"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 1 gennaio 2017, Maria Santissima Madre di Dio, solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 2,16-21.
Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.
Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 30 pagina 174.
[...] Più tardi vedo una vasta estensione di campagna. La luna è allo zenit e veleggia placida in un cielo gremito di stelle. Sembrano tante borchie di diamante infisse in un enorme baldacchino di velluto celeste cupo, e la luna vi ride in mezzo col suo faccione bianchissimo da cui scendono fiumi di luce lattea che fa bianca la terra. Gi alberi spogli sembrano più alti e neri sul suolo così imbiancato, mentre i muretti, che qua e là sorgono a confine, sembrano di latte, e una casina lontana pare un blocco di marmo di Carrara.
Alla mia destra vedo un luogo cintato da una siepe di pruni su due lati e da un muro basso e scabro da altri due. Questo muro sorregge il tetto di una specie di tettoia larga e bassa, che nella parte interna del recinto è costruita parte in muratura e parte in legname, quasi che nell’estate le parti in legno debbano esser tolte e la tettoia mutarsi in porticato. Da questo chiuso esce, di tanto in tanto, un belare intermittente e breve. Devono essere pecorelle che sognano o che forse credono sia prossimo il giorno per il chiarore che dà la luna. Un chiarore persino eccessivo, tanto è intenso, e che cresce quasi che il pianeta si avvicini alla terra o sfavilli per un misterioso incendio.
Un pastore si affaccia alla porta e, portandosi un braccio sulla fronte per fare riparo agli occhi, guarda in alto. Pare impossibile che ci si debba riparare dal chiarore della luna. Ma questo è così vivo che abbacina, specie chi esce da un chiuso dove è tenebra. Tutto è calmo. Ma quella luce stupisce.
Il pastore chiama i compagni. Si affacciano alla porta tutti. Un mucchio d’uomini irsuti, di età diverse. Ve ne sono di appena adolescenti e di già canuti. Commentano il fatto strano e i più giovani hanno paura. Specie uno, un fanciullo sui dodici anni, che si mette a piangere attirandosi le baie dei più vecchi.
“Di che temi, stolto?” gli dice il più vecchio. “Non vedi che aria quieta? Non hai mai visto splendere la luna? Sei sempre stato sotto le vesti della mamma come un pulcino sotto la chioccia, vero? Ma ne vedrai delle cose! Una volta io mi ero spinto verso i monti del Libano, oltre ancora. In alto. Ero giovane e non mi pesava l’andare. Ero anche ricco, allora... Una notte vidi una luce tale che pensai che fosse per tornare Elia sul suo carro di fuoco. Il cielo era tutto un incendio. Un vecchio -allora il vecchio era lui- mi disse: ‘Grande avventura sta per venire nel mondo’. E per noi fu sventura, perché vennero i soldati di Roma. Oh! ne vedrai, se campi...”
Ma il pastorello non lo ascolta più. Pare non abbia neppur più paura, perché lascia la soglia e sguscia da dietro le spalle di un nerboruto mandriano, dietro il quale si era rifugiato, ed esce nello stazzo erboso che è davanti alla tettoia. Guarda in alto e cammina come un sonnambulo o come uno ipnotizzato da qualcosa che lo attira totalmente. Ad un cero punto grida: “Oh!” e resta come pietrificato, a braccia un poco aperte.
Gli altri si guardano stupefatti. “Ma cosa ha quello stolto?” dice uno.
“Domani lo rimando a sua madre. Non voglio pazzi a custodia delle pecore” dice un altro.
E il vecchio che ha parlato prima dice: “Andiamo a vedere prima di giudicare. Chiamate anche gli altri che dormono e prendete i bastoni. Che non sia una bestia cattiva o dei malandrini...”
Entrano, chiamando altri pastori, ed escono con torce e randelli. Raggiungono il fanciullo.
“Là, là” egli mormora sorridendo. “Al di sopra dell’albero, guardate quella luce che viene. Pare cammini sul raggio della luna. Ecco che si avvicina. Come è bella!”
“Io vedo solo un più vivo chiarore.”
“Io pure.”
“Anche io” dicono gli altri.
“No. Io vedo come un corpo” dice uno in cui riconosco il pastore che ha dato il latte a Maria.
“E’ un... è un angelo!” grida il bambino. “Eccolo che scende e si avvicina... Giù! In ginocchio davanti all’angelo di Dio!”
Un ‘oh!’ lungo e venerabondo si alza dal gruppo dei pastori, che cadono con il volto verso il suolo, e tanto più paiono schiacciati dall’apparizione fulgente quanto più sono anziani. I giovanetti sono in ginocchio, ma guardano l’angelo, che sempre più si avvicina e si ferma sospeso, ventilando le grandi ali, candore di perla nel candore di luna che lo circonda, al disopra del muro del recinto.
“Non temete. Non porto sventura. Io vi reco l’annuncio di una grande allegrezza per il popolo d’Israele e per tutto il popolo della terra”. La voce angelica è un’armonia d’arpa su cui cantino gole d’usignoli.
“Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore.” L’angelo, nel dire questo, apre più grandi le ali e le muove come per un soprassalto di gioia, e una pioggia di faville d’oro e di pietre preziose pare ne sfugga. Un vero arcobaleno che fa un arco di trionfo sul povero stabbio.
“... il Salvatore che è Cristo”. L’angelo sfavilla di aumentata luce. Le sue ali, ora ferme e tese a punta verso il cielo come due vele immobili sullo zaffiro del mare, sembrano due fiamme che salgano ardendo.
“...Cristo, il Signore!” L’angelo raccoglie le sue due fulgide ali e se ne veste come di una sopraveste di diamante sull’abito di perla, si curva come se adorasse, con le braccia conserte sul cuore e il volto che scompare, curvato come è sul petto, fra l’ombra dei sommi dell’ali piegate. Non si vede che una oblunga forma luminosa immobile per lo spazio di un ‘Gloria’.
Ma ecco che si muove. Riapre le ali, alza il volto in cui la luce si fonde al paradisiaco sorriso, e dice: “Lo riconoscerete da questi segni: in una povera stalla, dietro Betlemme, troverete un bambino nelle fasce in una mangiatoia di animali, ché per il Messia non vi fu tetto nella città di David”. L’angelo si fa serio nel dire questo, mesto anzi.
Ma dai Cieli vengono tanti -oh! quanti!- tanti angeli simili a lui, una scala d’angeli che scende esultando e annullando la luna col loro splendore paradisiaco, e si riuniscono intorno all’angelo nunziante in un agitar di ali, in uno sprigionare di profumi, in un arpeggiare di note, in cui tutte le voci più belle del creato trovano un ricordo, ma portato alla perfezione di suono. Se la pittura è lo sforzo della materia per divenire luce, qui la melodia è lo sforzo della musica per fare balenare agli uomini la bellezza di Dio, e udire questa melodia è conoscere il Paradiso, dove tutto è armonia di amore, che da Dio si sprigiona per far lieti i beati e che da questi va a Dio per dirgli: ‘Ti amiamo!’
