono che sibilare, infatti, e mai nessuna di esse riuscirà a rifare il canto dell’usignolo. Si finisce a non farci più caso» dice Pietro, parte con convinzione, parte per rasserenare Gesù.
«Ed è in questo modo che si perde il controllo e si casca nelle loro spire. Vi prego di non abituarvi mai alle voci del Male come fossero voci innocue».
«Oh! bene! Ma se è per questo solo che Tu sei triste, fai male. Tu vedi come ti ama il mondo» dice Matteo.
«Ma è per questo solo che sei triste così? Dimmelo, Maestro buono. O ti hanno riferito menzogne, insinuato calunnie, sospetti, che so? su noi che ti amiamo?» chiede premuroso e carezzevole l’Iscariota, abbracciando con un braccio Gesù che è seduto sul fieno al suo fianco.
3Gesù volta il viso nella direzione di Giuda. I suoi occhi hanno un baleno fosforico alla luce tremula della lucerna posata sul suolo in mezzo al cerchio degli assisi sul fieno, messo come basso sedile in tondo. Gesù guarda ben fisso Giuda di  Keriot e nel guardarlo gli chiede: «E tu mi conosci forse tanto stolto da accogliere per vere le insinuazioni di chicchessia, sino a turbarmene? Sono le realtà, Giuda di Simone, quelle che mi turbano», e il suo sguardo non lascia per un momento di conficcarsi, dritto come uno specillo, nella pupilla bruna di Giuda.
«Quali realtà ti turbano, allora?» insiste sicuro l’Iscariota.
«Quelle che vedo nel fondo dei cuori e leggo sulle fronti detronizzate». Gesù marca molto questa parola.
Tutti sono in subbuglio: «Detronizzate? Perché? Che vuoi dire?».
«Un re si detronizza quando è indegno di stare sul trono e gli viene per prima cosa strappata la corona che è sulla sua fronte come sul luogo più nobile dell’uomo, unico animale che tenga la fronte eretta verso il cielo, essendo animale come materia, ma soprannaturale come essere dotato d’anima. Ma non c’è bisogno di essere re su un trono terreno per essere detronizzati. Ogni uomo è re per l’anima e il suo trono è nel Cielo. Ma quando un uomo prostituisce la sua anima e bruto diviene, e demone diviene, allora si detronizza. Il mondo è pieno di fronti detronizzate, che non stanno più erette verso il Cielo ma curve verso l’Abisso, appesantite dalla parola che Satana ha scolpito su esse. La volete sapere? È quella che Io leggo sulle fronti. Vi è scritto: “Venduto!”. E perché non abbiate dubbi su chi è il compratore, vi dico che è Satana, in se stesso o nei suoi servi che sono nel mondo».
«Ho capito! Quei farisei, per esempio, sono servi di un servo più grande di loro, il quale è servo di Satana» dice convinto Pietro.
Gesù non ribatte nulla.
4«Però… Sai,  Maestro, che quei farisei, dopo aver sentito quelle tue parole, se ne sono andati scandalizzati? Urtandomi nell’uscire lo dicevano… Sei stato molto reciso» osserva Bartolomeo.
E Gesù replica: «Ma molto vero. Non è colpa mia, ma loro, se si devono dire certe cose. Ed è ancora carità la mia di dirle. Qualunque pianta non piantata dal mio Padre celeste va sradicata. Ed è pianta non piantata da Lui l’inutile brughiera di erbe parassitarie, opprimenti, spinose, che opprimono il seme della Verità santa. È carità estirpare tradizioni e precetti che soffocano il Decalogo, lo travisano, lo rendono inerte e impossibile ad osservarsi. È carità per le anime oneste farlo. Riguardo ad essi, ai protervi testardi e chiusi ad ogni azione e consiglio dell’Amore, lasciateli fare e siano seguiti da quelli che sono, per animo e tendenze, simili a loro. Sono ciechi che guidano dei ciechi. Se un cieco ne guida un altro, non potranno che cadere tutti e due nella fossa. Lasciateli nutrirsi delle loro contaminazioni alle quali danno nome “purezza”. Esse non li possono oltre contaminare, perché non fanno che adagiarsi sulla matrice dalla quale provengono».
5«Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce» chiede pensoso Simone lo Zelote.
«Si» dice brevemente Gesù.
Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: «Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina e ciò che esce contamina? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce acqua pura.  E allora?».
