"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 3 Luglio 2016, XIV Domenica delle ferie del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 10,1-12.17-20.
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi;
non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.
Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi,
curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite:
Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino.
Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore.
Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare.
Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 278 pagina 372.
1Licienziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
«Avranno buona pesca» commenta Pietro che osserva.
«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?» chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?» domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose!».
2«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».
3«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.
4«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate fin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e bene d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò che fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore - era un re buono - non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.
La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.
5Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.
6La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo. Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. L’uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
Andate dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
Andate in pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 26 Giugno 2016, XIII Domenica delle ferie del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,51-62.
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme
e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui.
Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».
Ma Gesù si voltò e li rimproverò.
E si avviarono verso un altro villaggio.
Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada».
Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre».
Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa».
Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 575 pagina 189.
1Tersa è talmente circondata da uliveti rigogliosi che occorre esserle ben vicino per accorgersi che la città è lì. Una cinta di ortaglie di una fertilità splendida fa da ultimo paravento alle case. Negli orti radicchi, insalate, legumi, giovani piante di cucurbitacee, alberi da frutto, pergole, fondono e intrecciano i loro verdi diversi e i loro fiori promettenti frutto, o i frutticini promettenti delizie. Il piccolo fior della vite e quello degli ulivi più precoci piovono, sotto il passar di un venticello piuttosto vibrato, a spruzzar di una neve bianco-verde il suolo.
Da dietro un velario di canne e di salci, cresciuti presso una gora priva d’acqua ma dal fondo umido ancora, udendo lo scalpiccio dei sopravvenuti emergono gli otto apostoli mandati avanti prima. Sono visibilmente inquieti e addolorati, e fanno cenno di fermarsi. Intanto corrono avanti. Quando sono vicini tanto da poter essere sentiti senza aver bisogno di urlare, dicono: «Via! Via! Indietro, per la campagna. Non si può entrare nella città. Per poco ci lapidano. Venite via. Là, in quel folto parleremo...». Spingono indietro, giù per la gora asciutta, Gesù, i tre apostoli, il ragazzo, le donne, smaniosi di allontanarsi senza esser visti, e dicono: «Che non ci vedano qui. Andiamo! Andiamo».
Inutilmente Gesù, Giuda e i due figli di Zebedeo cercano di sapere cosa è accaduto. Inutilmente dicono: «Ma Giuda di Simone? Ma Elisa?». Gli otto sono inesorabili. Camminando fra l’intrico di steli e di piante acquatiche, segati nei piedi dai falaschi, urtati nel viso dai salci e dalle canne, scivolando sulla moticcia del fondo, aggrappandosi alle erbe, puntellandosi ai margini e infangandosi a dovere, si allontanano così, premuti alle spalle dagli otto, che camminano con il capo quasi all’indietro per vedere se da Tersa esce qualcuno ad inseguirli. Ma sulla via non c’è che il sole, che inizia il tramonto, e un magro cane vagante.
2Finalmente sono presso un macchione di rovi che delimitano una proprietà. Dietro al macchione, un campo di lino ondula al vento i suoi alti steli che si incielano dei primi fiori.
«Qui, qui dentro. Stando seduti nessuno ci vedrà, e quando sarà sera andremo...», dice Pietro asciugandosi il sudore...
«Dove?», chiede Giuda d’Alfeo. «Abbiamo le donne».
«In qualche luogo andremo. Del resto i prati sono pieni di fieni segati. Sarà un letto anche questo. Faremo tende alle donne coi nostri mantelli e noi veglieremo».
«Sì. Basta non esser visti e all’alba scendere al Giordano Avevi ragione, Maestro, a non volere la strada di Samaria. Meglio i ladroni, per noi poveri, ai samaritani!...», dice Bartolomeo affannato ancora.
«Ma che è successo insomma? È Giuda che ha fatto qualche...», dice il Taddeo.
Lo interrompe Tommaso: «Giuda le ha prese di certo. Mi spiace per Elisa...».
«Hai visto Giuda?».
«Io no. Ma è facile esser profeti. Se si è detto tuo apostolo, certo è stato picchiato. 3Maestro, non ti vogliono».
«Sì. Sono tutti rivoltati contro Te».
«Veri samaritani sono».
Parlano tutti insieme.
Gesù impone silenzio a tutti e dice: «Uno solo parli. Tu, Simone Zelote, che sei il più calmo».
«Signore, è presto detto. Noi entrammo in città e nessuno ci disturbò sinché non seppero chi siamo, sinché ci credettero pellegrini di passaggio. Ma quando chiedemmo - lo dovevamo pur fare! - se un uomo giovane, alto, bruno, vestito di rosso e con un talet a righe rosse e bianche, e una donna anziana, magra, coi capelli più bianchi che neri e una veste bigia molto scura, erano entrati in città e avevano cercato del Maestro galileo e dei suoi compagni, allora si inquietarono subito... Forse non dovevamo parlare di Te. Abbiamo certo sbagliato... Ma negli altri luoghi fummo accolti sempre così bene che... Non si capisce cosa è accaduto!... Sembrano vipere, quelli che soltanto tre giorni fa erano verso Te deferenti!...».
Lo interrompe il Taddeo: «Lavoro di giudei...».
«Non credo. Non lo credo per i rimproveri che ci fecero e per le minacce. Io credo... Anzi sono, siamo sicuri che è causa dell’ira samaritana Gesù che ha respinto la loro offerta di protezione. Urlavano: “Via! Via! Voi e il vostro Maestro! Vuole andare ad adorare sul Moria. E vada, e muoia Lui e tutti i suoi. Non c’è posto fra noi per quelli che non ci tengono per amici, ma soltanto per servi. Non vogliamo altre noie se non c’è compenso di utili. Pietre e non pane per il Galileo. I cani ad assalirlo, non le case ad accoglierlo”. Così, e più di così, dicevano. E poiché noi insistevamo per sapere almeno che era stato di Giuda, hanno preso pietre per colpirci e veramente hanno lanciato i cani. E urlavano fra loro: “Mettiamoci presso a tutte le entrate. Se Egli viene ci vendicheremo”. Noi siamo fuggiti. Una donna - c’è sempre chi è buono anche fra i malvagi - ci spinse nel suo orto e da lì ci condusse per una viottola fra gli orti sino alla gora che era senza l’acqua, avendo irrigato avanti il sabato. E ci nascose lì. E poi ci promise di farci sapere di Giuda. Ma non è più venuta. Attendiamola però qui. Perché ha detto che, se non ci troverà nella gora, qui verrà».
4I commenti sono molti. Chi continua ad accusare i giudei. Chi fa un lieve rimprovero a Gesù, un rimprovero nascosto nelle parole: «Tu hai parlato troppo chiaramente a Sichem e poi ti sei allontanato. In questi tre giorni essi hanno deciso che è inutile illudersi e danneggiarsi per uno che non li accontenta... ti cacciano...».
Gesù risponde: «Non mi pento di aver detto la verità e di fare il mio dovere. Ora non comprendono. Fra poco comprenderanno la giustizia mia e mi venereranno più che se non l’avessi avuta, e più grande dell’amore per loro».
«Ecco! Ecco la donna là sulla strada. Osa farsi vedere…», dice Andrea.
«Non ci tradirà, eh?», dice sospettoso Bartolomeo.
«È sola!».
«Potrebbe esser seguita da gente nascosta nella gora...».
