"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
Print Friendly and PDF

Domenica 3 marzo 2024 - III Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 2,13-25.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 53 pagina 331 - CD 1, traccia 53
Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto del Tempio. Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della città. Dall’alto del colle su cui il tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte, formicolare di gente. Pare che tra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai mille colori. Sì, la città ha l’aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore. Nell’interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luoghi sacri è annullato. Chi corre e chi chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di loro, l’agnello. Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocio. Si capisce che, non so se in ogni momento o in questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da ... Borsa, e borsa nera. I valore delle monete non era fisso. Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete. E le assicuro che non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi. Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio messo da parte con chissà che fatica in tutta l’annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall’uno all’altro cambiavalute e finivano magari per tornare dal primo, che si vendica della loro iniziale diserzione, aumentando l’aggio del cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani del proprietario e passavano fra le grinfie dell’usuraio e venivano mutate in monete più spicciole. Poi altra tragedia di scelte, di conti e sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami. Vedo tornare due vecchietti, lui e lei, spingendo un povero agnelletto che deve essere stato trovato difettoso dai sacrificatori. Pianti, suppliche, mali garbi, parolacce si incrociano senza che il venditore si commuova. “Per quello che volete spendere, galilei, è fin troppo bello quanto vi ho dato. Andatevene! O aggiungete altri cinque denari per averne uno più bello.” “In nome di Dio! Siamo poveri e vecchi! Vuoi impedirci di fare la Pasqua, che è l’ultima forse? Non ti basta quello che hai voluto per una piccola bestia?” “Fate largo, lerciosi. Viene a me Giuseppe l’Anziano. Mi onora della sua preferenza. Dio sia con te! Vieni, scegli!” “Entra nel recinto, e prende un magnifico agnello, quello che è chiamato Giuseppe l’Anziano, ossia il d’Arimatea. Passa pomposo nella veste, e superbo, senza guardare i poverelli gementi alla porta, anzi all’apertura del recinto. Li urta, quasi, specie quando esce coll’agnello grasso e belante. Ma anche Gesù è ormai vicino. Anche Lui ha fatto il suo acquisto, e Pietro, che probabilmente ha contrattato per Lui, si tira dietro un agnello discreto. Pietro vorrebbe andare subito verso il luogo dove si sacrifica. Ma Gesù piega a destra, verso i due vecchietti sgomenti, piangenti, indecisi, che la folla urta e il venditore insulta. Gesù, tanto alto da avere il capo dei due nonnetti all’altezza del cuore, pone una mano sulla spalla della donna e chiede: “Perché piangi, donna?” La vecchietta si volge e vede questo giovane alto, solenne nel suo bell’abito bianco e nel mantello pure di neve, tutto nuovo e mondo. Lo deve scambiare per un dottore sia per la veste che per l’aspetto e, stupita, perché dottori e sacerdoti non fanno caso alla gente, né tutelano i poveri contro l’esosità dei mercanti, dice le ragioni del loro pianto. Gesù si rivolge all’uomo degli agnelli. “Cambia questo agnello a questi fedeli. Non è degno dell’altare, come non è degno che tu ti approfitti di due vecchierelli perché deboli e indifesi.” “E Tu chi sei?” “Un giusto.” “La tua parlata e quella dei tuoi compagni ti dicono galileo. Può essere mai in Galilea un giusto?” “Fa quello che ti dico e sii giusto tu.” “Udite! Udite il galileo difensore dei suoi pari! Egli vuole insegnare a noi del Tempio! L’uomo ride e beffeggia, contraffacendo la cadenza galilea, che è più cantante e ricca di dolcezza della giudaica, almeno così mi pare. Della gente si fa intorno, e altri mercanti e cambiavalute prendono le difese del consocio contro Gesù. Fra i presenti vi sono due o tre rabbini ironici. Uno di questi chiede: “Sei Tu dottore?” in un modo tale da far perdere la pazienza a Giobbe. “Lo hai detto.” “Che insegni?” “Questo insegno: a rendere la Casa di Dio casa di orazione e non un posto di usura e di mercato. Questo insegno.” Gesù è terribile. Pare l’arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada fiammeggiante tra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi. In mano non ha nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e e banco, sparpaglia le monete così meticolosamente allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade con fracasso al suolo, fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e legni percossi e grida d’ira, di sgomento, di approvazione. Poi, strappate di mano a dei garzoni del bestiame, delle funi con cui essi tenevano a posto bovi, pecore, e agnelli, ne fa una sferza ben dura, in cui i nodi per formare i lacci scorsoi divengono flagelli, e l’alza e la rotea e l’abbassa, senza pietà. Sì, le assicuro: senza pietà. La impensata gradine percuote teste e schiene. I fedeli si scansano ammirando la scena; i colpevoli, inseguiti fino alla cinta esterna, se la danno a gambe lasciando per terra denaro e indietro bestie e bestiole in un grande arruffio di gambe, di corna, di ali; chi corre, chi vola via; e muggiti, belati, scruccolii di colombi e tortore, insieme a risate e urla di fedeli dietro agli strozzini in fuga, soverchiano persino il lamentoso coro degli agnelli, sgozzati in un altro cortile di certo. Accorrono sacerdoti insieme a rabbini e farisei. Gesù è ancora in mezzo al cortile, di ritorno da suo inseguimento. La sferza è ancora nella sua mano. “Chi sei? Come ti permetti di fare questo, turbando le cerimonie prescritte? Da quale scuola provieni? Noi non ti conosciamo, né sappiamo chi sei.” “Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per dar lode a Dio. Non Io turbo la santità della Casa di Dio e delle cerimonie, ma voi la turbate permettendo che la sua dimora divenga sede agli usurai ed ai mercanti. La mia scuola è la scuola di Dio. La stessa che ebbe tutto Israele per bocca dell’Eterno parlante a Mosè. Non mi conoscete? Mi conoscerete. Non sapete da dove Io vengo? Lo saprete.” E volgendosi al popolo, senza più curarsi dei sacerdoti, alto nell’abito bianco, col mantello aperto e fluente dietro le spalle, a braccia aperte come un oratore nel più vivo della sua orazione, dice: “Udite, voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’Tu costituirai dei giudici e dei magistrati a tutte le porte... ed essi giudicheranno il popolo con giustizia, senza propendere da nessuna parte. Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché i donativi accecano gli occhi dei savi ed alterano le parole dei giusti. Con giustizia seguirai ciò che è giusto per vivere e possedere la terra che il Signore tuo ti avrà data.’’ Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: ‘’I sacerdoti e i leviti e tutti quelli della tribù di Levi non avranno parte né eredità col resto di Israele, perché devono vivere coi sacrifizi del Signore e colle offerte che a Lui sono fatte; nulla avranno tra i possessi dei loro fratelli, perché il Signore è la loro eredità.’’ Udite, o voi di Israele! Nel deuteronomio è detto: ‘’Non presterai ad interesse al tuo fratello né denaro, né grano, né qualsiasi altra cosa. Potrai prestare ad interesse allo straniero; al tuo fratello invece presterai senza interesse quello che gli bisogna’’. Questo ha detto il Signore. Ora voi vedete che senza giustizia verso il povero si siede in Israele. Non nel giusto, ma nel forte si propende, ad esser povero, esser popolo, vuol dire essere oppresso. Come può il popolo dire: ‘’Chi ci giudica è giusto’’ se vede che solo i potenti sono rispettati e ascoltati, mentre il povero non ha chi lo ascolti? Come può il popolo rispettare il Signore, se vede che non lo rispettano coloro che più dovrebbero farlo? E’ rispetto al Signore la violazione del suo comando? E perché allora i sacerdoti in Israele hanno possessi e accettano donativi da pubblicani e peccatori, i quali così fanno per avere benigni i sacerdoti, così come questi fanno per avere ricco scrigno? Dio è l’eredità dei suoi sacerdoti. Per essi, Egli, il Padre di Israele, è più che mai Padre, e provvede al cibo come è giusto. Ma non più di quanto sia giusto. Non ha promesso ai suoi servi del Santuario borsa e possessi. Nell’eternità avranno il Cielo per la loro giustizia, come lo avranno Mosé ed Elia e Giacobbe e Abramo, ma su questa terra non devono avere che veste di lino e diadema di incorruttibile oro: purezza e carità, e che il corpo sia servo allo spirito che è servo del Dio vero, e non sia il corpo colui che è signore sullo spirito e contro Dio. M’è stato chiesto con quale autorità Io faccio questo Ed essi con quale autorità profanano il comando di Dio e all’ombra delle sacre mura permettono usura contro i fratelli di Israele, venuti per ubbidire al comando divino? M’è stato chiesto da quale scuola Io provengo ed ho risposto: ‘’Dalla scuola di Dio’’. Sì, Israele, Io vengo e ti riporto a questa scuola santa e immutabile. Chi vuol conoscere la Luce, la Verità, la Vita, chi vuole risentire la voce di Dio parlante al suo popolo, a Me venga. Avete seguito Mosé attraverso i deserti, o voi di Israele. Seguitemi, ché Io vi porto, attraverso a ben più tristo deserto, incontro alla vera Terra beata. Per mare aperto al comando di Dio ad essa vi traggo. Alzando il mio Segno, da ogni male Io vi guarisco. L’ora della Grazia è venuta. L’hanno attesa i Patriarchi e sono morti nell’attenderla. L’hanno predetta i Profeti e sono morti con questa speranza. L’hanno sognata i giusti e sono morti confortati da questo sogno. Ora è sorta. Venite. ‘’Il Signore sta per giudicare il suo popolo e per fare misericordia ai suoi servi’’, come ha promesso per bocca di Mosè.” La gente, assiepata intorno a Gesù, è rimasta a bocca aperta ad ascoltarlo. Poi commenta le parole del nuovo Rabbi e interroga i suoi compagni. Gesù si avvia verso un altro cortile, separato da questo da un porticato. Gli amici lo seguono e la visione ha fine.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 25 febbraio 2024 - II Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,2-10.
Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 349 pagina 354 - CD 5, traccia 54
Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risveglia ta da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa - dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si dischiudono, co me bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata; all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzio ne di polvere, fumo e sentore di corpi umani -vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo. Vanno in direzione sud est, valicando i colli che fanno coro na a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est. Questi monti sono preceduti dal cono semitronco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri ca rabinieri vista di profilo.Lo raggiungono. Gesù si ferma e dice: «Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Naza ret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo». E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sul la cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare là?».«Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!». «Oh! mio Signore! Non potremmo andare un poco più ada gio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?». «Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza, Simon Pietro! Lassù vi farò riposare». E riprende a salire...

(Dice Gesù: «Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P. M. copierà ciò che ti mostro ora»).

5 agosto 1944.
Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fino nelle lontananze. Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci tro viamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un lar go raggio. Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incasto narsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da sme raldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si incre spa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbia ni, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di un azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli al beri che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umo re. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pia nura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le di verse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più pre coci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud. Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palese mente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa. «Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limi te d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli. Pietro si leva i sandali e ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col ca po su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le pal pebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.6Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi. Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Natu ralmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la lumino sità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile. Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eri ga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vede re più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si ve de talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, in candescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima. Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. «Mae stro, Maestro», chiamano piano ma con ansia. Egli non sente. «È in estasi» dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?». I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano. La Luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e lumi nosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e seve rità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva. I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo nep pure una delle parole dette.I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfran ca e dice: «È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi fac ciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi...». Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda an che Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro oc chi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sem brano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba. «Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compia ciuto. Ascoltatelo». Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a sve nire: «Il Signore parla!». Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto so lo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa. Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome. «Alzatevi. Sono Io. Non temete» dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuoi mostrarli all’Altissimo. «Levatevi, dunque. Ve lo comando» ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride. «Oh! Maestro, Dio mio!» esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come fare mo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che ab biamo udito la voce di Dio?». «Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allo ra parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno». «Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così». «Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rive lazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Fi glio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via
dalla quale sono saliti insieme a Gesù.
[3 dicembre 1945]. ...Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”.; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia... Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tut ti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella di spensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni so no, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti... e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo... e dopo!... La paura delle paure! La voce di Dio!... Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!». Tu. E ti ha proclamato “suo Fi glio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!... a noi!... Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!... Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo... Ma come ha fatto tua Madre a vedere... a sentire... a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?». «Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi, che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria» dice dolcemente Gesù. «Che cosa! Che cosa!... Ma dopo Tu hai parlato di morte... E ogni gioia è finita... Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?». «Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha vo luto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo... Avete capito?». «Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”». Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.«Non li troveremo» dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti». «Vieni e non crearti stolti pensieri».Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte. «Ohimè! Scribi!... E disputano già!» dice Pietro accennando li. E scende gli ultimi metri a malincuore.Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando: «Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuti in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato». «Di che disputavate fra voi?».«Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è messo Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pre garti. Ascoltalo». Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò. «Maestro» gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché Tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli là si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o ri schia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo!». Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare?». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi. Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio». L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte ros seggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi ma gnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica. Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e di ce: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano». E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo as sale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto acciecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, co me credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici».«Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede».«Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a suffi cienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo» dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il fi glio più che mai in convulsione. Gesù si raddrizza, si tira indietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte: «Spirito ma ledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non rientrarvi mai più!». Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.«È morto!» gridano in molti. «Povero fanciullo!», «Povero padre!» compiangono i migliori. E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno!», oppure: «Maestro, come è? Questa volta Belzebù ti ha fatto fare brutta figura...», e ridono veleno samente. Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha ri voltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, men tre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla...«E ora andiamo» dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via già fatta al mattino.