6E Gesù: «Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure, insomma. Ma quel cibo dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire a carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io. Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola e contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi. È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… Tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo, ora. Io esco a pregare».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 20 febbraio 2022 - VII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 6,27-38.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: « A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano,
benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.
A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica.
Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo.
Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.
E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.
E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato;
date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio ».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 171 pagina 99 - CD 3, traccia 12
Continua il discorso del Monte.
Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.
«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
Io non muto un iota della Legge. E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
Come l'ha data? Con la sua Parola.
Perché l'ha data? Per il suo Amore.
Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.
Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.

3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore. Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore". Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".

4 Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico" No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.
Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto. Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare". Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete", perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?". Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio».
«Ma chi è? Quel romano forse?».
«No. Un disgraziato».
«Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro.
«Dovrei fulminare tutti i suoi simili?».
«Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico.. - ma lo penso.. - ed è lo stesso...» 
«E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 13 febbraio 2022 - VI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 6,17.20-26.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete gia la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 166 pagina 39 - CD 3, traccia 7
Gesù, scendendo a mezza costa, trova molti discepoli e molti altri ancora che si sono uniti piano piano ai discepoli, portati qui, in questo luogo fuori via, dal bisogno del miracolo, dal desiderio della parola di Gesù, venuti sicuri per indicazioni di gente o per istinto d’anima. Io penso che gli angeli degli uomini guidassero gli stessi, desiderosi di Dio, al Figlio di Dio. Né credo di fare con ciò della leggenda. Se si pensa con quale pronta e astuta costanza Satana portava i nemici a Dio e al suo Verbo, nei momenti in cui lo spirito demonico poteva fare apparire agli uomini una parvenza di colpa nel Cristo, è lecito poter pensare, più che lecito è giusto, che anche gli angeli non fossero inferiori ai demoni e portassero gli spiriti non demonici al Cristo.
E Gesù, a tutti questi che lo hanno atteso senza stanchezze e timori, si prodiga in soccorsi di miracoli e in soccorsi di parola. Quanti miracoli! Una fioritura pari a quella che decora le balze del monte: grandi come è quello di un fanciullo, estratto ustionato atrocemente da un pagliaio in fiamme, portato qui su una barella, mucchio di carne arsa che mugola lamentosamente sotto al lino di cui lo hanno ricoperto tanto è atroce il suo aspetto arso, morente ormai, e che Gesù risana alitandogli sopra e risarcendo le bruciature che si annullano completamente, tanto che il fanciullo sorge nudo affatto, e corre felice verso la mamma che ne carezza piangendo di gioia le carni tutte guarite, senza tracce di fuoco, ne bacia gli occhi che si pensavano arsi e invece sono vivi e scintillanti di gioia, i capelli che sono appena corti, ma non distrutti, quasi la vampa avesse fatto da rasoio e non da distruzione; fino al piccolo miracolo di un vecchietto tossicoloso che dice: “Non per me, ma perché devo fare da padre ai nipotini orfani e non posso lavorare il suolo con questo umore fermo qui, in gola, e che mi affoga”…
E poi il miracolo non visibile, ma certo esistente, che provocano le parole di Gesù: “Fra voi è uno che piange con l’anima e non osa dire con la parola: “Abbi pietà!”. Io rispondo: “Sia come tu chiedi. Tutta la pietà. Perché tu sappia che Io sono la Misericordia”. Solo, a mia volta, ti dico: “Abbi generosità”. Sii generoso con Dio. Strappa ogni legame col passato. Dio lo senti e a Lui che senti vieni allora con libero cuore, con totale amore”. Chi sia, fra la folla, colui o colei al quale vanno queste parole, non so.
Gesù dice ancora: “Questi sono i miei apostoli. Altrettanti Cristi sono, perché Io tali li ho eletti. Rivolgetevi ad essi con fiducia. Essi sanno da Me tutto quanto vi abbisogna per le anime vostre…”. Gli apostoli guardano Gesù perfettamente spaventati. Ma Egli sorride e prosegue: “…e daranno alle vostre anime luce di stella e ristoro di rugiada tanto da impedirvi di languire nelle tenebre. E poi Io verrò e vi darò pienezza di sole e di onde, tutta la sapienza per farvi forti e felici di soprannaturale fortezza e gioia. La pace a voi, figli. Sono atteso da altri, più infelici e poveri di voi. Ma soli non vi lascio. Vi lascio i miei apostoli, ed è come lasciassi i figli del mio amore affidati alle cure delle più amorose e fidate delle nutrici”.
