"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 31 Marzo 2013, Domenica di Pasqua : Risurrezione del Signore

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 20,1-9.
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 10 Capitolo 619 pagina 227.
1Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare. «Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna. «Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome. «Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna. «Chi?», domanda la Maddalena. «I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì... entrano pochi ed escono meno ancora... Daremo sospetti...». «E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi». «Però... Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?...». «Allungheremo la strada». «Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua...». «Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa. «Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona...», pregano tutte. «E va bene.
2Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei...». «Oh! sì. Anche per le guardie messe là... Lei è nota e temuta...». «Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo». «Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete) ci lasceranno fare tutto». «Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione». «Allora andate, che io vado» . «Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella. «No. Tu va’ con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno. Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Né nessuno la ferma...
3Le altre la guardano andare, poi volgono le spalle alla biforcazione di vie dove erano e ne prendono un’altra, stretta e oscura, che poi si apre, in prossimità del Sisto, in una più vasta e aperta in cui sono belle case. Si dividono ancora, Salome e Susanna procedendo per la via, mentre Marta e Maria d’Alfeo bussano al portone ferrato e si mostrano al finestrino (spioncino) che il portinaio socchiude. Entrano e vanno da Giovanna che, già alzata e tutta vestita di un viola scurissimo che la fa ancora più pallida, manipola anche essa degli oli insieme alla nutrice e ad una servente.«Siete venute? Dio ve ne compensi. Ma, non foste venute, sarei andata da me... Per trovare conforto... Perché molte cose sono rimaste turbate dopo quel tremendo giorno. E per non sentirmi sola devo andare contro quella pietra a bussare e dire: “Maestro, sono la povera Giovanna... Non mi lasciare sola anche Tu...”». Giovanna piange piano ma con molta desolazione, mentre Ester, la nutrice, fa dei grandi segni indecifrabili dietro le spalle della padrona, intanto che le mette il mantello. «Io vado, Ester». «Dio ti conforti!». Escono dal palazzo per raggiungere le compagne. È in questo momento che avviene il breve e forte terremoto, che getta di nuovo nel panico i gerosolimitani, ancora terrorizzati dagli avvenimenti del Venerdì. Le tre donne tornano sui loro passi, precipitosamente, e nell’ampio vestibolo, fra le serve e i servi urlanti e invocanti il Signore, stanno paurose di nuove scosse...
4...La Maddalena, invece, è proprio al limitare del viottolo che porta all’orto dell’Arimatea quando la coglie il boato potente, e pure armonico, di questo segno celeste, mentre, nella luce appena rosata dell’aurora che si avanza nel cielo, dove ancora a occidente resiste una tenace stella, e che fa bionda l’aria fino allora verdolina, si accende una grande luce, che scende come fosse un globo incandescente, splendidissimo, tagliando a zig zag l’aria quieta. Maria di Magdala ne è quasi sfiorata e rovesciata al suolo. Si curva un momento mormorando: «Mio Signore!», e poi si raddrizza come uno stelo dopo il passar del vento e, ancora più ratta, corre verso l’ortaglia. Vi entra veloce, andando, come un uccello inseguito e cercante il nido, verso il sepolcro di roccia. Ma, per quanto vada veloce, non può essere là quando la celeste meteora fa da leva e da fiamma sul sigillo di calcina messo a rinforzo del pesante pietrone, né quando con fragore finale la porta di pietra cade, dando uno scuotio che si unisce a quello del terremoto che, se è breve, è di una violenza tale che atterra le guardie come morte. Maria, sopraggiungendo, vede questi inutili carcerieri del Trionfatore gettati al suolo come un fascio di spighe falciate. Maria Maddalena non riconnette il terremoto con la Risurrezione. Ma, vedendo quello spettacolo, crede che sia il castigo di Dio sui profanatori del Sepolcro di Gesù, e cade a ginocchio dicendo: «Ahimé! Lo hanno rapito!». È veramente desolata e piange come una bambina che sia venuta sicura di trovare il padre cercato e trovi invece vuota la dimora.