Ma la donna, che avanza con un cesto sul capo, prosegue superando i campi di lino, dove sono in attesa Gesù e gli apostoli, e poi prende un sentierino e sparisce dalla vista... riapparendo improvvisa alle spalle degli attendenti, che si voltano quasi impauriti sentendo frusciare gli steli.
La donna parla agli otto che conosce: «Ecco! Perdonate se ho fatto attendere molto... Non volevo essere seguita. Ho detto che andavo da mia madre... So... E qui ho portato ristoro per voi. Il Maestro... Quale è? Vorrei venerarlo».
«Quello è il Maestro».
La donna, che ha deposto il suo cesto, si prostra dicendo: «Perdona alla colpa dei miei concittadini. Se non ci fosse stato chi ha aizzato... Ma sul tuo rifiuto hanno lavorato in molti...».
«Non ho rancore, donna. 5Alzati e parla. Sai del mio apostolo e della donna che era con lui?».
«Sì. Cacciati come cani, sono fuor dalla città, dall’altro lato, in attesa della notte. Volevano tornare indietro, verso Enon, a cercarti. Volevano venire qui, sapendo che qui erano i compagni. Ho detto che no, non lo facessero. Che stessero quieti, che io vi condurrò a loro. E lo farò, sol che cali il crepuscolo. Per buona sorte lo sposo mio è assente e sono libera di lasciar la casa. Vi condurrò da una mia sorella sposata nelle terre del piano. Dormirete là, senza dire chi siete, non per Merod ma per gli uomini che sono con lei. Non sono samaritani, della Decapoli sono, qui stabiliti. Ma è sempre bene...».
«Dio ti compensi. I due discepoli hanno avuto ferite?».
«Un poco l’uomo. Nulla la donna. E certo l’Altissimo la protesse perché ella, fiera, protesse suo figlio della sua persona quando i cittadini dettero mano alle pietre. Oh! che forte donna! Gridava: “Così colpite un che non vi ha offeso? E non rispettate me, che lo difendo e che madre sono? Non avete madri voi tutti, che non rispettate chi ha generato? Siete nati da una lupa o vi siete fatti col fango ed il letame?”, e guardava gli assalitori tenendo aperto il mantello a difesa dell’uomo, e intanto arretrava, spingendolo fuor dalla città... E anche ora lo conforta dicendo: “Voglia l’Altissimo, o mio Giuda, di questo tuo sangue sparso per il Maestro farne il balsamo del tuo cuore”. Ma è poca ferita. Forse l’uomo è più spaurito che dolente. Ma ora prendete e mangiate. Qui è latte munto da poco, per le donne, e pane con formaggi e frutta. Non ho potuto cuocere carni. Avrei tardato troppo. E qui è vino per gli uomini. Mangiate mentre scende la sera. Poi andremo per vie sicure dai due, e poi da Merod».
«Dio ti compensi ancora», dice Gesù e offre e spartisce il cibo mettendone da parte per i due lontani.
«No. No. Ad essi ho pensato io, portando uova e pane sotto le vesti e un poco di vino e olio per le ferite. Questo è per voi. Mangiate, ché io veglio la via...».
6Mangiano, ma lo sdegno divora gli uomini e l’accasciamento fa svogliate le donne. Tutte, meno Maria di Magdala, alla quale ciò che per le altre è paura o avvilimento fa sempre l’effetto di un liquore sferzante i nervi e il coraggio. I suoi occhi lampeggiano verso la città ostile. Solo la presenza di Gesù, che ha già detto di non aver rancore, la trattiene da parole fiere. E non potendo parlare né agire, scarica la sua ira sull’innocente pane, che addenta in maniera così significativa che lo Zelote non può trattenersi dal dirle sorridendo: «Buon per quei di Tersa che non possano cader fra le tue mani! Sembri una fiera tenuta in catene, Maria!».
«Lo sono. Hai visto giusto. E davanti agli occhi di Dio ha più valore questo mio trattenermi dall’entrare là, come essi meritano, che non quanto feci sin qui per espiare».
«Buona, Maria! Dio ti ha perdonato colpe più grandi della loro».
«È vero. Essi hanno offeso Te, mio Dio, una volta e per suggestione altrui. Io molte... e per volontà mia propria... e non posso essere intransigente e superba...». Riabbassa gli occhi sul suo pane e due lacrime cadono sul suo pane.
Marta le posa la mano in grembo dicendole sottovoce: «Dio ti ha perdonata. Non ti avvilire più... Ricorda ciò che avesti: Lazzaro nostro...».
«Non è avvilimento. È riconoscenza. È emozione... Ed è anche constatazione che io sono ancor priva di quella misericordia che pur ricevetti così ampia... Perdonami, Rabboni!», dice alzando i suoi splendidi occhi, che l’umiltà rifà dolci.
«Il perdono mai è negato a chi è umile di cuore, Maria».
7La sera scende, tingendo l’aria di un delicato sfumar di viola. Le cose un poco lontane si confondono. Gli steli del lino, prima visibili nella loro grazia, ora si unificano in un’unica massa scura. Tacciono gli uccelli fra le fronde. Si accende la prima stella. Frinisce il primo grillo fra l’erba. È sera.
«Possiamo andare. Qui, fra i campi, non saremo visti. Venite sicuri. Non tradisco. Non faccio per compenso. Chiedo solo pietà dal Cielo, ché tutti di pietà abbiamo bisogno», dice la donna sospirando.
Si alzano. Si avviano dietro di lei. Passano al largo di Tersa, fra campi e ortaglie semioscure, ma non tanto da non vedere uomini all’imbocco delle strade, intorno a dei fuochi...
«Sono in agguato di noi...», dice Matteo.
«Maledetti!», fischia fra i denti Filippo.
Pietro non parla, ma agita le braccia verso il cielo in una muta invocazione o protesta.
Ma Giacomo e Giovanni di Zebedeo, che si sono parlati fitto fitto, là, un poco avanti degli altri, tornano indietro e dicono: «Maestro, se Tu per la tua perfezione d’amore non vuoi ricorrere al castigo, vuoi che noi lo si faccia? Vuoi che diciamo al fuoco del Cielo di discendere e consumarli questi peccatori? Tu ci hai detto che tutto possiamo di ciò che chiediamo con fede e...».
Gesù, che camminava un poco curvo, come stanco, si raddrizza di scatto e li fulmina con due sguardi che balenano alla luce della luna. I due arretrano, tacendo impauriti davanti a quello sguardo. Gesù, sempre fissandoli così, dice: «Voi non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle. Non ricordate ciò che vi ho detto? Ho detto nella parabola del grano e del loglio: “Lasciate per ora che il grano e il loglio crescano insieme. Perché, a volerli separare ora, rischiereste di sbarbare col loglio anche il grano. Lasciateli perciò sino alla mietitura. Al tempo della messe dirò ai mietitori: raccogliete ora il loglio e legatelo in fasci per bruciarlo, e riponete il buon grano nel mio granaio”».
8Gesù ha già temperato il suo sdegno verso i due che, per una ira suscitata da amore per Lui, chiedevano di punire quelli di Tersa e che ora stanno a capo basso davanti a Lui. Li prende, uno a destra, uno a sinistra, per i gomiti, e si rimette in cammino guidandoli così e parlando a tutti, che si sono stretti intorno a Lui che si era fermato. «In verità vi dico che il tempo del mietere è vicino. La mia prima mietitura. E per molti non ci sarà la seconda. Ma - lode diamone all’Altissimo - qualcuno che non seppe divenire nel mio tempo spiga di buon grano, dopo la purificazione del Sacrificio pasquale rinascerà con un’anima nuova. Sino a quel giorno Io non infierirò su alcuno... Dopo sarà la giustizia...».