Il ‘Gloria’ angelico si sparge in onde sempre più vaste per la campagne quieta, e la luce con esso. E gli uccelli uniscono un canto che è saluto a questa luce precoce, e le pecore i loro belati per questo anticipato sole. Ma io, come già nella grotta per il bue e l’asino, amo credere che siano gli animali che salutano il loro Creatore, venuto in mezzo ad essi per amarli come Uomo oltre che come Dio.
Il canto si attenua e la luce pure, mentre gli angeli risalgono ai Cieli...
...I pastori tornano in loro.
“Hai udito?”
“Andiamo a vedere?”
“ E le bestie?”
“Oh! non succederà loro nulla! Andiamo per ubbidire alla parola di Dio!...”
“Ma dove andiamo?”
“Ha detto che è nato oggi? E che non ha trovato alloggio in Betlemme?” E’ il pastore che ha dato il latte, questo che parla ora. “Venite, io so. Ho visto la Donna e mi ha fatto pena. Ho insegnato un luogo per Lei, perché pensavo non trovassero alloggio, e all’uomo ho dato il latte per Lei. E’ tanto giovane e bella, e deve esser buona come l’angelo che ci ha parlato. Venite, venite. Andiamo a prendere latte, formaggi, agnelli e pelli conciate. Devono esser poveri molto e... chissà che freddo ha Colui che non oso nominare! E pensare che io ho parlato alla Madre come ad una povera sposa!...”
Vanno nella tettoia e ne escono poco dopo chi con delle fiaschette di latte, chi con delle reticelle di sparto intrecciato con dentro tondi formaggini, chi con delle ceste in cui vi è un agnello belante, e chi con delle pelli di pecora conciate.
“Io porto una pecora. Ha figliato da un mese. Il latte lo ha buono. Potrà loro servire se la Donna non ha latte. Mi pareva una bambina, e così bianca!... Un viso da gelsomino sotto la luna” dice il pastore del latte. E li guida.
Vanno alla luce della luna e delle torce dopo aver chiuso tettoia e recinto. Vanno per sentieri campestri, fra siepi di pruni spogliati dall’inverno.
Girano dietro Betlemme. Raggiungono la stalla venendo non dalla parte da cui venne Maria, ma dall’opposta, di modo che non passano davanti alle stalle più belle, ma trovano questa per prima. Si accostano al pertugio.
“Entra!”
“Io non oso.”
“Entra tu.”
“No.”
“Guarda almeno.”
“Tu, Levi, che hai visto l’angelo per primo, segno che sei buono più di noi, guarda”. Veramente prima gli hanno dato del pazzo... ma ora fa loro comodo che egli osi ciò che loro non osano.
Il fanciullo tituba, ma poi si decide. Si accosta al pertugio, scosta un pochino il mantello, guarda... e resta estatico.
“Che vedi?” lo interrogano ansiosi a bassa voce.
“Vedo una donna giovane e bella e un uomo curvi su una mangiatoia e sento..., sento piangere un piccolo bambino, e la donna gli parla con una voce... Oh! che voce!”
“Che dice?”
“Dice: ‘Gesù, piccolino! Gesù, amore della tua Mamma! Non piangere, piccolo Figlio!’. Dice: ‘Oh! potessi dirti: ‘Prendi il latte, piccolino!’. Ma non ce l’ho ancora!’. Dice: ‘Hai tanto freddo, amore mio! E ti punge il fieno. Che dolore per la tua Mamma sentirti piangere così e non poterti dare conforto!’. Dice: ‘Dormi, anima mia! ché mi si spacca il cuore a sentirti piangere e vederti lacrimare!’, e lo bacia e gli scalda i piedini con le sue mani, perché sta curva con le braccia giù nella mangiatoia.”
“Chiama! Fatti sentire!”
“Io no. Tu, che ci hai condotti e la conosci.”
Il pastore apre la bocca e poi si limita a fare un mugolio.
Giuseppe si volge e viene alla porta. “Chi siete?”
“Pastori. Vi portiamo cibo e lana. Veniamo ad adorare il Salvatore.”
“Entrate.”
Entrano e la stalla si fa più chiara per il lume delle torce. I vecchi spingono i bambini davanti a loro.
Maria si volge e sorride. “Venite” dice. “Venite!” e li invita con la mano e col sorriso, e prende quello che ha visto l’angelo e lo attira a sé, fin contro la greppia. E il fanciullo guarda beato.
Gli altri, invitati anche da Giuseppe, si avanzano coi loro doni e li mettono tutti, con brevi, commosse parole, ai piedi di Maria. E poi guardano il Bambinello, che piange piano, e sorridono commossi e beati.
E uno, più ardito, dice: “Prendi, o Madre. E’ soffice e pulita. L’avevo preparata per il bambino che mi sta per nascere. Ma te la dono. Metti il Figlio tuo fra questa lana, sarà morbida e calda”. E offre la pelle di una pecora, una bellissima pelle ricca di lana candida e lunga.
Maria solleva Gesù e ve lo avvolge. E lo mostra ai pastori, che in ginocchio sul fieno del suolo lo guardano estatici.
Si fanno più arditi e uno propone: “Bisognerebbe dargli un sorso di latte, meglio acqua e miele. Ma non abbiamo miele. Si dà ai piccolini. Ho sette figli e so...”
“Qui c’è il latte. Prendi, o Donna.”
“Ma è freddo. Caldo ci vuole. Dove è Elia? Egli ha la pecora.”
Elia deve essere quello del latte. Ma non c’è. Si è fermato fuori e guarda dalla fessura, e nel buio della notte si perde.
“Chi vi ha guidati?”
“Un angelo ci ha detto di venire e Elia ci ha guidati qui. Ma dove è ora?”
La pecora lo denuncia con un belato.
“Vieni avanti, ti si vuole.”
Entra con la sua pecora, vergognoso di esser il più notato.
“Tu sei?” dice Giuseppe che lo riconosce, e Maria gli sorride dicendo: “Sei buono.”
Mungono la pecora e con la punta di un lino intriso nel latte caldo e spumoso Maria bagna le labbra del Bambinello, che succhia quel dolciore cremoso. Sorridono tutti e più ancora quando, con l’angolino di tela ancora fra le labbruzze, Gesù si addormenta nel caldo della lana.
“Ma qui non potete rimanere. Fa freddo e vi è umido. E poi... vi è troppo odore di bestie. Non fa bene... e... non sta bene per il Salvatore.”
“Lo so” dice Maria con un grande sospiro. “Ma non c’è posto per noi a Betlemme.”
“Fa' cuore, o Donna. Noi ti cercheremo una casa.”
“Lo dirò alla padrona mia” dice quello del latte, Elia. “E’ buona. Vi accoglierà, dovesse cedervi la sua stanza. Appena è giorno glielo dico. Ha la casa piena di gente. Ma vi darà un posto.”
“Per il mio Bambino, almeno. Io e Giuseppe stiamo anche per terra. Ma per il Piccino...”
“Non sospirare, Donna. Ci penso io. E lo diremo a molti, ciò che ci è stato detto. Non mancherete di nulla. Per ora prendete ciò che la nostra povertà vi può dare. Siamo pastori...”