Gesù fa un gesto di addio e di benedizione e si avvia, fendendo la folla che non lo vuole lasciare partire; ed è allora che si ha l’ultimo miracolo, quello di una vecchierella semiparalizzata, condotta qui dal nipote e che agita festosa il braccio destro prima inerte e grida: “Egli mi ha sfiorata col suo manto, nel passare, e sono guarita! Neppure lo chiedevo, perché vecchia sono… Ma Egli ha avuto pietà anche del mio desiderio segreto. E col manto, un lembo di esso che mi ha sfiorato il braccio perduto, mi ha guarita! Oh! che grande Figlio ha avuto il santo Davide nostro! Gloria al suo Messia! Ma guardate! Ma guardate! Anche la gamba è spedita come il braccio… Oh! come a vent’anni sono!”.
Il convergere di molti verso la vecchietta, che strilla con tutto il suo fiato la sua felicità, fa sì che Gesù possa svignarsela senza essere più oltre impedito. E gli apostoli dietro.
Quando sono in un luogo deserto, quasi al piano, fra una
folta brughiera che va verso il lago, si fermano un momento. Gesù per dire: “Vi benedico! Tornate al vostro lavoro e fatelo finché Io verrò come ho detto”.
Pietro, fino ad allora sempre zitto, prorompe: “Ma, Signor mio, che hai fatto? Perché dire che noi abbiamo tutto quanto abbisogna alle anime? È vero! Tu ci hai detto molto. Ma noi siamo zucconi, io almeno, e… e di quello che mi hai dato me ne è rimasto poco, molto poco mi è rimasto. È come uno che, di un pasto, ha ancora nello stomaco il più greve. Il resto non c’è più”.
Gesù sorride apertamente: “E dove è allora il resto del cibo?”.
“Ma… non so. So che, se io mangio piattini delicati, dopo un’ora non mi sento più niente nello stomaco. Mentre se mangio radici pesanti o lenticchie con l’olio, eh! ci vuole a mandarle giù!”.
“Ci vuole. Ma credi che radici e lenticchie, che sembra ti empiano di più, sono quelle che meno ti lasciano di sostanza: tutta scoria che passa con poco utile. Mentre i piattini che in un’ora non ti senti più, sono non nello stomaco dopo un’ora, ma nel tuo stesso sangue. Quando un cibo è digerito non è più nello stomaco, ma il suo succo è nel sangue e giova di più. Ora a te e ai tuoi compagni vi pare che di quanto vi ho detto più nulla o ben poco sia in voi. Forse vi ricordate bene le parti che più sono consone alla vostra particolare natura: i violenti le parti violente, i meditativi le parti meditative, gli amorosi le parti tutto amore. Senza forse è così. Ma credete: tutto è in voi. Anche se vi pare che sia dileguato. Lo avete assorbito. Il pensiero vi si dipanerà come un filo multicolore portandovi le tinte dolci o severe a seconda che ne avete bisogno. Non abbiate paura. Pensate pure che Io so e che mai vi manderei se vi sapessi incapaci di fare. Addio, Pietro. Su! Sorridi! Abbi fede! Un bell’atto di fede nella Sapienza onnipresente. Addio a tutti. Il Signore resta con voi”. E rapido li lascia, ancora stupiti e agitati di quanto hanno udito dire di dover fare.
“Eppure bisogna ubbidire”, dice Tommaso.
“Eh!… già!… Oh! povero me! Quasi gli corro dietro…”, mormora Pietro.
“No. Non lo fare. L’ubbidienza è amore a Lui”, dice Giacomo di Alfeo.
“E cominciare mentre ancora Egli ci è presso, e può consigliarci se sbagliamo, è elementare e anche santa prudenza. Aiutarlo dobbiamo”, consiglia lo Zelote.
“È vero. Gesù è piuttosto affaticato. Bisogna sollevarlo un poco, come possiamo. Non basta portare le sacche, preparare i letti e il cibo. Questo chiunque lo può fare. Ma aiutarlo, come Egli vuole, nella sua missione”, conferma Bartolomeo.
“Tu dici bene perché sei dotto. Ma io… Quasi ignorante sono io…”, geme Giacomo di Zebedeo.
“O Dio! Ecco che arrivano quelli che erano lassù! Come facciamo?”, esclama Andrea.