«Dopo la Pasqua?», chiede Pietro.
«No. Dopo il tempo. Non parlo di questi uomini, di ora. Io guardo i secoli futuri. L’uomo sempre si rinnova come le messi sui campi. E le raccolte si susseguono. E Io lascerò quel che abbisogna perché i futuri possano farsi grano buono. Se non lo vorranno, alla fine del mondo i miei angeli separeranno i logli dai grani buoni. Allora sarà l’eterno Giorno di Dio solo. Per ora, nel mondo è il giorno di Dio e di Satana. Il Primo seminante il Bene, il secondo gettando fra i semi di Dio i suoi dannati logli, i suoi scandali, le sue iniquità, i suoi semi suscitatori di iniquità e scandali. Perché sempre vi saranno quelli che eccitano contro Dio, come qui, con questi che, in verità, sono meno colpevoli di coloro che li eccitano al male».
«Maestro, ogni anno ci si purifica a Pasqua d’Azzimi, ma sempre si resta ciò che si era. Sarà forse diverso quest’anno?», chiede Matteo.
«Molto diverso».
«Perché? Spiegacelo».
«Domani... Domani, o quando saremo per la strada e con noi sarà anche Giuda di Simone, ve lo dirò».
«Oh! sì. Ce lo dirai e noi ci faremo più buoni... Intanto perdonaci, Gesù», dice Giovanni.
«Ben vi ho chiamati col giusto nome. Ma il tuono non fa male. La saetta, sì, può uccidere. Però il tuono molte volte preannuncia le saette. Così avviene a chi non leva ogni disordine contro l’amore dal suo spirito. Oggi domanda di poter punire. Domani punisce senza chiedere. Dopo domani punisce anche senza ragione. Il discendere è facile... Perciò vi dico di spogliarvi di ogni durezza verso il prossimo vostro. Fate come Io faccio e sarete sicuri di non sbagliare mai. Avete forse mai visto che Io mi vendichi di chi mi addolora?».
«No, Maestro. Tu...».
9«Maestro! Maestro! Siamo qui. Io ed Elisa. Oh! Maestro, quanto affanno per Te! E quanta paura di morire...», dice Giuda di Keriot sbucando da dietro dei filari di vite e correndo a Gesù. Una benda gli fascia la fronte. Elisa lo segue più calma.
«Hai patito? Hai temuto di morire? Tanto ti è cara la vita?», chiede Gesù liberandosi da Giuda che lo abbraccia e piange.
«Non la vita. Temevo Dio. Morire senza il tuo perdono... Io ti offendo sempre. Tutti offendo. Anche questa... E lei mi ha risposto facendomi da madre. Colpevole mi sentivo e temevo la morte...».
«Oh! salutare timore se può farti santo! Ma Io ti perdono, sempre, tu lo sai, sol che tu abbia volontà di pentimento. E tu, Elisa? Hai perdonato?».
«È un grande fanciullo sfrenato. So compatire».
«Sei stata forte, Elisa. Lo so».
«Se essa non c’era! Non so se ti avrei rivisto, Maestro!».
«Tu vedi dunque che non per odio ma per amore ella era rimasta al tuo fianco... Non hai patito ferita, Elisa?».
«No, Maestro. Le pietre mi cadevano intorno senza farmi danno. Ma il cuore ha avuto molta ambascia pensando a Te...».
«Tutto è finito ormai. Seguiamo la donna che ci vuole condurre in una casa sicura».
Si rimettono in cammino, prendendo una stradetta bianca di luna che va verso oriente.
10Gesù ha preso per un braccio l’Iscariota ed è avanti con lui. Dolcemente gli parla. Cerca di lavorare sul cuore scosso dalla passata paura del giudizio di Dio: «Tu vedi, Giuda, come è facile il morire. Sempre in agguato la morte intorno a noi. Tu vedi come ciò che pare trascurabile cosa quando siamo pieni di vita divenga grande, paurosamente grande cosa quando la morte ci sfiora. Ma perché voler avere queste paure, crearsele per trovarsele di fronte nel momento del morire, quando con una vita santa si può ignorare lo spavento del prossimo giudizio divino? Non ti pare che meriti vivere da giusti per avere un placido morire? Giuda, amico mio. La divina, paterna misericordia ha permesso questo avvenimento perché fosse un richiamo al tuo cuore. Sei ancora in tempo, Giuda... Perché non vuoi dare al tuo Maestro che sta per morire la gioia grande, grandissima di saperti tornato al Bene?».
«Ma mi puoi ancora perdonare, Gesù?».
«E così ti parlerei se non lo potessi? Come mi conosci ancora poco! Io ti conosco. So che sei come chi è abbrancato da una piovra gigante. Ma, se tu volessi, potresti liberarti ancora. Oh! soffriresti, certo. Strapparsi di dosso quelle catene che ti mordono e ti avvelenano, sarebbe dolore. Ma, dopo, quanta gioia, Giuda! Temi di non aver forza di reagire ai tuoi suggestionatori? Io posso assolverti in anticipo del peccato di trasgressione al rito pasquale... Tu sei un malato. Per i malati la Pasqua non è obbligatoria. Nessuno è più malato di te. Tu sei come un lebbroso. I lebbrosi non salgono a Gerusalemme, sinché sono tali. Credi, Giuda, che il comparire davanti al Signore con lo spirito immondo, quale lo hai tu, non è onorarlo, ma offenderlo. Bisogna prima...».
11«Perché allora non mi purifichi e guarisci?», chiede già duro, riottoso, Giuda.
«Non ti guarisco! Quando uno è malato cerca da sé la guarigione. A meno che non sia un fanciullino o uno stolto, che non sanno volere...».
«Trattami come tali persone. Trattami da stolto e provvedi Tu, a mia stessa insaputa».
«Non sarebbe giustizia, perché tu puoi volere. Tu sai ciò che è bene e ciò che è male per te. E non gioverebbe il mio guarirti senza la tua volontà di rimanere guarito».
«Dammi anche questa».
«Dartela? Importela, allora, una volontà buona? E il tuo libero arbitrio? Che diverrebbe, allora? Che sarebbe il tuo io di uomo, creatura libera? Succube?».
«Come sono succube di Satana, potrei esserlo di Dio!».
«Come mi ferisci, Giuda! Come mi trapassi il cuore! Ma per quello che mi fai, Io ti perdono... Succube di Satana, hai detto. Io non dicevo questa tremenda cosa...».
«Ma la pensavi, perché è vera e perché Tu la conosci, se è vero che Tu leggi nei cuori degli uomini. Se così è, Tu sai che io non sono più libero di me... Esso mi ha preso e...».
«No. Esso si è a te accostato, tentandoti, assaggiandoti, e tu lo hai accolto. Non c’è possessione se non c’è all’inizio un’adesione a qualche tentazione satanica. Il serpente insinua il capo fra le sbarre fitte messe a difesa dei cuori, ma non entrerebbe se l’uomo non gli allargasse un varco per ammirarne l’aspetto seduttore, per ascoltarlo, per seguirlo... Solo allora l’uomo diviene succube, posseduto, ma perché lo vuole. Anche Dio saetta dai Cieli le luci dolcissime del suo paterno amore, e le sue luci penetrano in noi. Meglio: Dio, a cui tutto è possibile, scende nel cuore degli uomini. È il suo diritto. Perché allora l’uomo, che sa divenire schiavo, succube dell’Orrendo, non sa farsi servo di Dio, anzi figlio di Dio, e scaccia il Padre suo santissimo? Non mi rispondi? Non mi dici perché hai preferito, voluto Satana a Dio? Ma pure saresti ancora in tempo a salvarti! 12Tu lo sai che Io vado a morire. Nessuno come te lo sa... Io non mi rifiuto dal morire... Vado. Vado alla morte perché la mia morte sarà la Vita per tanti. Perché non vuoi essere fra questi? Solo per te, amico mio, mio povero, malato amico, sarà inutile il mio morire?».