Dice Gesù:«E ora qui P M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 (quaderno A 930) cominciando dalle parole: “Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nel la gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».
[5 agosto 1944]. Dice Gesù: «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la Chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltan to a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve aver parte meco nella gioia. Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.Mai superbia. Saresti punita perdendomi.Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfe zione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incene rirvi. Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostra to il Cielo.Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho invitati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho cono sciuto e non conosco riposo. Perché il Male non riposa mai e il Bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del Nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiu to. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamen te, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio con tatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la Rive lazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere i se gni dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cri sto nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’Anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito sopran naturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’Anticristo, la pace or mai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al Nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi delle ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo vostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giusti zia e sarà il Vincitore della Bestia e dei suoi servi e profeti, ri conoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla terra, comune al Cristo, al suo Precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è an cora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della crea tura ancora unita alla carne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 18 febbraio 2024 - I Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,12-15.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287 - CD 1, traccia 46
Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: "Sei solo?"
Gesù lo guarda e non risponde.
"Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?"
Gesù lo guarda da capo e tace.
"Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò."
Gesù non alza più neppure gli occhi.
"Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni".
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
"Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te."
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
"Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: "Voglio", perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa..."
"Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’."
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
"Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!"
" ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto".
"Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!".
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: "Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!".
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.
Dice Gesù:
"Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem" e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 11 febbraio 2024 - VI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,40-45.
Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 63 pagina 386 - CD 1, traccia 63
Con una precisione da fotografia perfetta ho davanti alla vista spirituale, da stamane prima ancora che fosse l’alba, un povero lebbroso. Questo è veramente un rudere di uomo. Non saprei dire che età ha, tanto è devastato dal male. Scheletrito, seminudo, mostra il suo corpo ridotto ad uno stato da mummia corrosa, dalle mani e dai piedi contorti e mancanti di parti, di modo che quelle povere estremità non paiono più neppur di uomo. Le mani, artigliate e contorte, hanno della zampa di qualche mostro alato, i piedi paiono quasi zoccoli di bove, tanto sono mozzi e sfigurati. La testa poi!... Io credo che uno rimasto insepolto, e che divenga mummificato dal sole e dal vento, sia simile nel capo a