5Poi si alza e corre via per andare da Pietro e Giovanni. E, dato che più non pensa che ad avvisare i due, non ricorda di andare incontro alle compagne, di arrestarsi sulla via, ma veloce come una gazzella ripassa per la strada già fatta, supera la porta Giudiziaria e vola per le strade che sono un poco più animate, si abbatte contro il portone della casa ospitale e lo batte e lo scuote furiosamente. Le apre la padrona. «Dove sono Giovanni a Pietro?», chiede affannosa Maria Maddalena. «Là», e la donna indica il Cenacolo. Maria di Magdala entra e, appena è dentro, davanti ai due stupiti dice, e nella voce tenuta bassa per pietà della Madre è più affanno che se avesse urlato, dice: «Hanno portato via il Signore dal Sepolcro! Chissà dove lo hanno messo!», e per la prima volta traballa e vacilla e, per non cadere, si afferra dove può. «Ma come? Che dici?», chiedono i due. E lei, con affanno: «Sono andata avanti... per comperare le guardie... perché ci lasciassero fare. Loro sono là come morte... Il Sepolcro è aperto, la pietra per terra... Chi? Chi sarà stato? Oh! venite! Corriamo...». Pietro e Giovanni si avviano subito. Maria li segue per qualche passo. Poi torna indietro. Afferra la padrona di casa, la scrolla, violenta nel suo previdente amore, e le fischia in volto: «Guardati bene da far passare nessuno da Lei (e accenna la porta della stanza di Maria). Ricòrdati che io sono la tua padrona. Ubbidisci e taci». E poi la lascia esterrefatta e raggiunge gli apostoli, che a gran passi vanno verso il Sepolcro...
6...Susanna e Salome, intanto, lasciate le compagne e raggiunte le mura, vengono colte dal terremoto. Impaurite, si rifugiano sotto una pianta e stanno là, combattute fra la smania di andare verso il Sepolcro e quella di scappare presso Giovanna. Ma l’amore vince la paura e vanno verso il Sepolcro. Entrano ancora sbigottite nell’ortaglia e vedono le guardie tramortite... vedono una grande luce uscire dal Sepolcro aperto. Si aumenta il loro sbigottimento e finisce di farsi completo quando, tenendosi per mano per farsi coraggio a vicenda, si affacciano sulla soglia e, nel buio della grotta sepolcrale, vedono una creatura luminosa e bellissima, dolcemente sorridente, salutarle dal posto dove sta: appoggiata a destra della pietra dell’unzione, che si annulla col suo grigio dietro a tanto incandescente splendore. Cadono a ginocchi, sbalordite di stupore. Ma l’angelo dolcemente parla loro: «Non abbiate timore di me. Sono l’angelo del divino Dolore. Sono venuto per bearmi della fine di esso. Più non è il dolore del Cristo, il suo avvilimento nella morte. Gesù di Nazaret, il Crocifisso che voi cercate, è risorto. Non è più qui! Vuoto è il posto dove era deposto. Giubilate con me. Andate. Dite a Pietro e ai discepoli che Egli è risorto e vi precede in Galilea. Là lo vedrete ancora per poco, secondo che ha detto». Le donne cadono col volto a terra e quando lo alzano fuggono come fossero inseguite da un castigo. Sono terrorizzate e mormorano: «Ora morremo! Abbiamo visto l’angelo del Signore!». Si calmano un poco in aperta campagna a si consigliano. Che fare? Se dicono ciò che hanno visto, non saranno credute. Se dicono anche di venire di là, possono essere accusate dai giudei di aver ucciso le guardie. No. Non possono dire nulla, né agli amici, né ai nemici... Pavide, ammutolite, tornano da altra via verso casa. Entrano e si rifugiano nel Cenacolo. Neppure chiedono di vedere Maria... E là pensano che quanto hanno visto non sia che un inganno del Demonio. Umili come sono, giudicano che «non può essere che a loro sia stato concesso di vedere il messo di Dio. È Satana che le ha volute impaurire per allontanarle di là».Piangono e pregano come due bambine impaurite da un incubo...
7...Il terzo gruppo, quello di Giovanna, Maria d’Alfeo e Marta, visto che nulla succede di nuovo, si decide ad andare là dove certo le compagne attendono. Escono nelle strade, dove ormai vi è gente impaurita, che commenta il nuovo terremoto e lo ricollega ai fatti del Venerdì e vede anche quello che non c’è. «Meglio se sono tutti spauriti! Forse e o saranno anche le guardie e non faranno eccezioni», dice Maria d’Alfeo. E vanno svelte verso le mura.