«Sarà inutile per tanti, non ti illudere. Faresti meglio a fuggire e a vivere lontano di qui, godere la vita, insegnare la tua dottrina, perché è buona, ma non sacrificarti».
«Insegnare la mia dottrina! Ma cosa insegnerei più di vero, se facessi il contrario di ciò che insegno? Che Maestro sarei se predicassi l’ubbidienza alla volontà di Dio e non la facessi, l’amore per gli uomini e poi non li amassi, la rinuncia alla carne e al mondo e poi amassi la carne mia e gli onori del mondo, il non dare scandalo e poi scandalizzassi non solo gli uomini ma gli angeli, e così via? Per te parla Satana in questo momento. Come ha parlato a Efraim. Come tante volte ha parlato e agito, attraverso a te, per turbare Me. Io le ho riconosciute tutte queste azioni di Satana, compiute con tuo mezzo, e non ti ho odiato, non ho avuto stanchezza di te, ma soltanto pena, infinita pena. Come una madre che sorvegli i progressi di un male che porta alla morte il suo figlio, Io ho guardato il progredire del male in te. Come un padre che non si fa rincrescere cosa alcuna pur di trovare i farmachi al suo figlio malato, Io non mi sono fatto rincrescere nulla per salvarti, ho superato ripugnanze, sdegni, amarezze, sconforti... Come un padre e una madre desolati, disillusi su ogni potere terreno, si volgono al Cielo per ottenere la vita del figlio, così Io ho gemuto e gemo implorando un miracolo che ti salvi, ti salvi, ti salvi sull’orlo dell’abisso che già frana sotto i tuoi piedi.
13Giuda, guardami! Fra poco il mio Sangue sarà sparso per i peccati degli uomini. Non me ne resterà goccia. Lo beveranno le zolle, le pietre, le erbe, le vesti dei miei persecutori e le mie..., il legno, il ferro, le funi, le spine del nabacà... e lo beveranno gli spiriti che attendono salute... Solo tu non ne vuoi bere? Io, per te soltanto, lo darei tutto questo mio Sangue. Tu sei l’amico mio. Come si muore volentieri per l’amico! Per salvarlo! Si dice: “Io muoio. Ma io continuerò a vivere nell’amico al quale ho dato la vita”. Come una madre, come un padre che continuano a vivere nella loro prole anche dopo che sono spenti. Giuda, Io te ne supplico! Non chiedo altro in questa mia vigilia di morte. Al condannato anche i giudici, anche i nemici concedono un’ultima grazia, esaudiscono l’ultimo desiderio. Io ti chiedo di non dannarti. Non lo chiedo tanto al Cielo quanto a te, alla tua volontà... Pensa a tua madre, Giuda. Che sarà tua madre, dopo? Che, il nome della tua famiglia? Invoco al tuo orgoglio, questo è più che mai fiero, di difenderti contro il tuo disonore. Non disonorarti, Giuda. Pensa. Passeranno gli anni e i secoli, cadranno i regni e gli imperi, si illanguidiranno le stelle, muterà la configurazione della Terra, e tu sarai sempre Giuda, come Caino è sempre Caino, se tu persisti nel tuo peccato. Finiranno i secoli. E resterà soltanto Paradiso e Inferno, e in Paradiso e nell’Inferno, per gli uomini risorti e accolti con anima e corpo, in eterno, là dove è giusto che siano, tu sarai sempre Giuda, il maledetto, il colpevole più grande, se non ti ravvedi. Io scenderò a liberare gli spiriti dal Limbo, li trarrò a schiere dal Purgatorio, e tu... non ti potrò trarre dove Io sono... Giuda, Io vado a morire, felice vado, perché è venuta l’ora che da millenni attendevo, l’ora di riunire gli uomini al Padre loro. Molti non li riunirò. Ma il numero dei salvati che contemplerò nel morire mi consolerà dello strazio del morire inutilmente per tanti. Ma, Io te lo dico, sarà tremendo vederti fra questi, tu, mio apostolo, amico mio. Non mi dare l’inumano dolore!... Ti voglio salvare, Giuda! Salvare. 14Guarda. Noi scendiamo al fiume. Domani all’alba, quando ancora tutti dormono, noi lo passeremo, noi due, e tu andrai a Bozra, ad Arbela, ad Aera, dove vuoi. Tu sai le case dei discepoli. A Bozra cerca di Gioacchino e di Maria, la lebbrosa da Me guarita. Ti darò uno scritto per loro. Dirò che per la tua salute si esige un riposo quieto in aria diversa. È la verità, purtroppo, poiché tu sei malato nello spirito e l’aria di Gerusalemme ti sarebbe letale. Ma essi crederanno che tu lo sia nel corpo. Starai là sinché Io non te ne venga a trarre. Ai tuoi compagni penserò Io... Ma non venire a Gerusalemme. Vedi? Non ho voluto le donne, meno le più forti fra esse, e quelle che per diritto di madri devono essere presso i figli loro».
«Anche la mia?».
«No. Maria non sarà a Gerusalemme...».
«È madre di un apostolo essa pure e ti ha sempre onorato».
«Sì. E avrebbe diritto come le altre di stare vicino a Me, che ama con perfetta giustizia. Ma appunto per questo non ci sarà. Perché Io le ho detto di non esserci, ed ella sa ubbidire».
«Perché non deve esserci? Cosa in lei di diverso dalla madre dei tuoi fratelli e dei figli di Zebedeo?».
«Tu. E tu lo sai perché dico questo. Ma se tu mi ascolti, se vai a Bozra, Io manderò ad avvisare tua madre e te la farò accompagnare, perché ella, che è tanto buona, ti aiuti a guarire.
15Credilo, noi soli ti amiamo così, senza misura. Tre sono che ti amano in Cielo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che ti hanno contemplato e che attendono il tuo volere per fare di te la gemma della Redenzione, la preda più grande strappata all’Abisso; e tre in Terra: Io, tua madre e mia Madre. Facci felici, Giuda! Noi del Cielo, noi della Terra, questi che ti amano di vero amore».
«Tu lo dici: tre soli sono che mi amano; gli altri... no».
«Non come noi. Ma tanto ti amano. Elisa ti ha difeso. Gli altri erano in affanno per te. Quando tu ci sei lontano, tutti ti hanno in cuore e il tuo nome è sulle labbra. Tu non conosci tutto l’amore che ti circonda. Il tuo oppressore te lo nasconde. Ma credi alla mia parola».
«Ti credo. E cercherò di farti contento. Ma voglio fare da me. Da me ho sbagliato, da me devo sapermi guarire dal male».
«Unicamente Dio può fare da sé. Questo tuo pensiero è di superbia. Nella superbia è ancora Satana. Sii umile, Giuda. Afferra questa mano che ti si offre amica. Rifugiati su questo cuore che ti si apre protettore. Qui, con Me, non ti potrebbe far del male Satana».
«Ho provato a stare con Te... Sono sempre più disceso... È inutile!».