questo capo. Pochi superstiti ciuffetti di capelli, sparsi qua e là, appiccicati alla cute giallastra e crostosa come per polvere seccata su un teschio, occhi appena socchiusi e incavatissimi, labbra e naso sbocconcellati dal male mostrano già le cartilagini e le gengive, le orecchie sono due embrionali ruderi di padiglione, e su tutto è stesa una pelle incartapecorita, gialla come certi caolini, sotto la quale sbucano le ossa. Pare abbia ufficio di tenere radunate queste povere ossa entro il suo lurido sacco, tutto frinzelli di cicatrici o lacerazioni di piaghe putride. Una rovina! Penso proprio ad una Morte che sia vagante per la terra e ricoperta da una pelle incartapecorita sullo scheletro, avvolta in un lurido manto tutto a brandelli, e avente in mano non la falce, ma un nodoso bastone, certo strappato a qualche albero. E’ sulla soglia di una spelonca fuori mano, una vera spelonca, tanto diruta che non posso dire se in origine era un sepolcro, o un capanno per boscaioli, o l’avanzo di qualche casa distrutta. Guarda verso la via, lontana un cento e più metri dal suo antro, una via maestra, polverosa e ancora piena di sole. Nessuno è sulla via. A perdita d’occhio, sole, polvere e solitudine sulla via. Molto più su, a nord-ovest, vi deve essere un paese o città. Vedo le prime case. Sarà lontana almeno un chilometro. Il lebbroso guarda e sospira. Poi prende una ciotola sbocconcellata e la riempie ad un rigagnolo. Beve. Si addentra in un groviglio di rovi, dietro all’antro, si curva, strappa al suolo dei radicchi selvatici. Torna al rigagnolo, li monda dalla polvere più grossa con l’acqua scarsa del rio e se li mangia piano, portandoli a fatica alla bocca con le mani rovinate. Devono esser duri come stecchi. Tenta a masticarli e molti li sputa senza poterli inghiottire, nonostante cerchi di aiutarsi bevendo sorsi d’acqua. “Dove sei, Abele?” grida una voce. Il lebbroso si scuote, ha un che sulle labbra che potrebbe essere un sorriso. Ma sono così mal ridotte, quelle labbra, che è informe anche questa larva di sorriso. Risponde con una voce stana, stridula (mi fa pensare al grido di certi pennuti di cui ignoro l’esatto nome): “Qui sono! Non credevo più che tu venissi. Pensavo ti fosse accaduto del male, ero triste... Se mi manchi anche tu, cosa resta al povero Abele?”. Nel dire così cammina verso la via, finché può secondo la Legge, si vede, perché a mezza distanza si ferma. Sulla via viene avanti un uomo che quasi corre, tanto va lesto. “Ma sei proprio tu, Samuele? Oh! se non sei tu che attendo, chiunque tu sia, non farmi del male!” “Sono io, Abele, proprio io. E sano. Guarda come corro. Sono in ritardo, lo so. E ne avevo pena per te. Ma quando saprai... oh! tu sarai felice. E qui ho non solo i soliti tozzi di pane. Ma una intera pagnotta fresca e buona, tutta per te, e ho anche del buon pesce e un formaggio. Tutto per te. Voglio tu faccia festa, mio povero amico, per prepararti alla festa più grande.” “Ma come sei tanto ricco? Io non capisco..” “Ora ti dirò.” “E sano. Non sembri più tu.” “Senti, dunque. Ho saputo che a Cafarnao era quel Rabbi che è santo, e sono andato...” “Fermati, fermati! Sono infetto!” “Oh! non importa! Non ho più paura di niente.” L’uomo, che non è altro che il povero rattratto guarito e beneficato da Gesù nell'orto di Pietro, è infatti giunto col suo passo veloce a pochi passi dal lebbroso. Ha parlato camminando e ridendo felice. Ma il lebbroso dice ancora: “Fermati, in nome di Dio. Se ti vede qualcuno...” “Mi fermo. Guarda: metto qui le provviste. Mangia mentre io parlo.” Pone su un grosso sasso un fagottello e lo apre. Poi si ritrae di qualche passo, mentre il lebbroso si avanza e si getta sul cibo inusitato. “Oh! quanto è che non mangiavo così! Come è buono! E pensare che sarei andato al riposo a stomaco vuoto. Non un pietoso, oggi... e tu neppure... Mi ero masticato dei radicchi....” “Povero Abele! Lo pensavo. Ma dicevo: ‘Bene. Ora sarà triste. Ma poi sarà felice!” “Felice, sì, per questo buon cibo. Ma poi...” “No! Sarai felice per sempre.” Il lebbroso scuote il capo. “Senti, Abele. Se tu puoi avere fede, sarai felice.” “Ma fede in chi?” “Nel Rabbi. Nel Rabbi che ha guarito me.” “Ma io sono lebbroso e all’ultimo punto! Come può guarirmi?” “Oh! lo può. E’ santo.” “Sì, anche Eliseo guarì Naaman il lebbroso... Lo so... Ma io... Io non posso andare al Giordano.” “Tu sarai guarito senza bisogno d’acqua. Ascolta: questo Rabbi è il Messia, capisci? Il