E Matteo: “Scusate se io, il più miserabile, consiglio. Ma non sarebbe meglio pregare il Signore, invece di stare qui a lamentarsi su ciò che coi lamenti non si ripara? Su, Giuda, tu che sai tanto bene la Scrittura, di’ per tutti la preghiera di Salomone per ottenere la sapienza. Presto! Prima che ci raggiungano”.
E il Taddeo con la sua bella voce baritonale inizia: “Dio dei miei padri, Signore di misericordia che tutto hai creato…” ecc… ecc…, fino al punto: “… per la sapienza furono salvati tutti quelli che a Te, Signore, piacquero fin dal principio”.
Appena in tempo prima che la gente li raggiunga, li attorni, li assalga con mille domande sul dove è andato il Maestro, sul quando tornerà, e, più difficile ad essere accontentata, con la richiesta: “Ma come si fa a seguire il Maestro non con le gambe, ma con l’anima, per le vie della Via che Egli indica?”.
A questa domanda gli apostoli restano imbarazzati. Si guardano fra di loro e l’Iscariota risponde: “Col seguire la perfezione”, quasi fosse una risposta che possa spiegare tutto!…
Giacomo di Alfeo, più umile e più pacato, pensa e poi dice: “La perfezione a cui accenna il mio compagno si raggiunge ubbidendo alla Legge. Perché la Legge è giustizia e la giustizia è perfezione”.
Ma la gente ancora non è contenta e chiede per bocca di uno che pare un capo: “Ma noi siamo piccoli come fanciulli nel Bene. I fanciulli non sanno ancora il significato del Bene e del Male, non distinguono. E noi, in questa Via che Egli indica, siamo così informi da essere incapaci di distinguere. Avevamo una via nota. Quella antica che ci è stata insegnata nelle scuole. Così difficile, lunga, paurosa! Ora, dalle sue parole, sentiamo che è come quell’acquedotto che vediamo di qui. Sotto c’è la via delle bestie e dell’uomo; sopra, sugli archi leggeri, alta nel sole e nell’azzurro, presso ai rami più alti che frusciano e cantano per il vento e gli uccelli, vi è un’altra via, liscia, pulita, luminosa quanto quella inferiore è scabra, sporca, oscura, una via, per l’acqua che è limpida e sonante, che è benedizione, per l’acqua che viene da Dio e che è accarezzata da ciò che è di Dio: raggi di sole e di stelle, fronde novelle, fiori, ali di rondine. Noi vorremmo salire a quella via più alta, e che è la sua, e non sappiamo, perché siamo confitti qui, in basso, sotto il peso di tutta la costruzione antica. Come facciamo?”.
Colui che ha parlato è un giovane sui venticinque anni, bruno, robusto, dallo sguardo intelligente e l’aspetto meno popolano della maggioranza dei presenti. Si appoggia ad un altro più maturo.
L’Iscariota, che alto come è lo vede, sussurra ai compagni: “Presto, parlate bene. Vi è Erma con Stefano, Stefano, amato da Gamaliele!”. Cosa che finisce di imbarazzare del tutto gli apostoli.
Infine lo Zelote risponde:
“L’arco non sarebbe se non ci fosse la base nella via oscura. Questa è la matrice di quello, che da essa si lancia e sale nell’azzurro di cui tu sei voglioso. Le pietre confitte nel suolo, e che sorreggono il peso senza godere dei raggi e dei voli, non ignorano però che essi ci sono, perché talora una rondine cala con uno strido fino al fango e carezza la base dell’arco, e scende un raggio di sole o di stella a dire quanto è bello il firmamento. Così nei secoli passati è scesa, di tempo in tempo, una parola celeste di promessa, un raggio celeste di sapienza, per carezzare le pietre oppresse dal corruccio divino. Perché le pietre erano necessarie. Non sono, non furono e non saranno mai inutili. Su esse si è elevato lentamente il tempo e la perfezione del conoscere umano fino a raggiungere la libertà del tempo presente e la sapienza del conoscere sovrumano.
Già leggo la tua obbiezione, ti è scritta in volto. È quella che tutti abbiamo avuto, prima di saper comprendere che questa è la Nuova Dottrina, la Buona Novella predicata a coloro che per un processo a ritroso non sono divenuti adulti con l’elevarsi delle pietre del sapere, ma si sono sempre più oscurati come muro che sprofonda in un abisso cieco.