“Siamo poveri noi pure. E non vi possiamo compensare” dice Giuseppe.
“Oh! non vogliamo! Anche lo poteste non vorremmo! Il Signore ce ne ha già compensato. La pace l’ha promessa a tutti. Gli angeli dicevano così: ‘Pace agli uomini di buona volontà’. Ma a noi ce l’ha già data, perché l’angelo ha detto che questo Bambino è il Salvatore, che è Cristo, il Signore. Siamo poveri e ignoranti, ma sappiamo che i Profeti dicono che il Salvatore sarà il Principe della Pace. E a noi ci ha detto di andare ad adorarlo. Perciò ci ha dato la sua pace. Gloria a Dio nei Cieli Altissimi e gloria a questo suo Cristo, e benedetta sia tu, Donna, che lo hai generato! Santa sei, perché hai meritato di portato! Comandaci come Regina, ché saremo contenti di sevirti. Che possiamo fare per te?”
“Amare il Figlio mio ed avere sempre in cuore i pensieri di ora.”
“Ma per te? Non desideri nulla? Non hai parenti ai quali far sapere che Egli è nato?”
“Sì, li avrei. Ma non sono qui vicino. Sono a Ebron...”.
“Ci vado io” dice Elia. “Chi sono?”
“Zaccaria il sacerdote ed Elisabetta mia cugina.”
“Zaccaria? Oh! lo conosco bene. Nell’estate vado su quei monti, perché i pascoli vi sono ricchi e belli, e sono amico del suo pastore. Quando ti so sistemata vado da Zaccaria.”
“Grazie, Elia.”
“Niente grazie. Grande onore per me, povero pastore, andare a parlare al sacerdote e dirgli ‘E’ nato il Salvatore’.”
“No. Gli dirai: ‘Ha detto Maria di Nazareth, tua cugina, che Gesù è nato, e di venire a Betlemme’.”
“Così dirò”.
“Dio te ne compensi. Mi ricorderò di te, di voi tutti...”.
“Dirai al tuo Bambino di noi?”
“Lo dirò.”
“Io sono Elia.”
“E io Levi.”
“Ed io Samuele.”
“E io Giona.”
“Ed io Isacco.”
“Ed io Tobia.”
“Ed io Gionata.”
“Ed io Daniele.”
“E Simeone io.”
“E Giovanni mi chiamo io.”
“Io Giuseppe e mio fratello Beniamino, siamo gemelli.”
“Ricorderò i vostri nomi.”
“Dobbiamo andare... Ma torneremo... E ti porteremo altri ad adorare!..”
“Come tornare all’ovile lasciando questo Bambino?”
“Gloria a Dio che ce lo ha mostrato!”
“Facci baciare la sua veste” dice Levi con un sorriso d’angelo.
Maria alza piano Gesù e, seduta sul fieno, offre i piedini, avvolti nel lino, da baciare. E i pastori si chinano fino al suolo e baciano quei piedini minuscoli, velati di tela. Chi ha la barba se la forbisce prima e quasi tutti piangono e, quando devono andare, escono a ritroso, lasciando il cuore indietro...
La visione mi cessa così, con Maria seduta sulla paglia col Bambino in grembo e Giuseppe che, appoggiato alla greppia con un gomito, guarda e adora.


Dice Gesù:
“Oggi parlo Io. Sei molto stanca, ma abbi pazienza ancora un poco.
E’ la vigilia del Corpus Domini. Potrei parlarti dell’Eucarestia e dei santi che si fecero apostoli del suo culto, così come ti ho parlato dei santi che furono apostoli del Sacro Cuore. Ma voglio parlarti di un’altra cosa e di una categoria di adoratori del Corpo mio che sono i precursori del culto per esso. E sono i pastori. I primi adoratori del mio Corpo di Verbo divenuto Uomo.
Una volta ti dissi, e ciò è detto anche dalla mia Chiesa, che i Santi Innocenti sono i protomartiri del Cristo. Ora ti dico che i pastori sono i primi adoratori del Corpo di Dio. E in loro vi sono tutti i requisiti richiesti per essere adoratori del Corpo mio, anime eucaristiche.
Fede sicura: essi credono prontamente e ciecamente all’angelo.
Generosità: essi dànno tutta la loro ricchezza al loro Signore.
Umiltà: si accostano a dei più poveri, umanamente, di loro, con modestia di atti che non avvilisce, e si professano servi loro.
Desiderio: quanto non possono dare da loro, si industriano a procurare con apostolato e fatica.
Prontezza di ubbidienza: Maria desidera sia avvertito Zaccaria, e Elia va subito. Non rimanda.
Amore, infine: essi non sanno staccarsi di là, e tu dici: ‘lasciano là il loro cuore’. Dici bene.
Ma non bisognerebbe fare così anche col mio Sacramento?
E un’altra cosa, tutta per te, questa: osserva a chi si svela per primo l’angelo e chi merita di sentire le effusioni di Maria. Levi: il fanciullo.
A chi ha l’anima di fanciullo Dio si mostra e mostra i suoi misteri e permette che oda le parole divine e di Maria. E che ha anima di fanciullo ha anche il santo ardimento di Levi e dice: ‘Fammi baciare la veste di Gesù.’ Lo dice a Maria. Perché è sempre Maria quella che vi dà Gesù. E’ Lei la Portatrice dell’Eucarestia. E’ Lei la Pisside viva.
Chi va a Maria trova Me. Chi mi chiede a Lei, da Lei mi riceve. Il sorriso di mia Madre quando una creatura le dice: ‘Dammi il tuo Gesù, ché lo ami’, fa trasecolare i Cieli in un più vivo splendore di letizia, tanto è felice.
Dille dunque: ‘Fammi baciare la veste di Gesù. Fammi baciare le sue piaghe’. E osa di più ancora. Di': ‘Fammi posare il capo sul Cuore del tuo Gesù, perché ne sia beata.’
Vieni. Riposa. Come Gesù nella cuna, fra Gesù e Maria.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 25 dicembre 2016, Natale del Signore: Messa del giorno, solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 244 pagina 109.
(...) 2Giovanni lascia gli apostoli per venire ad aiutare le donne in un passaggio scabroso su cui i sandali scivolano, molto più che il sentiero è sparso di pietre lisce, come scaglie di ardesia rossastra, e di un’erbetta lucida e dura, molto traditrici per il piede che su esse non ha presa. Lo Zelote lo imita e appoggiandosi a loro le donne superano il punto pericoloso.
«È un poco faticosa questa via. Ma è senza polvere e senza folla. Ed è più breve» dice lo Zelote.
«La conosco, Simone» dice Maria. «Venni a quel paesello a mezza costa, con i nipoti, quando Gesù fu cacciato da Nazaret» dice Maria Ss. e sospira.
«Però è bello da qui il mondo. Ecco là il Tabor e l’Hermon, e a settentrione i monti d’Arbela, e là in fondo il grande Hermon. Peccato che non si veda il mare come si vede dal Tabor» dice Giovanni.
«Ci sei stato?».
«Sì, col Maestro».