8Ma, mentre loro vanno là, all’ortaglia sono già giunti Pietro e Giovanni, seguiti dalla Maddalena. E Giovanni, più svelto, giunge per primo al Sepolcro. Le guardie non ci sono più. E più non c’è l’angelo. Giovanni si inginocchia, timoroso e dolente, sulla soglia spalancata, e per venerare e per cogliere qualche indizio dalle cose che vede. Ma non vede che ammucchiati per terra i pannilini messi sopra la sindone. «Non c’è proprio, Simone! Maria ha visto bene. Vieni, entra, guarda». Pietro, col fiato grosso per il gran correre fatto, entra nel Sepolcro. Aveva detto per via: «Io non oserò accostarmi a quel posto». Ma ora non pensa altro che a scoprire dove può essere il Maestro. E lo chiama anche, come Egli potesse essere nascosto in qualche angolo buio. L’oscurità, in questa ora mattutina, è ancora forte nel profondo del Sepolcro, a cui dà luce solo la piccola apertura della porta su cui ora fanno ombra Giovanni e la Maddalena... E Pietro stenta a vedere, e deve aiutarsi con le mani a vedere... Tocca, a trema, il tavolo dell’unzione e lo sente vuoto... «Non c’è, Giovanni! Non c’è!... Oh! vieni anche tu! Io ho tanto pianto che non ci vedo quasi in questa poca luce». Giovanni si alza in piedi ed entra. E, mentre lo fa, Pietro scopre il sudario posto in un angolo, ben piegato e con dentro la sindone arrotolata con cura. «Lo hanno proprio rapito. Le guardie erano non per noi, ma per fare questo... E noi l’abbiamo lasciato fare. Coll’andarcene lo abbiamo permesso!...». «Oh! dove lo avranno messo?». «Pietro! Pietro! Ora... è proprio finita!». I due discepoli escono annientati. «Andiamo, donna. Tu lo dirai alla Madre...». «Io non vengo via. Sto qui... Qualcuno verrà... Oh! io non vengo... Qui c’è ancora qualcosa di Lui. Aveva ragione la Madre... Respirare l’aria dove Egli fu è l’unico sollievo che ci resta». «L’unico sollievo... Ora lo vedi tu pure che era fola sperare...», dice Pietro. Maria neppure risponde. Si accascia al suolo, proprio presso la porta, e piange, mentre gli altri vanno via lentamente.
9Poi alza il capo e guarda dentro, e fra le lacrime vede due angeli seduti a capo e a piedi della pietra dell’unzione. È tanto intontita la povera Maria, nella sua più fiera battaglia fra la speranza che muore e la fede che non vuole morire, che li guarda inebetita, senza neppure stupirsene. Non ha più altro che lacrime la forte che a tutto ha resistito da eroina. «Perché piangi, donna?», chiede uno dei due luminosi fanciulli, perché di adolescenti bellissimi hanno l’aspetto. «Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove me lo hanno messo». Maria non ha paura a parlare con loro, non chiede: «Chi siete?». Nulla. Nulla più le fa stupore. Tutto quanto può stupire una creatura ella lo ha già subito. Ora non è che una cosa spezzata che piange senza vigore e ritegno. Il giovinetto angelico guarda il compagno e sorride. E l’altro pure. E in un balenare di letizia angelica ambedue guardano fuori, verso l’ortaglia tutta in fiore per i milioni di corolle che si sono aperte al primo sole sui meli fitti del pometo.