Noi, per uscire da questa malattia di oscuramento soprannaturale, dobbiamo liberare coraggiosamente la pietra fondamentale da tutte le pietre sovrapposte. Non abbiate tema di demolire quello che è un alto muro ma che non porta la linfa pura della sorgente eterna. Tornate alla base. Quella non va mutata. È da Dio. Ed immobile è. Ma prima di scartare le pietre, perché non tutte sono malvagie e inutili, provatele una ad una, al suono della parola di Dio. Se le sentite non discordi, ritenetele, riusatele per ricostruire. Ma se in esse sentite il suono discorde della voce umana o quello lacerante della voce satanica — e non vi potete sbagliare perché se è voce di Dio è suono d’amore, se è voce umana è suono di senso, se voce satanica è voce d’odio — allora frantumate le pietre malvagie. Dico: frantumate, perché è carità non lasciare indietro germi od oggetti di male che possano sedurre il viandante ed indurlo ad usarle per suo danno. Frantumate letteralmente ogni cosa non buona che fu vostra in opere, scritti, insegnamenti o atti. Meglio restare con poco, elevarsi appena di un cubito ma con buone pietre, che per dei metri ma con pietre malvagie. I raggi e le rondini scendono anche sulle muricce appena elevate dal suolo, e i fioretti umili della proda con facilità giungono ad accarezzare le pietre basse. Mentre le superbe pietre che vogliono elevarsi inutili e scabre non hanno che schiaffi di rovi e abbracci di tossici. Demolite per ricostruire e per salire provando la bontà delle vostre antiche pietre alla voce di Dio”.
“Bene parli, uomo. Ma salire! Come? Ti abbiamo detto che meno di pargoli siamo. Chi ci fa salire sull’erta colonna? Proveremo le pietre al suono di Dio, frantumeremo le meno buone. Ma come salire? È vertigine solo a pensarlo!”, dice Stefano.
Giovanni, che ha ascoltato a capo chino sorridendo a se stesso, alza un volto luminoso e prende la parola.
“Fratelli! Vertigine è pensare di salire. È vero. Ma chi vi dice che è necessario attaccare l’altezza direttamente? Questo non i pargoli, ma neppure gli adulti lo possono fare. Solo gli angeli possono lanciarsi negli azzurri, perché hanno libertà da ogni peso di materia. E negli uomini solo gli eroi della santità lo possono fare.
Abbiamo un vivente che tuttora, in questo mondo avvilito, sa essere eroe di santità come gli antichi di cui si infiora Israele, quando i Patriarchi erano amici di Dio e la parola del Codice eterno era la sola, ma la ubbidita da ogni retta creatura. Giovanni, il Precursore, insegna come si attacca l’altezza direttamente. È un uomo, Giovanni. Ma la Grazia che il Fuoco di Dio gli ha comunicata, mondandolo dal ventre della madre, così come fu mondato dal serafino il labbro del Profeta, perché potesse precedere il Messia senza lasciare fetore di colpa d’origine sulla via regale del Cristo, ha dato a Giovanni ali di angelo e la penitenza le ha fatte crescere, abolendo insieme quel peso di umanità che la sua natura di nato di donna aveva conservato. Onde Giovanni, dal suo speco dove predica penitenza, e dal suo corpo dove arde lo spirito sposato alla Grazia, lancia, può lanciare se stesso al sommo dell’arco oltre il quale è Dio, l’altissimo Signore Iddio nostro, e può, dominando i secoli passati, il giorno presente, il tempo futuro, annunciare, con voce di profeta, con occhio d’aquila che può fissare il Sole eterno e riconoscerlo: “Ecco l’Agnello di Dio. Colui che leva i peccati del mondo”, e morire dopo questo suo canto sublime, che sarà usato non solo nel tempo limitato ma nel tempo senza fine, nella Gerusalemme per sempre eterna e beata, per acclamare la Seconda Persona, per invocarla sulle miserie umane, per osannarla nei fulgori eterni.