«Giovanni, col suo amore per l’infinito, ci ha ottenuto una grande letizia, perché Gesù, là in cima, parlò di Dio con un rapimento mai udito. E poi, dopo aver avuto già tanto, ottenemmo una grande conversione. Lo conoscerai anche tu, Maria. E ti si fortificherà lo spirito più ancora che già non sia. Trovammo un uomo indurito nell’odio, abbrutito dai rimorsi, e Gesù ne fece uno che non esito a dire che sarà un grande discepolo. Come te, Maria. 3Perché, credi pure che è verità ciò che ti dico, noi peccatori siamo i più cedevoli al Bene che ci prende, perché sentiamo il bisogno di essere perdonati anche da noi stessi» dice lo Zelote.
«È vero. Ma tu sei molto buono, dicendo “noi peccatori”. Tu sei stato un disgraziato, non un peccatore».
«Tutti lo siamo, chi più chi meno, e chi crede di esserlo meno è il più soggetto a divenirlo se pure non lo è già. Tutti lo siamo. Ma i più grandi peccatori che si convertono sono quelli che sanno essere assoluti nel Bene come lo furono nel male».
«Il tuo conforto mi solleva. Sei sempre stato un padre per i figli di Teofilo, tu».
«E come un padre giubilo di avervi tutti e tre amici di Gesù».
«Dove lo avete trovato quel discepolo gran peccatore?».
«A Endor, Maria. Simone vuol dare al mio desiderio di vedere il mare il merito di tante cose belle e buone. Ma se Giovanni l’anziano è venuto a Gesù non è per merito di Giovanni lo stolto. È per merito di Giuda di Simone» dice sorridendo il figlio di Zebedeo.
«Lo ha convertito?» chiede dubbiosa Marta.
«No. Ma ha voluto andare ad Endor e…».
«Sì, per vedere l’antro della maga... È un uomo molto strano Giuda di Simone… Bisogna prenderlo come è… Già!… E Giovanni di Endor ci guidò alla caverna e poi rimase con noi. Ma, figlio mio, sempre tuo è il merito, perché senza il tuo desiderio di infinito non avremmo fatto quella via e non sarebbe venuto a Giuda di Simone il desiderio di andare a quella strana ricerca».
4«Mi piacerebbe sapere cosa ha detto Gesù sul Tabor… come mi piacerebbe riconoscere il monte dove lo vidi» sospira Maria Maddalena.
«Il monte è quello su cui pare ora accendersi un sole per quel piccolo stagno, usato dalle greggi, che raccoglie le acque sorgive. Noi eravamo più su, dove la cima pare spaccata come un largo bidente che voglia infilzare le nuvole e portarle altrove. Per il discorso di Gesù, credo che Giovanni te lo può dire».
«Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?».
«Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene».
Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù.
«Egli disse:
“Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’. Pensate il caos dell’Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società, che ha dato agli uomini la terra e quanto contiene e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Né come caos informe né come cosa ordinata. Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi.
Ma, pensatevelo sempre, non c’è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere; non c’è insetto, per piccolo e noioso che sia, che non abbia la sua ragione buona di essere. E così non c’è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è - passando dalle cose alle persone - e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattie, come non prosperità di mezzi e di salute, che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana, che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette. Ma l’occhio di Dio, ma il Pensiero senza limitazioni di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel saper credere che Dio fa tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò che fa per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare.
6Dio aveva già creato gli angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale Dio li aveva collocati, si erano ribellati e con l’animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio. Alle armoniose ragioni degli angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati.
Viva in eterno coloro che in Cielo come in terra sanno basare ogni loro pensiero su un presupposto di ottimismo pieno di luce! Mai sbaglieranno completamente, anche se i fatti li smentiranno. Non sbaglieranno almeno per quanto riguarda il loro spirito, il quale continuerà a credere, a sperare, ad amare soprattutto Dio e prossimo, rimanendo perciò in Dio fino ai secoli dei secoli!
Il Paradiso era già stato liberato da questi orgogliosi pessimisti, i quali vedevano nero anche nelle luminosissime opere di Dio, così come in terra i pessimisti vedono nero anche nelle più schiette e solari azioni dell’uomo, e per volersi separare in una torre d’avorio, credendosi gli unici perfetti, si autocondannano ad una oscura galera, la cui via termina nelle tenebre del regno infero, il regno della Negazione. Perché il pessimismo è Negazione esso pure.
7Dio fece dunque il Creato. E come per comprendere il mistero glorioso del nostro Essere uno e trino bisogna saper credere e vedere che fin dal principio il Verbo era, ed era presso Dio, uniti dall’Amore perfettissimo che solo possono effondere due che Dèi sono pur essendo Uno, così ugualmente, per vedere il creato per quello che è, occorre guardarlo con occhi di fede, perché nel suo essere, così come un figlio porta l’incancellabile riflesso del padre, così il creato ha in sé l’incancellabile riflesso del suo Creatore. Vedremo allora che anche qui in principio fu il cielo e la terra, poi fu la luce, paragonabile all’amore. Perché la luce è letizia così come lo è l’amore. E la luce è l’atmosfera del Paradiso. E l’incorporeo Essere che è Dio, Luce è, ed è Padre di ogni luce intellettiva, affettiva, materiale, spirituale, così in Cielo come in terra.
In principio fu il cielo e la terra, e per essi fu data la luce e per la luce tutte le cose furono fatte. E come nel Cielo altissimo furono separati gli spiriti di luce da quelli di tenebre, così nel Creato furono separate le tenebre dalla luce e fu fatto il Giorno e la Notte, e il primo giorno del creato fu, col suo mattino e la sua sera, col suo meriggio e la sua mezzanotte. E quando il sorriso di Dio, la Luce, tornò dopo la notte, ecco che la mano di Dio, il suo potente volere, si stese sulla terra informe e vuota, si stese sul cielo su cui vagavano le acque, uno degli elementi liberi nel caos, e volle che il firmamento separasse il disordinato errare delle acque fra cielo e terra, acciò fosse velario ai fulgori paradisiaci, misura alle acque superiori, perché sul ribollire dei metalli e degli atomi non scendessero i diluvi a dilavare e disgregare ciò che Dio riuniva.
L’ordine era stabilito nel cielo. E l’ordine fu sulla terra per il comando che Dio dette alle acque sparse sulla terra. E il mare fu. Eccolo. Su esso, come sul firmamento, è scritto. ‘Dio è’. Quale che sia l’intellettualità di un uomo e la sua fede o la sua non fede, davanti a questa pagina, in cui brilla una particella dell’infinità che è Dio, in cui è testimoniata la sua potenza - perché nessuna potenza umana né nessun assestamento naturale di elementi possono ripetere, seppure in minima misura, un simile prodigio - è obbligato a credere. A credere non solo alla potenza ma alla bontà del Signore, che per quel mare dà cibo e vie all’uomo, dà sali salutari, dà tempera al sole e spazio ai venti, dà semi alle terre l’una dall’altra lontane, dà voce di tempeste perché richiamino la formica che è l’uomo all’Infinito suo Padre, dà modo di elevarsi, contemplando più alte visioni, a più alte sfere.