10Maria si volta per vedere chi guardano. E vede un Uomo, bellissimo, che non so come non possa riconoscere subito. Un Uomo che la guarda con pietà e le chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». È vero che è un Gesù offuscato dalla sua pietà verso la creatura, che le troppe emozioni hanno sfinita e che potrebbe morire per improvvisa gioia, ma proprio mi chiedo come possa non riconoscerlo. E Maria fra i singhiozzi: «Mi hanno preso il Signore Gesù! Ero venuta per imbalsamarlo in attesa che sorgesse... Ho tenuto raccolto tutto il mio coraggio e la mia speranza e la mia fede intorno al mio amore... e ora non lo trovo più... Anzi ho messo il mio amore intorno alla fede, alla speranza e al coraggio, per difendere questi dagli uomini... Ma è tutto inutile! Gli uomini hanno rubato il mio Amore e con esso tutto mi hanno levato... O mio signore, se sei tu che lo hai portato via, dimmi dove lo hai messo. Ed io lo prenderò... Non lo dirò a nessuno... Sarà un segreto fra me a te. Guarda: sono la figlia di Teofilo, la sorella di Lazzaro, ma ti sto in ginocchio davanti a supplicarti, come una schiava. Vuoi che ti compri il suo Corpo? Lo farò. Quanto vuoi? Sono ricca. Posso darti tant’oro e gemme per quanto esso pesa. Ma rendimelo. Non ti denuncerò. Vuoi percuotermi? Fallo. A sangue, se vuoi. Se hai un odio per Lui, fallo scontare a me. Ma rendimelo. Oh! non mi fare povera di questa miseria, o mio signore! Pietà di una povera donna!... Per me non vuoi? Per sua Madre, allora. Dimmi! Dimmi dove è il mio Signore Gesù. Sono forte. Lo prenderò fra le braccia e lo porterò come un bambino in salvo. Signore... signore... tu lo vedi... da tre giorni siamo percossi dall’ira di Dio per quello che fu fatto al Figlio di Dio... Non aggiungere Profanazione a Delitto...». «Maria!». Gesù sfavilla nel chiamarla. Si svela nel suo fulgore trionfante. «Rabboni!». Il grido di Maria è veramente “il grande grido” che chiude il ciclo della morte. Col primo le tenebre dell’odio fasciarono la Vittima di bende funebri, col secondo le luci dell’amore aumentarono il suo splendore. E Maria si alza nel grido che empie l’ortaglia, corre ai piedi di Gesù, li vorrebbe baciare. Gesù la scosta toccandola appena col sommo delle dita presso la fronte: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e di’ loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro». E Gesù scompare, assorbito da una luce insostenibile.
11Maria bacia il suolo dove Egli era e corre verso casa. Entra come un razzo, perché il portone è socchiuso per dare passaggio al padrone che esce per andare alla fonte; apre la porta della stanza di Maria e le si abbandona sul cuore gridando: «È risorto! È risorto!», e piange beata. E mentre accorrono Pietro e Giovanni, e dal Cenacolo avanzano le spaurite Salome e Susanna e ascoltano il suo racconto, ecco entrare anche, dalla via, Maria d’Alfeo con Marta e Giovanna, che a fiato mozzo dicono di «essere anche loro state là e di avere visto due angeli che si dicevano il Custode dell’Uomo Dio e l’angelo del suo Dolore, e che hanno dato loro l’ordine di dire ai discepoli che Egli era risorto». E poiché Pietro scrolla il capo, insistono dicendo: «Sì. Hanno detto: “Perché cercate il Vivente fra i morti? Egli non è qui. È risorto, come disse quando ancora era in Galilea. Non ricordate? Disse: ‘Il Figlio dell’uomo deve essere dato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso. Ma il terzo giorno risusciterà’ “». Pietro scrolla il capo dicendo: «Troppe cose in questi giorni! Ne siete rimaste turbate». La Maddalena alza il capo dal petto di Maria e dice: «L’ho visto! Gli ho parlato. Mi ha detto che sale al Padre e poi viene. Come era bello!», e piange come non ha mai pianto, ora che non ha più da torturare se stessa per fare forza contro il dubbio sorgente da ogni lato. Ma Pietro, e anche Giovanni, restano molto dubbiosi. Si guardano, ma il loro occhio dice: «Immaginazione di donne!». Anche Susanna e Salome osano allora parlare. Ma la stessa inevitabile diversità nei particolari delle guardie che prima ci sono come morte e poi non ci sono, degli angeli che ora sono uno e ora due e che agli apostoli non si sono mostrati, delle due versioni sul venire qui di Gesù o sul precedere i suoi in Galilea, fa sì che il dubbio e, anzi, la persuasione degli apostoli cresca sempre più.