Ma l’Agnello di Dio, il dolcissimo Agnello che ha lasciato la sua luminosa dimora dei Cieli nei quali è Fuoco di Dio in abbraccio di fuoco — oh! eterna generazione del Padre che concepisce col Pensiero illimitato e santissimo il suo Verbo, e se lo assorbe producendo una fusione d’amore che crea lo Spirito di Amore in cui si accentra la Potenza e la Sapienza! — ma l’Agnello di Dio che ha lasciato la sua purissima, incorporea forma, per chiudere la sua purezza infinita, la sua santità, la sua natura divina in carne mortale, sa che noi non siamo i mondati dalla Grazia, ancora non lo siamo, e sa che non potremmo, come l’aquila che è Giovanni, lanciarci nelle altezze, sul culmine dove è Dio Uno e Trino. Noi siamo i piccoli passeri del tetto e della via, siamo le rondini che toccano l’azzurro ma si cibano di insetti, siamo le calandre che vogliono cantare per imitare gli angeli ma rispetto al cui canto il nostro è fremito discorde di cicala estiva. Questo, il dolce Agnello di Dio, venuto per levare i peccati del mondo, lo sa. Perché, se non è più lo Spirito infinito dei Cieli, avendo costretto Se stesso in carne mortale, la sua infinità non è menomata per questo, e tutto sa essendo sempre infinita la sua sapienza.
Ed ecco allora che ci insegna la sua via. La via dell’amore. Egli è l’Amore che per misericordia di noi si fa carne. Ecco allora che questo Amore misericordioso ci crea la via che anche i piccoli possono salire. Ed Egli, non per bisogno proprio, ma per insegnarcela, la percorre per primo. Egli neppure avrebbe bisogno di aprire le ali per rifondersi col Padre. Il suo spirito, io ve lo giuro, è chiuso qui, sulla misera Terra, ma è sempre col Padre, perché tutto può Dio, e Dio Egli è. Ma va avanti, lasciando dietro di Sé gli aromi della sua santità, l’oro e il fuoco del suo amore. Osservate la sua via. Oh! ben giunge all’arco sommo! Ma come è placida e sicura! Non è una retta: è una spirale. Più lunga, e il suo sacrificio di amore misericordioso si svela in questa lunghezza su cui Egli trattiene Se stesso per amore di noi deboli. Più lunga, ma più adatta alla nostra miseria. La salita all’Amore, a Dio, è semplice come è semplice l’Amore. Ma è profonda perché Dio è un abisso che direi irraggiungibile se Egli non si abbassasse per farsi raggiungere, per sentirsi baciare dalle anime di Lui innamorate (Giovanni parla e piange sorridendo con la bocca, nell’estasi del suo svelare Dio). È lunga la semplice via dell’Amore, perché l’Abisso che è Dio non ha fondo, e tanto uno potrebbe salire quanto volesse. Ma l’Abisso mirabile chiama il nostro abisso miserabile. Chiama con le sue luci e dice: “Venite a Me!”. Oh! Invito di Dio! Invito di Padre!
Udite! Udite! Dai Cieli lasciati aperti, perché il Cristo ne ha spalancato le porte — mettendo a tenerle tali gli angeli della Misericordia e del Perdono, perché in attesa della Grazia sugli uomini ne fluissero almeno luci, profumi, canti e sereni, atti a sedurre santamente i cuori umani — vengono incontro a noi parole soavissime. È la voce di Dio che parla. E la voce dice: “La vostra puerizia? Ma è la vostra moneta migliore! Vorrei che tutt’affatto piccoli diveniste per avere in voi l’umiltà, la sincerità e l’amore dei pargoli, il confidente amore dei pargoli verso il padre. La vostra incapacità? Ma è la mia gloria! Oh! venite. Neppure vi chiedo che voi da voi stessi proviate il suono delle pietre buone e cattive. Ma datele a Me! Io le sceglierò e voi vi ricostruirete. La scalata alla perfezione? Oh! no, piccoli figli miei. Qui la mano nella mano del Figlio mio, fratello vostro, ora e così, al suo fianco ascendete…”.
Ascendere! Venire a Te, eterno Amore! Prendere la tua somiglianza, ossia l’Amore! Amare! Ecco il segreto!… Amare! Darsi… Amare! Abolirsi… Amare! Fondersi… La carne? Un nulla. Il dolore? Un nulla. Il tempo? Un nulla. Il peccato stesso diviene nulla se io lo sciolgo nel tuo fuoco, o Dio! L’Amore solo è. L’Amore! L’Amore, che ci ha dato l’incarnato Iddio, ci darà ogni perdono. E amare è atto che nessuno sa meglio dei pargoli fare. E nessuno è amato più di un pargolo.