8Tre sono le cose che più parlano di Dio nel creato che è tutto testimonianza di Lui. La Luce, il firmamento, il mare. L’ordine astrale e meteorologico, riflesso dell’Ordine divino; la luce che solo un Dio poteva fare; il mare, la potenza che solo Dio, dopo averla creata, poteva mettere in saldi confini, dandole moto e voce, senza che per questo, come turbolento elemento di disordine, sia danno alla terra che lo sopporta sulla sua superficie.
Penetrate il mistero della luce che mai si consuma. Alzate lo sguardo al firmamento dove ridono le stelle e i pianeti. Abbassate lo sguardo al mare. Vedetelo per quello che è. Non separazione, ma ponte fra i popoli che sono sulle altre sponde, invisibili, ignote anche, ma che bisogna credere che ci siano solo perché è questo mare. Dio non fa nulla di inutile. Non avrebbe perciò fatto questa infinità se essa non avesse a limite, là, oltre l’orizzonte che ci impedisce di vedere, altre terre, popolate da altri uomini, venuti tutti da un unico Dio, portati là per volere di Dio, a popolare continenti e regioni, da tempeste e correnti. E questo mare porta nei suoi flutti, nelle voci delle sue onde e delle sue maree, appelli lontani. Tramite è, non separazione.
Quell’ansia che dà dolce angoscia a Giovanni è questo appello di fratelli lontani. Più lo spirito diviene dominatore della carne e più è capace di sentire le voci degli spiriti che sono uniti anche se divisi, così come i rami sgorgati da un’unica radice sono uniti anche se l’uno neppur vede più l’altro perché un ostacolo si frappone fra essi.
Guardate il mare con occhi di luce. Vi vedrete terre e terre sparse sulle sue spiagge, ai suoi limiti, e nell’interno terre e terre ancora, e da tutte giunge un grido: ‘Venite! Portateci la Luce che voi possedete. Portateci la Vita che vi viene data. Dite al nostro cuore la parola che ignoriamo ma che sappiamo essere la base dell’universo: amore. Insegnateci a leggere la parola che vediamo tracciata sulle pagine infinite del firmamento e del mare: Dio. Illuminateci perché sentiamo che una luce vi è più vera ancora di quella che arrossa i cieli e fa di gemme il mare. Date alle nostre tenebre la Luce che Dio vi ha data dopo averla generata col suo amore, e l’ha data a voi ma per tutti, così come la dette agli astri ma perché la dessero alle terre. Voi gli astri, noi la polvere. Ma formateci così come il Creatore creò con la polvere la terra perché l’uomo la popolasse adorandolo ora e sempre, finché venga l’ora che più terra non sia, ma venga il Regno. Il Regno della luce, dell’amore, della pace, così come a voi il Dio vivente ha detto che sarà, perché noi pure siamo figli di questo Dio e chiediamo di conoscere il Padre nostro’.
E per vie di infinito sappiate andare. Senza timori e senza sdegni. Incontro a quelli che chiamano e piangono. Verso quelli che vi daranno anche dolore perché sentono Dio ma non sanno adorare Dio, ma che pure vi daranno la gloria perché grandi sarete quanto più possedendo l’amore, lo saprete dare, portando alla Verità i popoli che attendono”.
9Gesù ha detto così, molto meglio di come io ho detto. Ma almeno questo è il suo concetto».
«Giovanni, tu hai dato una esatta ripetizione del Maestro. Solo hai lasciato ciò che disse del tuo potere di capire Iddio per la tua generosità di donarti. Tu sei buono, Giovanni. Il migliore fra noi! Abbiamo fatto la via senza avvedercene. Ecco là Nazaret sulle sue colline. Il Maestro ci guarda e ci sorride. Raggiungiamolo solleciti per entrare in città uniti».
«Io ti ringrazio, Giovanni» dice la Madonna. «Hai fatto un grande regalo alla Mamma».
«Io pure. Anche alla povera Maria tu hai aperto orizzonti infiniti…».
«Di che parlavate tanto?» chiede Gesù ai sopraggiungenti.
«Giovanni ci ha ripetuto il tuo discorso del Tabor. Perfettamente. E ne fummo beati».
«Sono contento che la Madre lo abbia udito, Lei che porta un nome in cui il mare non è estraneo e possiede una carità vasta come il mare».
«Figlio mio, Tu la possiedi come Uomo, e nulla ancora è rispetto alla tua infinita carità di Verbo Divino. Mio dolce Gesù!».
«Vieni, Mamma, al mio fianco. Come quando tornavamo da Cana o da Gerusalemme quando ero bambino, tu mi tenevi per mano».
E si guardano col loro sguardo d’amore.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 18 dicembre 2016, IV Domenica di Avvento

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto.
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore.
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino.
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto.
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino.
Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.”
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora.
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?”
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce.
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.”
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...”
“Oh! no! Non hai mancato!”
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.”
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.”
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?”
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.”
Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe.
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?”
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.”
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...”
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”.
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...”
“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”.
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui.


Dice Maria:
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo.
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo.
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore.
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto?
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole.
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui.
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende.
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 11 dicembre 2016, III Domenica di Avvento

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11,2-11.
Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli:
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».
Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete:
I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella,
e beato colui che non si scandalizza di me».
Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re!
E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta.
Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.
In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 266 pagina 279.
1Gesù è solo con Matteo che, ferito ad un piede, non è potuto andare con gli altri a predicare. Ma però malati e desiderosi della Buona Novella affollano la terrazza e lo spazio libero dell’orto per udirlo e averne aiuto.
Gesù termina di parlare dicendo: «Contemplato che abbiamo insieme la grande frase di Salomone: “Nell’abbondanza della giustizia sta la somma fortezza”, Io vi esorto a possedere questa abbondanza perché essa è moneta per entrare nel Regno dei Cieli. State con la mia pace e Dio sia con voi». E poi si volge ai poveri e ai malati - e in molti casi sono l’uno e l’altro insieme - e ascolta con bontà i loro racconti, soccorre con denaro, consiglia con parole, sana coll’imposizione delle mani e con la parola. Matteo, al suo fianco, provvede a dare le monete.
2Gesù sta ascoltando attentamente una povera vedova, che gli narra fra le lacrime della morte improvvisa del marito legnaiuolo al suo banco di lavoro, avvenuta pochi giorni prima: «Sono corsa a cercarti qui, e tutto il parentado del morto mi accusò di essere scomposta e dura di cuore e ora mi maledice. Ma io ero venuta perché so che risusciti e so che se potevo trovarti il mio uomo sarebbe risorto. Non c’eri… Ora egli è nel sepolcro da due settimane… ed io sono qui con cinque figli… I parenti mi odiano e non mi aiutano. Ho degli ulivi e delle viti. Pochi, ma mi darebbero pane per l’inverno se potessi tenerli fino alla raccolta. Ma non ho denaro, perché l’uomo da tempo era poco sano e poco lavorava, e per sostenersi mangiava e beveva anche troppo. Diceva che il vino gli faceva bene… invece fece il doppio male di ucciderlo e di consumare i risparmi già ridotti per il suo poco lavoro. Stava finendo un carro ed un cofano, e aveva ordinati due letti, delle tavole e mensole. Ma ora… Non sono finiti e mio figlio maschio non ha ancora otto anni. Perderò il denaro… Dovrò vendere gli arnesi, il legname. Il carro e il cofano non posso neppure venderli per tali, per quanto quasi ultimati, e li dovrò dare come legna da ardere. E non basteranno i denari perché io, mia madre vecchia e malata, e cinque figli, siamo sette persone… Venderò il vigneto e gli ulivi… Ma tu sai come è il mondo… Strozza dove c’è il bisogno. Dimmi, che devo fare? Io volevo serbare il banco e i ferri per il figlio che già sa qualcosa del legno… volevo serbare la terra per vivere e per dote alle figlie…».