«Non lo dire! Non lo dire! Respingi lo sconforto. Dio può tutto. Stringiti a Dio. Giuda! Giuda!».
«Taci! Che gli altri non sentano...».
«E ti preoccupi degli altri e non del tuo spirito? Misero Giuda!...».
16Gesù non parla più. Ma continua a stare al fianco dell’apostolo sinché la donna, che era avanti qualche metro, entra in una casa emersa da un folto d’ulivi. Allora dice Gesù al suo discepolo: «Io non dormirò questa notte. Pregherò per te e ti attenderò... Dio parli al tuo cuore. E tu ascoltalo... Resterò qui, dove sono ora, a pregare. Sino all’alba... Ricordalo».
Giuda non gli risponde. Sono sopraggiunti gli altri e le donne, e sostano tutti insieme in attesa che la samaritana ritorni. Non sta molto a tornare. È insieme ad un’altra donna che le somiglia e che li saluta dicendo: «Non ho molte stanze, perché già sono qui i segatori che per ora lavorano agli ulivi. Ma ho grande il granaio e molta paglia è in esso. Per le donne ho posto. Venite».
«Andate! Io resto qui in preghiera. La pace a voi tutti», dice Gesù. E mentre gli altri se ne vanno, Egli trattiene sua Madre dicendole: «Io resto a pregare per Giuda, Madre mia. Aiutami tu pure...».
«Ti aiuterò, Figlio mio. Rinasce forse in lui il volere?».
«No, Mamma. Ma noi dobbiamo fare come se... Il Cielo può tutto, Mamma!».
«Sì. E io posso ancora illudermi. Non Tu, Figlio mio. Tu sai. Santo Figlio mio! Ma io ti imiterò sempre. Va’ tranquillo, amor mio! Anche quando Tu non potrai più parlargli, perché egli ti fuggirà, io cercherò di condurtelo. E sol che il Padre santissimo ascolti il mio dolore... Mi lasci stare con Te, Gesù? Pregheremo insieme... e saranno tante ore da averti per me sola...».
«Resta, Mamma. Ti attendo qui».
Maria va lesta e lesta torna.
17Si siedono sulle loro sacche, ai piedi degli ulivi. Nel gran silenzio si sente il fruscio del fiume poco lontano, e il canto dei grilli sembra forte nel gran tacere della notte. Poi cantano gli usignoli. E ride una civetta. E piange un assiolo. E le stelle trasmigrano lente nel firmamento, regine, ora che la luna più non le offusca essendo già tramontata. E poi un gallo rompe l’aria cheta col suo squillante richiamo. Molto più lontano, appena percepibile, un altro gallo risponde. Poi di nuovo il silenzio, rotto da un arpeggiar di guazze, che cadono dalle tegole della prossima casa sul selciato che la contorna. E poi un fruscio nuovo fra le fronde, come perché scuotano l’umido notturno, e un isolato pispolio di uccello che si ridesta, e contemporaneamente un mutar del cielo, un ridestarsi della luce. È l’alba. E Giuda non è venuto...
Gesù guarda la Madre, bianca come un giglio contro l’ulivo scuro, e le dice: «Abbiamo pregato, Madre. La preghiera nostra Dio la userà...».
«Sì, Figlio mio. Sei pallido come la morte. Veramente la tua vitalità si è esalata tutta in questa notte per premere sulle porte dei Cieli e sui decreti di Dio!».
«Tu pure sei pallida, Madre. Grande è la tua fatica».
«Grande è il mio dolore per il tuo dolore».
18La porta della casa si apre cauta... Gesù trasale. Ma non è che la donna che li ha condotti, quella che esce senza fare rumore. Gesù sospira: «Ho sperato di essermi potuto sbagliare!».
La donna viene avanti col suo cesto vuoto. Vede Gesù. Lo saluta e proseguirebbe. Ma Egli la chiama. Le dice: «Il Signore di tutto ti compensi. Io pur vorrei, ma non ho nulla con Me».
«Nulla vorrei, Rabbi. Nessun compenso. Ma una cosa vorrei, pur non volendo denaro. E questa me la puoi dare!».
«Che, donna?».
«Che il cuore del mio sposo mutasse. E questo Tu lo puoi fare, perché Tu sei veramente il Santo di Dio».
«Va’ in pace. Ti sarà fatto come tu chiedi. Addio».
La donna se ne va lesta verso la sua casa, che deve essere ben triste.
Maria commenta: «Un’altra infelice. Per questo è buona!...».
19Si affaccia dal granaio la testa arruffata di Pietro e, dietro la sua, quella luminosa di Giovanni, e poi il profilo severo del Taddeo, e il volto brunastro dello Zelote, e il viso magro del giovinetto Beniamino... Tutti sono desti. Ecco dalla casa uscire prima di tutte Maria di Magdala, e dietro lei Niche, e poi le altre. Quando tutti sono riuniti e la donna che li ha ospitati ha già portato un secchiello di latte ancor schiumoso, appare l’Iscariota. Non ha più la benda. Ma il livido della percossa gli tinge metà della fronte, e l’occhio è ancor più cupo nel cerchio violaceo.
Gesù lo guarda. Giuda guarda Gesù e poi volge il capo altrove. Gesù gli dice: «Acquista dalla donna quanto può darci. Noi andiamo avanti. Raggiungici».
E veramente Gesù, salutata la donna, si avvia. Tutti lo seguono.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 19 Guigno 2016, XII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,18-24.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?».
Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
«Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 343 pagina 309.
1La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cercandolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono aver dormito all’aperto, al massimo in un pagliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel silenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi delle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono luccicare fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
«Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?» chiedono a Gesù che era solo, meditabondo, e che si è fermato ad attenderli.
«Vedete se c’è barca per passare. È meglio andare di qui...».
«Sì. Al ponte che è proprio sulla via di Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce» osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
«No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Safet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cédès. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano Belzebù che li conduce» dice calmo e umile l’Iscariota.
«Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere occhio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri progetti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangelizzazione si tramuterà in perpetua fuga» ribatte Bartolomeo.
Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sull’argine».
E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile, li accoglie anche qui. Una pianura fertile, ma poco popolata. Solo i contadini che la coltivano hanno casa in essa.
2«Uhm! Come faremo per il pane? Io ho fame… E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape» mormora Pietro ai compagni, che sorridono all’osservazione.
Giuda Taddeo si volta - era un poco più avanti - e dice: «Compreremo pane al primo paese».
«Sempre che non ci facciano fuggire» termina Giacomo di Zebedeo.
«Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal prendere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!» dice Gesù.
Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sappiamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Come dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi...».
Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
«Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimarreste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso. Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricordate che ne raccoglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fare per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cinquemila con cinque pani. Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, contro di Me. È odio, quello. Ed è eresia. Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisaico. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo entrerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo volere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non avete in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi potrebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare la pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno di darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo che è contro l’amore e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti».
3«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Maestro?» chiede Tommaso.
«Era lievito e veleno».
«Hai fatto bene a non darglielo».
«Ma glielo darò un giorno».
«Quando? Quando?» chiedono curiosi.
«Un giorno...».
«E che segno è? Non lo dici nemmeno a noi, tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito» chiede voglioso Pietro.
«Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
«Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te» dice veementemente Giacomo di Zebedeo.
4«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, chi dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’uomo?».
«Chi dice che Tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu la sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
«Qualcuno però usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice “Figlio dell’uomo”».
«E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Figlio dell’uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione, questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che non sei neppure il Figlio dell’uomo, ma un povero uomo che Satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi» dice Bartolomeo.
«Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’uomo?».
«È un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uomo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma solo trasportato altrove dagli angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente! Perciò pensano in molti che il Figlio dell’uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla terra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono convinti dell’infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà...» dice ancora Bartolomeo.
«Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impossibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per salvarli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima» conferma lo Zelote. E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’uomo. Infatti in Te è ogni grazia e sapienza come uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelligenza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita? Essi, i crudeli, gli odiatori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio abbia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi nel cercare e punire le colpe».
5«E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».
«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» grida Pietro inginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per abbracciarlo dicendo:
«Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti da Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere ed accettare la risposta che ti veniva dai Cieli. Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giacomo. Tu non conoscevi la mia santità di figlio, di operaio, di cittadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come feci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tommaso, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!” Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua fede fu scossa. Per questo Io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».
6Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello infrenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille sentimenti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone - il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!.. Proprio!», incredulo e ridanciano - un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sotto quel pianto per far apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.
Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e muscolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e brizzolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevole, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime sparse, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse liquore vitale… e beve, beve, beve dolcezza e grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…
7Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio”».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 12 Giugno 2016, XI Domenica delle ferie del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 7,36-50.8,1-3.
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola.
Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato;
e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.
A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure».
«Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta.
Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?».
Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.
Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi.
Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.
Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati».
Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?».
Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; và in pace!».
In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio.
C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni,
Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 236 pagina 51.
1A conforto del mio complesso soffrire, e per farmi dimenticare le cattiverie degli uomini, il mio Gesù mi concede questa soave contemplazione.
Vedo una ricchissima sala. Un ricco lampadario a molti becchi pende nel centro ed è tutto acceso. Alle pareti tappeti bellissimi, sedili intarsiati ed incrostati di avorio e di laminature preziose e mobili pure molto belli.
Nel centro una grande tavola quadrata ma composta di quattro tavole unite. La tavola è certo apparecchiata in tal modo per i molti convitati (tutti uomini) ed è ricoperta di bellissime tovaglie e di ricco vasellame. Vi sono anfore e coppe preziose e molti sono i servi che si muovono intorno ad essa portando pietanze e mescendo vini. Nel centro del quadrato non c’è nessuno. Vedo il pavimento molto bello su cui si riflette la luce del lampadario ad olio. Dal lato esterno, invece, ci sono molti letti-sedili, tutti occupati dai commensali.
Mi pare d’essere nell’angolo semibuio posto in fondo alla sala, presso ad una porta che è spalancata dalla parte esterna, ma che è nello stesso tempo chiusa da un pesante tappeto o arazzo che pende dal suo architrave.
Nel lato più lontano dalla porta, è il padrone di casa con gli invitati più importanti. È un uomo vecchiotto, vestito con un’ampia tunica bianca stretta alla vita da una cintura ricamata. La veste ha anche, al collo e al fondo delle maniche e della veste stessa, dei bordi di ricamo applicato come fossero nastri ricamati o galloni, se più le piace chiamarli così. Ma il volto di questo vecchiotto non mi piace. È un volto maligno, freddo, superbo e avido.
Nel lato opposto, di fronte a lui, sta il mio Gesù. Io lo vedo di fianco e direi quasi di dietro, alle spalle. Ha la sua solita veste bianca, i sandali, i capelli bipartiti sulla fronte e lunghi come sempre.
Noto che tanto Lui che tutti i commensali non siedono, come io credevo si sedesse su quei letti-sedili, ossia perpendicolarmente alla tavola, ma parallelamente. Nella visione delle nozze di Cana non avevo fatto molto caso a questo particolare, avevo visto che mangiavano stando appoggiati sul gomito sinistro, ma mi pareva che fossero meno adagiati, forse perché i letti erano meno lussuosi e molto più corti. Questi sono veri letti, paiono i moderni divani alla turca.
Gesù ha vicino Giovanni e, dato che Gesù sta appoggiato col gomito sinistro (come tutti), risulta che la posizione dei due è così. Insomma Giovanni è incastrato fra la tavola e il corpo del Signore, giungendo col suo gomito verso l’inguine del Maestro, di modo che non gli ostacola di mangiare, ma che gli permette anche, se vuole, di appoggiarsi confidenzialmente al suo petto.
Di donne non ce ne è nessuna. Tutti parlano, e il padrone di casa ogni tanto si rivolge, con affetta condiscendenza e con palese degnazione, a Gesù. È chiaro che vuole dimostrargli, e dimostrare a tutti i presenti, che gli ha fatto un grande onore ad invitarlo alla sua ricca casa, lui, povero profeta giudicato anche un poco esaltato… Vedo che Gesù risponde con cortesia, pacatamente. Sorride del suo lieve sorriso a chi lo interroga, sorride con un sorriso luminoso se chi gli parla, o anche solo lo guarda, è Giovanni.
2Vedo alzarsi la ricca tenda che copre il vano della porta ed entrare una donna giovane, bellissima, riccamente vestita e accuratamente pettinata. La sua abbondantissima chioma bionda le fa sulla testa un vero ornamento di ciocche intrecciate con arte. Pare porti un elmo d’oro tutto a rilievi, tanto la chioma splende ed è abbondante. Ha una veste che, se la confronto con quella sempre vista alla Vergine Maria, direi molto eccentrica e complicata. Fibbie sulle spalle, gioielli per trattenere le increspature al sommo del petto, catenelle d’oro per delineare il petto stesso, cintura a borchie d’oro e gemme. Una veste procace che mette in rilievo le linee del bellissimo corpo. Sulla testa un velo così leggero che… non vela niente. È un’aggiunta ai suoi vezzi e basta. Ai piedi, sandali molto ricchi con fibbie d’oro, di pelle rossa e con lacci intrecciati sulla caviglia.
Tutti, meno Gesù, si voltano a guardarla. Giovanni la osserva un attimo, poi si volge verso Gesù. Gli altri la fissano con apparente e maligna golosità. Ma la donna non li guarda per niente e non si cura del sussurrio che si è destato al suo entrare e dell’ammiccare di tutti i presenti, meno Gesù e il discepolo. Gesù mostra di non accorgersi di nulla. Continua a parlare terminando il discorso che aveva intavolato col padrone di casa.
La donna va verso Gesù e si inginocchia presso i piedi del Maestro. Appoggia in terra un vasetto a forma di anfora molto panciuta, si leva il velo dal capo spuntando lo spillone prezioso che lo tratteneva puntato ai capelli, si sfila dalle dita gli anelli e posa tutto sul letto-sedile presso i piedi di Gesù, e poi prende fra le sue mani i piedi, prima il destro, poi il sinistro, e ne slaccia i sandali, li depone al suolo, poi bacia, con gran scoppio di pianto, quei piedi, vi appoggia contro la fronte, se li carezza e le lacrime cadono come una pioggia, che luccica alle fiamme del lampadario, che riga la pelle di quei piedi adorabili.
3Gesù volge lentamente il capo, appena appena, e il suo sguardo azzurro cupo si posa un istante sulla testa reclina. Uno sguardo che assolve. Poi torna a guardare verso il centro. La lascia libera nel suo sfogo.