O tu che non conosco, ma che vuoi conoscere il Bene per distinguerlo dal Male, per avere l’azzurro, il sole celeste, tutto quanto è letizia soprannaturale, ama e l’avrai. Ama Cristo. Morirai nella vita, ma risusciterai nello spirito. Con uno spirito nuovo, senza più avere bisogno di usare le pietre, sarai per l’eternità un fuoco che non muore. La fiamma sale. Non abbisogna di scalini né di ali per salire. Libera il tuo io da ogni costruzione, poni in te l’Amore. Fiammeggerai. Lascia che ciò avvenga senza restrizioni. Aizza anzi la fiamma gettandovi ad alimentarla tutto il tuo passato di passioni, di sapere. Si distruggerà nella fiamma il men buono, e ciò che già è metallo nobile si farà puro. Gettati, o fratello, nell’amore attivo e gaudente della Trinità. Comprenderai ciò che ora ti pare incomprensibile, perché comprenderai Dio, il Comprensibile solo da quelli che si dànno senza misura al suo fuoco sacrificatore. Ti fisserai in ultimo in Dio in un abbraccio di fiamma, pregando per me, il pargolo di Cristo, che ha osato parlarti dell’Amore”.
Sono tutti di stucco: apostoli, discepoli, fedeli… L’interpellato è pallido, mentre Giovanni è di porpora non tanto per la fatica quanto per l’amore.
Infine Stefano ha un grido: “Te benedetto! Ma dimmi, chi sei?”.
E Giovanni — ed ha un atto che mi ricorda molto la Vergine nell’atto dell’Annunciazione — dice piano, curvandosi come adorando Colui che nomina: “Sono Giovanni. Tu vedi in me il minimo fra i servi del Signore”.
“Ma chi il tuo maestro prima d’ora?”.
“Alcuno che Dio non sia, poiché ho avuto il latte spirituale da Giovanni il presantificato di Dio, mangio il pane di Cristo Verbo di Dio, e bevo il fuoco di Dio che mi viene dai Cieli. Sia gloria al Signore!”.
“Ah! ma io non vi lascio più! Né te né costui, nessuno lascio. Prendetemi!”.
“Quando… Oh! ma qui è Pietro, il capo fra noi”, e Giovanni prende lo sbalordito Pietro e lo proclama così “il primo”.
E Pietro ritrova se stesso: “Figlio, a grande missione occorre severa riflessione. Questo è l’angelo di noi e accende. Ma occorre sapere se la fiamma in noi potrà durare. Misura te stesso. E poi vieni al Signore. Noi ti apriremo il cuore come a fratello carissimo. Per intanto, se vuoi conoscere meglio la nostra vita, resta. Le greggi del Cristo possono crescere a dismisura per essere scelti, fra i perfetti e gli imperfetti, i veri agnelli dai falsi montoni”.
E con questo ha fine la prima manifestazione apostolica.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 6 febbraio 2022 - V Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 5,1-11.
In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret
e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca».
Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».
E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.
Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».
Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto;
così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 65 pagina 397 - CD 1, traccia 65
E riprende sulle parole di Gesù:
«Quando a primavera tutto fiorisce, l’uomo del campo dice, contento: “Avrò molto frutto”. E giu­bila in cuor suo per questa speranza. Ma dalla primavera all’autunno, dal mese dei fiori a quello delle frutta, quanti giorni, quanti venti, e piogge, e sole, e burrasche hanno da passare, e talora guerra o crudeltà di potenti, e malattie delle piante, e talora malattia dell’uomo del campo, per cui — non più scalzate e rincalzate, irrigate, potate, sorrette, pulite — le piante, promettenti gran frutto, intristi­scono e muoiono o totalmente o nel loro raccolto!
Voi mi seguite. Voi mi amate. Voi, come piante a primavera, vi ornate di propositi e di amore. Ve­ramente Israele in quest’alba del mio apostolato è come le nostre dolci campagne nel luminoso mese di nisam. Ma udite. Come arsione di siccità, verrà Satana a bruciarvi col suo alito che mi invidia. Ver­rà il mondo col suo vento gelato a ghiacciare il vostro fiorire. Verranno le passioni come burrasche. Verrà il tedio come pioggia ostinata. Tutti i nemici miei e vostri verranno per isterilire ciò che dovreb­be venire da questa santa vostra tendenza a fiorire in Dio. Io ve ne avverto, perché so.
Ma tutto allor sarà perso, quando Io, come agricoltore malato — più che malato, morto — più non potrò dare a voi parole e miracoli? No. Io semino e coltivo sinché è il mio tempo. Poi su voi crescerà e maturerà, se voi farete buona guardia.