Messia! Il Figlio di Dio, è. E guarisce tutti quelli che hanno fede. Dice: ‘Voglio’ e i demoni scappano, e le membra si raddrizzano, e gli occhi ciechi vedono.” “Oh! se avrei fede io! Ma come posso vedere il Messia?” “Ecco... sono venuto per questo. Egli è là, in quel paese. So dove è questa sera. Se vuoi... Io ho detto: ‘Lo dico ad Abele, e se Abele sente di aver fede lo conduco al Maestro’.” “Sei pazzo, Samuele? Se mi avvicino alle case sarò lapidato”. “Non nelle case. La sera sta per scendere. Ti condurrò sino a quel boschetto, e poi andrò a chiamare il Maestro. Te lo condurrò...” “Va’, va’ subito! Vengo da me sino a quel punto. Camminerò nel fossato, fra la siepe, ma tu va’, va’!... Oh!, amico buono! Se sapessi cosa è avere questo male. E cosa è sperare di guarire!...” Il lebbroso non si cura neppur più del cibo. Piange e gestisce implorando l’amico. “Vado, e tu vieni.” L’ex rattratto va via di corsa. Abele scende a fatica nel fosso che costeggia la via, tutto pieno di cespugli cresciuti nel fondo asciutto. Vi è appena al centro un filo d’acqua. La sera scende mentre l’infelice scivola fra le macchie dei cespugli, sempre all’erta se ode un passo. Due volte si appiatta sul fondo: la prima per un cavaliere che percorre al trotto la via, la seconda per tre uomini, carichi di fieno, diretti al paese. Poi prosegue. Ma prima di lui giunge al boschetto Gesù con Samuele. “Fra poco sarà qui. Va lento per le piaghe. Abbi pazienza.” “Non ho fretta.” “Lo guarirai?” “Ha fede?” “Oh! moriva di fame, vedeva quel cibo dopo anni di astinenza, eppure ha lasciato tutto dopo pochi bocconi per correre qui.” “Come lo hai conosciuto?” “Sai... vivevo di elemosina dopo la mia sventura e percorrevo le vie per andare da un luogo all’altro. Di qui passavo ogni sette giorni e avevo conosciuto quel poverello... un giorno in cui, costretto dalla fame, si era spinto, sotto un temporale da mettere in fuga i lupi, sin sulla via del paese, in cerca di qualcosa. Frugava fra le immondizie come un cane. Io avevo del pane secco nella bisaccia, obolo di persone buone, e ho fatto a mezzo con lui. Da allora siamo amici e ogni settimana lo rifornisco. Con quel che ho... Se ho molto, molto; se poco, poco. Faccio quel che posso come mi fosse un fratello. E’ dalla sera che mi hai guarito, benedetto Tu sia, che penso a lui... e a Te.” “Sei buono, Samuele, per questo la grazia ti ha visitato. Chi ama merita tutto da Dio. Ma ecco là qualcosa fra le frasche...” “Sei tu, Abele?”“Sono io.” “Vieni. Il Maestro ti attende qui, sotto il noce.” Il lebbroso emerge dal fossato e monta sulla sponda, la valica, si addentra nel prato. Gesù, col dorso addossato ad un altissimo noce, lo attende. “Maestro. Messia, Santo, pietà di me!” e si butta tutto fra l’erba, ai piedi di Gesù. Col volto al suolo dice ancora: “O Signore mio! Se Tu vuoi, Tu puoi mondarmi!” E osa poi alzarsi sui ginocchi e tende le braccia scheletrite, dalle mani contorte, e tende il volto ossuto, devastato... Le lacrime scendono dalle orbite malate alle labbra corrose. Gesù lo guarda con tanta pietà. Guarda questa larva d’uomo che il male orrendo divora, e che solo una vera carità può sopportare tanto vicino, tanto è ripugnante e maleodorante. Eppure ecco che Gesù tende una mano, la sua bella, sana mano destra, come per carezzare quel poveretto. Questo, senza alzarsi, si butta però indietro, sui calcagni, e grida: ‘Non mi toccare! Pietà di Te!” Ma Gesù fa un passo avanti. Solenne, buono, soave, posa le sue dita sulla testa mangiata dalla lebbra e dice, con voce piana, tutta amore eppure piena di imperio: “Lo voglio! Sii mondato!” La mano rimane ancora per qualche minuto sulla povera testa. “Alzati. Vai dal sacerdote. Compi quanto la Legge prescrive. E non dire quanto ti ho fatto. Ma solo sii buono. Non peccare mai più. Ti benedico.” “Oh! Signore! Abele! Ma tu sei tutto sano!”. Samuele, che vede la metamorfosi dell’amico, grida di gioia. “Sì. E' sano. La ha meritato per la sua fede. Addio. La pace sia con te.” “Maestro! Maestro! Maestro! Io non ti lascio! Io non ti posso più lasciare!” “Fai quanto vuole la Legge. Poi ci vedremo ancora. Per la seconda volta sia su di te la mia benedizione.” Gesù si avvia facendo cenno a Samuele di restare. E i due amici piangono di gioia, mentre alla luce di un quarto di luna tornano alla spelonca per l’ultima sosta in quella tana di sventura. La visione cessa così.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/