Ma gli altri no. Motteggiano fra loro, ammiccano, ghignano. E il fariseo si mette un momento seduto per vedere meglio, e ha uno sguardo fra desideroso, crucciato e ironico. Desideroso della donna. È palese questo sentimento. Crucciato che sia entrata tanto liberamente, cosa che potrebbe far pensare agli altri che la donna è… ospite frequente della sua casa. Ironico riguardo a Gesù…
Ma la donna non si accorge di niente. Continua a piangere dirottamente, senza gridi. Solo lacrimoni e rari singulti. Poi si spunta i capelli, traendone le forcine d’oro che sostenevano la complicata pettinatura, e pone anche queste forcine vicino agli anelli e allo spillone. Le matasse d’oro si srotolano per le spalle. Ella le prende a due mani, se le porta sul petto e le passa sui piedi bagnati di Gesù, finché li vede asciutti. Poi immerge le dita nel vasetto e ne trae una pomata lievemente giallina e odorosissima. Un profumo fra di giglio e tuberosa si spande per tutta la sala. La donna attinge senza avarizia e stende e spalma e bacia e carezza.
Gesù di tanto in tanto la guarda con tanta amorosa pietà. Giovanni, che si è voltato stupito dallo scoppio di pianto, non sa distaccare l’occhio dal gruppo di Gesù e della donna. Guarda l’Uno e l’altra alternativamente. Il volto del fariseo è sempre più arcigno.
4Odo qui le note parole del Vangelo, e le odo accompagnate da un tono e da uno sguardo che fanno abbassare il capo al vecchio astioso.
Odo le parole di assoluzione alla donna, che se ne va lasciando ai piedi di Gesù i suoi gioielli. Ella si è arrotolato il velo intorno al capo serrando in esso alla bene e meglio le chiome sfatte. Gesù nel dirle: «Va’ in pace» le pone la mano sulla testa china, per un attimo. Ma con atto dolcissimo.



5Gesù ora mi dice:
«Quello che ha fatto chinare il capo al fariseo e ai suoi compagni, e che non è riportato nel Vangelo, sono le parole che il mio spirito, attraverso al mio sguardo, ha dardeggiato e confitto in quell’anima arida e avida. Ho risposto molto più di quanto non sia detto, perché nulla mi era occulto dei pensieri degli uomini. Ed egli mi ha capito nel mio muto linguaggio, che era ancor più denso di rimprovero di quanto non lo fossero le mie parole.
Gli ho detto: “No. Non fare insinuazioni malvagie per giustificare te stesso a te stesso. Io non ho la tua libidine. Costei non viene a Me per attrazione di senso. Io non sono te e come sono i tuoi simili. Ella viene a Me perché il mio sguardo e la mia parola, udita per puro caso, le hanno illuminata l’anima in cui la lussuria aveva creato la tenebra. E viene perché vuol vincere il senso, e comprende, povera creatura, che da sola non vi riuscirebbe mai. Essa ama in Me lo spirito, nulla più che lo spirito che sente soprannaturalmente buono. Dopo tanto male che ha ricevuto da voi tutti, che avete sfruttato la sua debolezza per i vostri vizi ricambiandola poi con le staffilate dello sprezzo, ella viene a Me perché sente di aver trovato il Bene, la Gioia, la Pace, inutilmente cercate fra le pompe del mondo. Guarisci da questa tua lebbra di anima, fariseo ipocrita, sappi vedere giusto nelle cose. Deponi superbia di mente e lussuria di carne. Queste sono lebbre ben più fetide di quelle della vostra persona. Di quest’ultima il mio tocco vi può guarire perché per essa mi invocate, ma della lebbra dello spirito no, perché voi di questa non volete guarire perché vi piace. Costei lo vuole. Ed ecco che Io la mondo, ecco che Io la affranco dalle catene della sua schiavitù. La peccatrice è morta. Essa è là, in quegli ornamenti che ella si vergogna di offrirmi perché Io li santifichi usandoli per i bisogni miei e dei miei discepoli, per i poveri che Io soccorro con l’altrui superfluo perché Io, Padrone dell’universo, non possiedo nulla ora che sono il Salvatore dell’uomo. Essa è là in quel profumo sparso sui miei piedi, avvilito come i suoi capelli, su quella parte del corpo che tu hai spregiato di rinfrescare con l’acqua del tuo pozzo dopo che ho fatto tanto cammino per venire a portare luce anche a te. La peccatrice è morta. Ed è rinata Maria, rifatta bella come fanciulla pudica dal suo vivo dolore, dal suo retto amore. S’è lavata nel suo pianto. In verità ti dico, o fariseo, che fra costui che m’ama nella sua giovinezza pura e questa che m’ama nella sincera contrizione di un cuore rinato alla Grazia, Io non faccio differenza, e al puro e alla pentita commetto l’incarico di comprendere il mio pensiero come nessuno, e quello di dare al mio Corpo le estreme onoranze ed il primo saluto (non conto quello particolare di mia Madre) quando Io sarò risorto”.
Ecco quanto volevo dire col mio sguardo al fariseo. 6Ma a te faccio notare un’altra cosa, a tua gioia e a gioia di molti.
Anche a Betania Maria ripeté il gesto che segnò l’alba della sua redenzione. Vi sono gesti personali che si ripetono e denunciano una persona come lo stile della stessa. Gesti inconfondibili. Ma, poiché era giusto, a Betania il gesto è meno avvilito e più confidenziale nella sua riverente adorazione. Molto ha camminato Maria da quell’alba di sua redenzione. Molto. L’amore l’ha trascinata come rapido vento in alto e in avanti. L’amore l’ha arsa come un rogo distruggendo in lei la carne impura e facendo signore in lei uno spirito purificato. E Maria, diversa nella sua risorta dignità di donna come diversa nella veste, ora semplice come quella della Madre mia, nell’acconciatura, nello sguardo, nel contegno, nella parola, nuova, ha un nuovo modo di onorarmi con lo stesso gesto. Prende l’ultimo dei suoi vasi di profumo, serbato per Me, e me lo sparge sui piedi, senza pianto, con sguardo che l’amore e la sicurezza d’esser perdonata e salvata fa lieto, e sul capo. Può ben ungermi e toccarmi il capo, ora, Maria. Il pentimento e l’amore l’hanno mondata col fuoco dei serafini ed ella è un serafino.
7Dillo a te stessa, o Maria, mia piccola “voce”, dillo alle anime. Va’, dillo alle anime che non osano venire a Me perché si sentono colpevoli. Molto, molto, molto è perdonato a chi molto mi ama. A chi molto mi ama. Voi non sapete, povere anime, come vi ama il Salvatore! Non temete di Me! Venite. Con fiducia. Con coraggio. Io vi apro il Cuore e le braccia.
Ricordatelo sempre: “Io non faccio differenza fra colui che mi ama con la sua purezza integra e colui che mi ama nella sincera contrizione d’un cuore rinato alla Grazia”. Sono il Salvatore. Ricordatelo sempre.
Va’ in pace. Ti benedico».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 5 Giugno 2016, X Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 7,11-17.
In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!».
E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!».
Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo».
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 189 pagina 224.
Naim doveva avere una certa importanza ai tempi di Gesù. Non è molto vasta, ma ben costruita, chiusa dentro la sua cinta di mura, stesa su una bassa e ridente collina, una propaggine del piccolo Hermon, dominante dall’alto sulla pianura fertilissima che si spiega in direzione nord-ovest.
Vi si giunge, venendo da Endor, dopo avere valicato un fiumicello che certo è affluente del Giordano. Però da qui il Giordano non si vede più, e neppure la sua valle, perché delle colline lo celano facendo un arco a punto interrogativo verso est.
Gesù vi si dirige per una via maestra che congiunge le regioni del lago all’Ermon e ai suoi paesi. Dietro di Lui camminano molti abitanti di Endor parlando fitto fitto fra di loro.