Sta ascoltando tutto questo quando un rimescolio fra la gente lo avverte che c’è qualcosa di nuovo. Si volta per vedere e vede tre uomini che si fanno strada fra la folla. Si torna a voltare per parlare alla vedova: «Dove abiti?».
«A Corozim, presso la strada che va alla Fonte calda. Una casa bassa in mezzo a due fichi».
«Va bene. Verrò ad ultimare il carro ed il cofano, e li venderai a chi li ha ordinati. Aspettami domani all’aurora».
«Tu! Tu lavorare per me!». La donna è soffocata dallo stupore.
«Riprenderò il lavoro mio e ti darò pace. Intanto, a quelli di Corozim senza cuore impartirò la lezione della carità».
«Oh! sì! Senza cuore! Ci fosse stato ancora il vecchio Isacco! Non mi avrebbe lasciata morire di fame! Ma egli è tornato ad Abramo…».
«Non piangere. Va’ tranquilla. Ecco quanto serve per oggi. Domani verrò Io. Va’ in pace».
La donna si prostra a baciargli la veste e se ne va più sollevata.
3«Maestro tre volte santo, ti posso salutare?» chiede uno dei tre sopraggiunti che si sono fermati rispettosamente dietro a Gesù, attendendo che Egli congedasse la donna, e che perciò hanno sentito la promessa di Gesù. E quest’uomo che saluta è Mannaen.
Gesù si volta con un sorriso e dice: «Pace a te, Mannaen! Ti sei dunque ricordato di Me?».
«Sempre, Maestro. E avevo divisato di venire da Te in casa di Lazzaro o all’Orto degli Ulivi per stare con Te. Ma prima di Pasqua fu preso il Battista. Fu ripreso con tradimento ed io temevo che, nell’assenza di Erode venuto a Gerusalemme per la Pasqua, Erodiade ordinasse l’uccisione del santo. Non è voluta andare per le feste a Sionne dicendosi malata. Malata, sì. Di odio e lussuria… Io sono stato a Macheronte per controllare e… trattenere la perfida donna, che sarebbe capace di uccidere di sua mano… E non lo fa perché teme di perdere il favore di Erode, che… per paura o per convinzione difende Giovanni limitandosi a tenerlo prigioniero. Ora Erodiade è fuggita dal caldo opprimente di Macheronte andando in un castello di sua proprietà. Ed io sono venuto con questi amici miei e discepoli di Giovanni. Egli li mandava perché ti interrogassero. E io mi sono unito a loro».
4La gente, sentendo parlare di Erode e comprendendo chi è che ne parla, si affolla curiosa intorno al gruppetto di Gesù e dei tre.
«Che volevate chiedermi?» chiede Gesù dopo scambievoli saluti coi due austeri personaggi.
«Parla tu, Mannaen, che sai tutto e sei più amico» dice uno dei due.
«Ecco, Maestro. Tu devi compatire se per troppo amore i discepoli vanno in diffidenza verso Colui che credono antagonista o soppiantatore del loro maestro. Così fanno i tuoi, così quelli di Giovanni. È una comprensibile gelosia, che dimostra tutto l’amore dei discepoli per i maestri. Io… sono imparziale, e questi che con me sono lo possono dire, perché conosco Te e Giovanni e vi amo con giustizia, tanto che, per quanto ami Te per quello che sei, ho preferito fare il sacrificio di stare presso Giovanni, perché venero lui pure per quello che è, ed attualmente perché più in pericolo di Te. Ora per questo amore, nel quale soffiano col loro astio i farisei, essi sono giunti a dubitare che Tu sia il Messia. E lo hanno confessato a Giovanni credendo di dargli gioia col dire: “Per noi sei tu il Messia. Non ci può essere uno più santo di te”. Ma Giovanni li ha rimproverati per prima cosa chiamandoli bestemmiatori, e poi, dopo il rimprovero, con più dolcezza, ha spiegato tutte le cose che ti indicano come vero Messia. Infine, vedendoli ancora non persuasi, ha preso due di essi, questi, e ha detto: “Andate da Lui e ditegli in mio nome: ‘Sei Tu quello che ha da venire, o dobbiamo attenderne un altro?’ “. Non ha mandato i discepoli già pastori, perché essi credono e non sarebbe giovato mandarli. Ma ha preso fra quelli che dubitano per farteli avvicinare e perché la loro parola dissipi i dubbi dei loro simili. Io li ho accompagnati per poterti vedere. Ho detto. Tu ora calma i loro dubbi».
5«Ma non ci credere ostili, Maestro! Le parole di Mannaen te lo potrebbero far pensare. Noi… noi… Noi conosciamo da anni il Battista e lo abbiamo sempre visto santo, penitente, ispirato. Tu… non ti conosciamo che per parola altrui. E Tu sai cosa è la parola degli uomini… Crea e distrugge fama e lodi nel contrasto fra chi esalta e chi abbatte, così come una nuvola viene formata e disciolta da due venti contrari».
«So, so. Leggo nel vostro animo, e i vostri occhi leggono la verità in quanto vi circonda, così come le vostre orecchie hanno sentito il colloquio con la vedova. Questo basterebbe a persuadere. Ma Io vi dico. Osservate chi mi circonda. Qui non sono ricchi né gaudenti, qui non persone scandalose. Ma poveri, malati, onesti israeliti che vogliono conoscere la Parola di Dio. E non altro. Questo, questo, questa donna, e poi quella fanciullina e quel vecchio, sono venuti qui malati ed ora sono sani. Interrogateli e vi diranno cosa avevano e come li guarii e come stanno ora. Fate, fate. Io intanto parlo con Mannaen» e Gesù fa per ritirarsi.
«No, Maestro. Noi non dubitiamo delle tue parole. Solo dàcci una risposta da dare a Giovanni, perché egli veda che siamo venuti e perché possa, in base a quella, persuadere i nostri compagni».
«Andate a riferire questo a Giovanni: “I sordi odono; questa fanciulla era sorda e muta. I muti parlano; e quell’uomo era muto dalla nascita. I ciechi vedono”. 6Uomo, vieni qui. Di’ a costoro ciò che avevi» dice Gesù prendendo per un braccio un miracolato.