Guardate quel fico della casa di Simone di Giona. Chi lo piantò non trovò il punto giusto e propi­zio. Messo a dimora presso l’umido muro di settentrione, sarebbe morto se da sé stesso non avesse voluto tutelarsi per vivere. Ed ha cercato sole e luce. Eccolo là, tutto piegato, ma forte e fiero, che beve dall’aurora il sole, e se ne fa succo per i suoi cento e cento e cento dolci frutti. Si è difeso da sé. Ha detto: “Il Creatore m’ha voluto per dar gioia e cibo all’uomo. Io voglio che il suo volere abbia a compagno il mio!”. Un fico! Una pianta senza parola! Senza anima! E voi, figli di Dio, figli dell’uo­mo, sarete da meno della legnosa pianta?
Fate buona guardia per dar frutti di vita eterna. Io vi coltivo, e per ultimo vi darò un succo che più potente non ne esiste. Non fate, non fate che Satana rida sulle rovine del mio lavoro, del mio sacri­ficio e della vostra anima. Cercate la luce. Cercate il sole. Cercate la forza. Cercate la vita. Io sono Vita, Forza, Sole, Luce di chi mi ama. Qui sono per portare voi là da dove Io sono venuto. Qui parlo per chiamarvi tutti e additarvi la Legge dai dieci comandi che dànno la vita eterna. E con consiglio d’amore vi dico: “Amate Dio e il prossimo”. Condizione prima per compiere tutto ogni altro bene. Il più santo dei dieci comandi santi. Amate. Coloro che ameranno, in Dio, Dio e prossimo, e per il Si­gnore Iddio, avranno in Terra e in Cielo la pace per loro tenda e per loro corona».
La gente si allontana a fatica dopo la benedizione di Gesù. Non ci sono malati né poveri.
Gesù dice a Simone: «Chiama anche gli altri due. Andiamo sul lago a gettare la rete».
«Maestro, ho le braccia rotte dall’aver gettato e rialzato la rete per tutta la notte, e per nulla. Il pesce è nel profondo e chissà dove».
«Fa’ quel che ti dico, Pietro. Ascolta sempre chi ti ama».
«Farò quel che Tu dici, per rispetto alla tua parola», e chiama forte i garzoni e anche Giacomo e Giovanni. «Usciamo alla pesca. Il Maestro lo vuole». E mentre si allontanano dice a Gesù: «Però, Maestro, ti assicuro che non è ora propizia. A quest’ora i pesci chissà dove sono a riposo!…».
Gesù, seduto a prora, sorride e tace.
Fanno un arco di cerchio sul lago e poi gettano la rete. Pochi minuti di attesa e poi la barca riceve scosse strane, dato che il lago è liscio come di vetro fuso sotto il sole ormai alto.
«Ma questo è pesce, Maestro!», dice Pietro ad occhi spalancati.
Gesù sorride e tace.
«Issa! Issa!», ordina Pietro ai garzoni. Ma la barca piega di bordo dal lato della rete. «Ohè! Giaco­mo! Giovanni! Presto! Venite! Coi remi! Presto!».
Quelli corrono e gli sforzi delle due ciurme riescono ad issare la rete senza sciupare la preda.
Le barche accostano. Sono proprio unite. Un cesto, due, cinque, dieci. Sono tutti pieni di preda stupenda, e ce ne sono ancor tanti di pesci guizzanti nella rete: argento e bronzo vivo che si muove per sfuggire alla morte. Allora non c’è che un rimedio: rovesciare il resto nel fondo delle barche. Lo fanno, e il fondo è tutto un agitarsi di vite in agonia. La ciurma è dentro a questa dovizia sino a oltre il malleolo, e le barche affondano oltre la linea di immersione per il peso eccessivo.
«A terra! Vira! Forza! Di vela! Attenti al fondale! Pertiche pronte per riparare l’urto! È troppo il pe­so!».
Finché dura la manovra, Pietro non riflette. Ma giunti a terra lo fa. Capisce. Ne ha sgomento. «Maestro Signore! Allontanati da me! Io sono uomo peccatore. Non son degno di starti presso!». È in ginocchio sul greto umido.
Gesù lo guarda e sorride. «Alzati! Seguimi! Più non ti lascio! D’ora in poi tu sarai pescatore d’uo­mini, e con te questi tuoi compagni. Non temete più nulla. Io vi chiamo. Venite!».
«Subito, Signore. Voi occupatevi delle barche. Portate tutto a Zebedeo e a mio cognato. Andiamo. Tutti per Te, Gesù! Sia benedetto l’Eterno per questa elezione».
E la visione ha termine.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/