La distanza che separa il gruppo apostolico dalle mura è ormai molto breve: un duecento metri al massimo. E, posto che la strada maestra va diretta ad immettersi per una porta in città, e la porta è spalancata essendo giorno pieno, si può vedere quanto avviene immediatamente al di là delle mura. È così che Gesù, che parlava con gli apostoli e col nuovo convertito, vede venire, fra un grande fracasso di piangenti e simili apparati orientali, un corteo funebre.
“Andiamo a vedere, Maestro?”, dicono in molti. E già fra i cittadini di Endor molti si sono precipitati a vedere.
“Andiamo pure”, dice Gesù condiscendente.
“Oh! deve essere un fanciullo, perché vedi quanti fiori e nastri sulla barella?”, dice Giuda di Keriot a Giovanni.
“Oppure sarà una vergine”, risponde Giovanni.
“No, è certo un giovinetto per i colori che vi hanno messo. E poi mancano i mirti…”, dice Bartolomeo.
Il funerale esce oltre le mura. Cosa sia sulla barella, tenuta alta sulle spalle dei portatori, non è possibile vedere. Si intuisce il corpo steso nelle sue bende e coperto dal lenzuolo solo per il rilievo che fa, e si comprende che è il corpo di uno che ha già raggiunto lo sviluppo completo perché è lungo quanto la barella.
Al suo fianco una donna velata, sorretta da parenti o amiche, cammina piangendo. L’unico pianto vero in tutta quella commedia di piagnone. E quando un sasso incontrato da un portatore, una buca, un rialzo, fa imprimere una scossa alla barella, la madre geme: “Oh! no! Fate piano! Ha tanto sofferto il mio bambino!”, e alza una mano tremante ad accarezzare l’orlo della barella — di più non può — e, non potendo di più, bacia i veli ondeggianti e i nastri che il vento talora sommuove e che sfiorano perciò la forma immobile.
“È la madre”, dice Pietro compunto e con un luccicore di pianto nell’occhio arguto e buono.
Ma non è il solo che abbia il pianto agli occhi per quello strazio. Lo Zelote, Andrea, Giovanni e persino il sempre allegro Tommaso hanno negli occhi del luccicore. Tutti, tutti sono commossi. Giuda Iscariota mormora: “Fossi io! Oh! povera madre mia…”.
Gesù, il cui occhio è di una dolcezza intollerabile tanto è profonda, si dirige verso la barella.
La madre, che singhiozza più forte perché il corteo sta per torcere verso il sepolcro già aperto, lo scansa con violenza vedendo che Gesù fa per toccare la bara. Nel suo delirio chissà cosa teme. Urla: “È mio!”, e con occhi folli guarda Gesù.
“Lo so, madre. È tuo”.
“È il mio unico figlio! Perché a lui la morte, a lui che era buono e caro, la gioia di me, vedova? Perché?”.
La folla delle piangenti aumenta il suo pagato pianto per far coro alla madre che continua: “Perché lui e non io? Non è giusto che chi ha generato veda perire il suo seme. Il seme deve vivere perché altrimenti, perché altrimenti a che serve che queste viscere si squarcino per dare alla luce un uomo?”, e si percuote sul ventre, feroce e disperata.
“Non fare così! Non piangere, madre”. Gesù le prende le mani in una stretta potente e le tiene con la sua sinistra mentre con la destra tocca la bara dicendo ai portatori: “Fermatevi e posate a terra la barella”.
I portatori ubbidiscono abbassando il lettuccio, che resta appoggiato sui suoi quattro piedi al suolo.
Gesù afferra il lenzuolo che copre il morto e lo getta indietro scoprendo la salma.
La madre grida il suo dolore con il nome del figlio, credo: “Daniele!”.
Gesù, sempre tenendo le mani materne nella sua, si raddrizza, imponente nel suo fulgore di sguardi, col suo viso dei miracoli più potenti, e abbassando la destra ordina con tutta la forza della voce: “Giovinetto! Io te lo dico: sorgi!”.
Il morto, così come è, fra le fasce, si leva a sedere sulla barella e chiama: “Mamma!”. La chiama con la voce balbettante e spaurita di un piccolo terrorizzato.
“È tuo, donna. Io te lo rendo in nome di Dio. Aiutalo a liberarsi dal sudario. E siate felici”. E Gesù fa per ritirarsi.
Ma sì! La folla lo inchioda alla bara su cui si è rovesciata la madre, che annaspa fra le bende per fare presto, presto, presto, mentre il lamento infantile, implorante, si ripete: “Mamma! Mamma!”.
Il sudario è slegato, slegate le bende, e madre e figlio si possono abbracciare, e lo fanno senza tenere conto dei balsami che appiccicano e che poi la madre leva dal caro viso, dalle care mani, con le stesse bende, e poi, non avendo con che rivestirlo, la madre si leva il mantello e ve lo avvolge, e tutto serve ad accarezzarlo…
Gesù la guarda… guarda questo gruppo di amore, stretto sulle sponde del lettuccio non più funebre, e piange.
Lo vede Giuda Iscariota, questo pianto, e chiede: “Perché piangi, Signore?”.
Gesù volge il volto verso di lui e dice: “Penso a mia Ma-dre…”.
Il breve colloquio richiama la donna al suo Benefattore. Pren-de per mano il figlio e lo sorregge, perché è come uno che abbia un resto di torpore nelle membra, e si inginocchia dicendo: “Anche tu, figlio mio. Benedici questo Santo che ti ha reso alla vita e a tua madre”, e si china a baciare la veste di Gesù mentre la folla osanna a Dio e al suo Messia, ormai conosciuto per quello che è perché gli apostoli e i cittadini di Endor si sono presi l’incarico di dire chi è Colui che ha operato il miracolo.
E tutta la folla ormai esclama: “Sia benedetto il Dio di Israele. Benedetto il Messia, il suo Inviato! Benedetto Gesù, Figlio di Davide! Un grande Profeta è sorto fra noi! Dio ha veramente visitato il suo popolo! Alleluia! Alleluia!”.
Finalmente Gesù può sgusciare dalla stretta e penetrare in città. La folla lo segue e lo insegue, esigente nel suo amore.
Accorre un uomo e saluta profondamente. “Ti prego sostare nel mio tetto”.
“Non posso. La Pasqua mi vieta ogni sosta oltre quelle stabilite”.
“Fra poche ore è il tramonto ed è venerdì…”.
“Appunto che devo prima del tramonto avere raggiunto la mia tappa. Ti ringrazio lo stesso. Ma non mi trattenere”.
“Ma io sono il sinagogo”.
“E con ciò vuoi dire che ne hai il diritto. Uomo, bastava che Io tardassi un’ora che quella madre non avrebbe riavuto il figlio. Io vado dove altri infelici mi attendono. Non ritardare per egoismo la loro gioia. Verrò, di certo, un’altra volta e starò con te, in Naim, più giorni. Ora lasciami andare”.
L’uomo non insiste più. Dice solo: “È detto. Ti attendo”.
“Sì. La pace sia con te e con i cittadini di Naim. Anche a voi di Endor pace e benedizione. Tornate alle case. Dio vi ha parlato attraverso il miracolo. Fate che in voi avvengano, per forza d’amore, tante risurrezioni al Bene per quanti sono i cuori”.
Un ultimo coro di osanna. Poi la folla lascia andare Gesù, che traversa diagonalmente la città ed esce verso la campagna, verso Esdrelon.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/