Questo dice: «Sono muratore e mi cadde sul viso un secchio pieno di calce viva. Mi bruciò gli occhi. Da quattro anni ero nelle tenebre. Il Messia mi ha bagnato gli occhi seccati con la sua saliva e sono tornati più freschi di quando avevo venti anni. Che Egli ne sia benedetto».
Gesù riprende: «E coi ciechi, sordi, muti guariti, si raddrizzano gli storpiati e corrono gli zoppi. Ecco lì quel vecchio rattrappito poco anzi e ora dritto come una palma del deserto e agile come una gazzella. Si sanano le malattie più gravi. Tu, donna, che avevi?».
«Un male al seno per il troppo latte dato a bocche voraci. E il male, col seno, mi rodeva la vita. Ora guardate» e si socchiude la veste mostrando intatte le mammelle e aggiunge: «Era tutta una piaga, e lo dimostra la tunica ancor bagnata del marciume. Ora vado a casa per mettere veste monda e sono forte e felice. Mente solo ieri ero morente, portata qui da pietosi, e tanto infelice… per i bambini prossimi ad essere senza madre. Eterna lode al Salvatore!».
«Udite? E potete interrogare il sinagogo di questa città sulla risurrezione della figlia sua e, tornando verso Gerico, passate da Naim, chiedete del giovane risuscitato alla presenza di tutta la città e mentre stava per essere messo nel sepolcro. Così potrete riferire che i morti risuscitano. Che molti lebbrosi siano guariti, potete saperlo da molti luoghi in Israele, ma se volete andare a Sicaminon, cercatene fra i discepoli, e molti ne troverete. Dite dunque a Giovanni che i lebbrosi sono mondati. E dite, poiché lo vedete, che ai poveri è annunziata la Buona Novella. Ed è beato chi non si sarà scandalizzato di Me.
7Dite questo a Giovanni. E ditegli che Io lo benedico con tutto il mio amore».
«Grazie, Maestro. Benedici noi pure prima della partenza».
«Voi non potete partire in queste ore calde. Rimanete perciò miei ospiti fino a sera. Vivrete per un giorno la vita di questo Maestro che non è Giovanni, ma che Giovanni ama perché sa Chi è. Venite nella casa. Vi è fresco e vi ristorerò. Addio, miei ascoltatori. La pace sia con voi» e congedate le turbe entra in casa coi tre ospiti…
8…Quanto si dicano in quelle ore affocate non so. Ciò che vedo ora è la preparazione della partenza per Gerico dei due discepoli. Mannaen pare che resti, perché il suo cavallo non è stato portato con i due robusti asini davanti all’apertura del muro del cortile. I due inviati di Giovanni, dopo molti inchini al Maestro e a Mannaen, montano in sella e ancora si voltano a guardare e a salutare, finché un angolo di via non li nasconde alla vista.
Molti di Cafarnao si sono affollati per vedere questa partenza, perché la notizia della venuta dei discepoli di Giovanni e la risposta di Gesù a loro hanno fatto il giro del paese, e credo anche di altri paesi vicini. Vedo persone di Betsaida e Corozim, che si sono presentate ai messi di Giovanni chiedendo di lui e dicendo di salutarlo - forse sono ex discepoli del Battista - rimanere ora, in crocchio con quelli di Cafarnao, a commentare. Gesù, con a fianco Mannaen, fa per rientrare in casa parlando. Ma la gente gli si stringe intorno, curiosa di osservare il fratello di latte di Erode e i suoi modi pieni di ossequio per Gesù, e desiderosa di parlare col Maestro.
9C’è anche Giairo, il sinagogo. Ma, per grazia di Dio, non ci sono farisei. È proprio Giairo che dice: «Sarà contento Giovanni! Non solo hai mandato esauriente risposta, ma anche, trattenendoli, hai potuto ammaestrarli e mostrare loro un miracolo».
«E non da poco, anche!» dice un uomo.
«Io avevo portato apposta la mia bambina oggi perché la vedessero. Non è mai stata così bene e per lei è una gioia venire dal Maestro. Avete sentito, eh?, la sua risposta? “Io non mi ricordo cosa è la morte. Ma mi ricordo che un angelo mi ha chiamata portandomi ad una luce sempre più viva, al termine della quale era Gesù. E come l’ho visto allora, col mio spirito che tornava in me, non lo vedo neppure ora. Voi ed io ora vediamo l’Uomo. Ma il mio spirito ha visto il Dio che è chiuso nell’Uomo”. E come si è fatta buona da allora! Lo era buona. Ma ora è un vero angelo. Ah! per me, dicano quello che vogliono tutti, non ci sei che Tu di santo!».
«Ma anche Giovanni è santo però» dice uno di Betsaida.
«Sì. Ma è troppo severo».
«Non lo è più per gli altri che per sé».
«Ma non fa miracoli e si dice che digiuni perché sia come un mago».
«Eppure è santo».
Il battibecco fra la folla si estende. 10Gesù alza la mano e la stende col gesto abituale che ha quando chiede silenzio e attenzione perché vuole parlare. Il silenzio si fa subito.
Gesù dice:
«Giovanni è santo e grande. Non guardate il suo modo di fare né l’assenza di miracoli. In verità ve lo dico: “Egli è un grande del Regno di Dio”. Là apparirà in tutta la sua grandezza.
Molti si lamentano perché egli era ed è severo fin ad apparire rude. In verità vi dico che egli ha lavorato da gigante per preparare le vie del Signore. E chi lavora così non ha tempo da perdere in mollezze. Non diceva egli, mentre era lungo il Giordano, le parole di Isaia in cui lui e il Messia sono profetizzati: “Ogni valle sarà colmata, ogni monte sarà abbassato, e le vie tortuose saranno raddrizzate e le scabre fatte piane”, e ciò per preparare le vie al Signore e Re? Ma in verità ha fatto più egli che non tutto Israele per prepararmi la via! E chi deve abbattere monti e colmare valli e raddrizzare vie o rendere dolci le salite penose, non può che lavorare rudemente. Perché egli era il Precursore e solo il giro di poche lune lo anticipava da Me, e tutto doveva essere fatto prima che il Sole fosse alto sul giorno della Redenzione. Il tempo è questo, il Sole ascende per splendere su Sionne e da lì su tutto il mondo. Giovanni ha preparato la via. Come doveva.
Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna che ogni vento agita in diversa direzione? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma questi abitano nelle case dei re, avvolti in morbide vesti e ossequiati da mille servi e cortigiani, cortigiani essi pure di un povero uomo. Qui ve ne è uno. Interrogatelo se in lui non è il disgusto della vita di Corte e ammirazione per la rupe solitaria e scabra, sulla quale invano si avventano fulmini e gragnuole e i venti stolti giostrano per svellerla, mentre essa sta solida con lo slancio di tutte le sue parti verso il cielo, con la punta che predica la gioia dell’alto tanto è eretta, puntuta come una fiamma che sale. Questo è Giovanni. Così lo vede Mannaen, perché ha compreso la verità della vita e della morte, e vede grandezza là dove è, anche se nascosta sotto le apparenze selvagge.
E voi, che avete visto in Giovanni quando siete andati a vederlo? Un profeta? Un santo? Io ve lo dico: Egli è da più di un profeta. Egli è da più di molti santi, da più dei santi perché è colui del quale sta scritto: “Ecco, Io mando dinnanzi a voi il mio angelo a preparare la tua via dinnanzi a Te”.
11Angelo. Considerate. Voi sapete che gli angeli sono spiriti puri, creati da Dio a sua somiglianza spirituale, messi a congiunzione fra l’uomo: perfezione del creato visibile e materiale, e Dio: Perfezione del Cielo e della terra, Creatore del Regno spirituale e del regno animale. Nell’uomo anche più santo vi è sempre la carne e il sangue a porre un abisso fra lui e Dio. E l’abisso si sprofonda per il peccato che appesantisce anche ciò che è spirituale nell’uomo. Ecco allora Dio creare gli angeli, creature che toccano il vertice della scala creativa così come i minerali ne segnano la base; i minerali, la polvere che compone la terra, le materie inorganiche in genere. Specchi tersi del Pensiero di Dio, fiamme volenterose operanti per amore, pronti a comprendere, solleciti ad operare, liberi nel volere come noi, ma di un volere tutto santo che ignora le ribellioni e i fomiti del peccato. Questo sono gli angeli adoratori di Dio, suoi messaggeri presso gli uomini, protettori nostri, datori a noi della Luce che li investe e del Fuoco che essi raccolgono adorando.
Giovanni è detto “angelo” dalla parola profetica. Ebbene Io vi dico: “Tra i nati di donna non ne è mai sorto uno più grande di Giovanni Battista”. Eppure, il più piccolo del Regno dei Cieli sarà più grande di lui-uomo. Perché uno del Regno dei Cieli è figlio di Dio e non figlio di donna. Tendete dunque tutti a divenire cittadini del Regno.
12Che vi chiedete l’un l’altro?».
«Dicevamo: “Ma Giovanni sarà nel Regno? E come vi sarà?”».
«Egli nel suo spirito è già del Regno e vi sarà dopo la morte come uno dei soli più splendidi dell’Eterna Gerusalemme. E ciò per la Grazia che è senza incrinatura in lui e per la sua volontà propria. Perché egli fu ed è violento anche con se stesso per fine santo. Dal Battista in poi, il Regno dei Cieli è di coloro che sanno conquistarselo con la forza opposta al Male, e se lo acquistano i violenti. Perché ora sono note le cose da farsi e tutto è dato per questa conquista. Non è più il tempo che parlavano solo la Legge ed i Profeti. Questi hanno parlato sino a Giovanni. Ora parla la Parola di Dio e non nasconde un iota di quanto è da sapersi per questa conquista. Se credete in Me, dovete perciò vedere Giovanni come quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi da intendere, intenda. Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile a quella che descrivono quei ragazzi, che seduti sulla piazza gridano ai loro compagni: “Abbiamo suonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanni che non mangia e non beve, e questa generazione dice: “Può fare così perché ha il demonio che lo aiuta”. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Così alla Sapienza viene resa giustizia dai suoi figli! 13In verità vi dico che solo i pargoli sanno riconoscere la verità, perché in essi non è malizia».
«Bene hai detto, Maestro» dice il sinagogo. «Ecco perché mia figlia, ancor senza malizia, ti vede quale noi non giungiamo a vederti. Eppure questa città e quelle vicine traboccano della tua potenza, sapienza e bontà e, devo confessarlo, non procedono che in cattiveria verso di Te. Non si ravvedono. E il bene, che Tu dai loro, fermenta in odio verso di Te».
«Come parli, Giairo? Tu ci calunni! Noi siamo qui perché fedeli al Cristo» dice uno di Betsaida.
«Sì. Noi. Ma quanti siamo? Meno di cento su tre città che dovrebbero essere ai piedi di Gesù. Fra quelli che mancano, e parlo degli uomini, la metà è nemica, un quarto indifferente, l’altra voglio mettere non possa venire. Non è questo colpa agli occhi di Dio? E non sarà punito tutto questo livore e questa pertinacia nel male? Parla Tu, Maestro che sai, e che se taci è per la tua bontà, non già perché Tu ignori. Longanime sei, e ciò è preso per ignoranza e debolezza. Parla dunque e possa il tuo parlare scuotere almeno gli indifferenti, posto che i malvagi non si convertono ma sempre più malvagi divengono».
«Sì. È colpa e sarà punita. Perché il dono di Dio non va mai sprezzato o usato per fare del male. Guai a te, Corozim, guai a te, Betsaida, che fate mal’uso dei dono di Dio. Se in Tiro e in Sidone fossero già avvenuti i miracoli avvenuti in mezzo a voi, già da gran tempo, vestiti di cilizio e aspersi di cenere, avrebbero fatto penitenza e sarebbero venuti a Me. E perciò vi dico che a Tiro e a Sidone sarà usata maggiore clemenza che a voi nel giorno del Giudizio. E tu, Cafarnao, credi che per avermi ospitato soltanto sarai esaltata fino al Cielo? Tu scenderai fino all’inferno. Perché se in Sodoma fossero stati fatti i miracoli che Io ti ho dati, essa ancora sarebbe fiorente, perché in Me avrebbe creduto e si sarebbe convertita. Perciò sarà usata maggior clemenza a Sodoma nell’ultimo Giudizio, perché essa non ha conosciuto il Salvatore e la sua Parola, e perciò è meno grande la sua colpa di quanto non ne verrà usata a te, che hai conosciuto il Messia e udita la sua parola e non ti sei ravveduta. Però, siccome Dio è giusto, a quelli di Cafarnao, Betsaida e Corozim che hanno creduto e che si santificano ubbidendo alla mia parola, sarà usata misericordia grande. Perché non è giusto che i giusti siano coinvolti nella rovina dei peccatori. 14Riguardo a tua figlia, Giairo, e alla tua, Simone, e al tuo bambino, Zaccaria, ai tuoi nipoti, Beniamino, Io vi dico che essi, essendo senza malizia, già vedono Dio. E voi lo vedete come la loro fede è pura e operosa in essi, unita a sapienza celeste, a aneliti di carità quali gli adulti non hanno».
E Gesù, alzando li occhi al cielo che incupisce nella sera, esclama: «Io ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Così, o Padre, perché così ti è piaciuto. Tutto è stato affidato a me dal Padre mio, e nessuno lo conosce tranne il Figlio e coloro ai quali il Figlio avrà voluto rivelarlo. Ed Io l’ho rivelato ai piccoli, agli umili, ai puri, perché Dio si comunica ad essi, e la verità scende come seme nei terreni liberi, e su essa il Padre fa piovere le sue luci perché getti radice e faccia pianta. Anzi, che in verità il Padre prepara questi spiriti di pargoli per età o pargoli di volere, perché essi conoscano la Verità ed Io abbia gioia dalla loro fede»…
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 4 dicembre 2016, II Domenica di Avvento

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 3,1-12.
In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea,
dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico.
Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano;
e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.
Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente?
Fate dunque frutti degni di conversione,
e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.
Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco.
Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45 pagina 281.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.
Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.
Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”
Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.”
“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: “Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/