12Maria, la Madre beata, tace sorreggendo la Maddalena... Non comprendo il mistero di questo silenzio materno. Maria d’Alfeo dice a Salome: «Torniamo là noi due. Vediamo se siamo tutte ebbre...». E corrono fuori. Le altre restano, pacatamente derise dai due apostoli, presso Maria che tace, assorta in un pensiero che tutti interpretano a modo loro, e nessuno comprende che è estasi.Tornano le due attempate donne: «È vero! È vero! Noi lo abbiamo visto. Ci ha detto, presso l’orto di Barnaba: “La pace a voi. Non temete. Andate a dire ai miei fratelli che sono risorto e che vadano fra qualche giorno in Galilea. Là staremo ancora insieme”. Così ha detto. Maria ha ragione. Bisogna dirlo a quelli di Betania, a Giuseppe, a Nicodemo, ai discepoli più fidi, ai pastori, andare, fare, fare... Oh! è risorto!...», piangono tutte beate. «Folli siete, donne. Il dolore vi ha turbate. La luce vi è parsa angelo. Il vento voce. Il sole il Cristo. Io non vi critico. Vi capisco, ma non posso che credere che a ciò che io ho visto: il Sepolcro aperto e vuoto, e le guardie fuggite col Cadavere involato». «Ma se lo dicono le guardie stesse che è risorto! Se la città è in subbuglio e i principi dei Sacerdoti sono folli d’ira, perché le guardie hanno parlato fuggendo esterrefatte! Ora vogliono che dicano diverso e le pagano perciò. Ma già si sa. E se i giudei non credono alla Risurrezione, non vogliono credere, molti altri credono...». «Uhm! Le donne!...». Pietro alza le spalle a fa per andarsene.
13Allora la Madre, che ha sempre sul cuore la Maddalena che piange come un salice sotto un’acquata per la sua troppo grande gioia e che la bacia sui capelli biondi, alza il viso trasfigurato e dice una breve frase: «È realmente risorto. Io l’ho avuto fra le braccia e ne ho baciato le Piaghe». E poi si curva sui capelli dell’appassionata e dice: «Sì, la gioia è ancora più forte del dolore. Ma non è che una briciola di rena di quello che sarà il tuo oceano di gioia eterna. Te beata che sopra la ragione hai fatto parlare lo spirito». Pietro non osa più negare... e con uno di quei trapassi del Pietro antico, che ora ritorna ad affiorare, dice, e urla, come se dagli altri e non da lui dipendesse il ritardo: «Ma allora, se è così, bisogna farlo sapere agli altri. A quelli dispersi per le campagne... cercare... fare... Su, muovetevi. Se dovesse proprio venire... che ci trovi almeno», e non si accorge che ancora confessa di non credere ciecamente alla sua Risurrezione.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 24 Marzo 2013, Domenica delle Palme "De Passione Domini" - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-71.23,1-56.
Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui,
e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione,
poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».
E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi,
poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio».
Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».
«Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola.
Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!».
Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande.
Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori.
Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.
Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.
Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove;
e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me,
perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.
Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano;
ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte».
Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».
Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla».
Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una.
Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine».
Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!».
Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono.
Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione».
Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava:
«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo.
In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.
Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza.
E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo.
Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?».
Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?».
E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro.
Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì.
Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?
Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre».
Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.
Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro.
Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui».
Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!».
Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!».
Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo».
Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò.
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».
E, uscito, pianse amaramente.
Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano,
lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?».
E molti altri insulti dicevano contro di lui.
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero:
«Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete;
se vi interrogo, non mi risponderete.
Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio».
Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono».
Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».
Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato
e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re».
Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».
Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo».
Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».
Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo
e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui.
Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.
C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.
Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.
In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.
Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,
disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate;
e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.
Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».
.
Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.
Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù.
Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».
Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò».
Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.
Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.
Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.
Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.
Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.
Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto».
Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano:
«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?
Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.
Il velo del tempio si squarciò nel mezzo.
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.
Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto».
Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto.
Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.
C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta.
Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio.
Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.
Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto.
Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato.
Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù,
poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 600 pagina 453.
1Comincia la sofferenza del Giovedì Santo.
Gli apostoli, e sono dieci, si dànno un gran da fare a preparare il Cenacolo.
Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l’olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che pare una corolla di fucsia doppia, perché ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo, tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore. (E non rida del mio disegno.) Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui viene stesa una finissima tovaglia. Sento Andrea che dice: «Che splendido lino!».
E l’Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l’ha voluta portare per forza».
«E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con occhio d’intenditore.
«Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.
«È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L’argento e l’oro in foglia si piega, quando è caldo, con facilità. Ma trattato così... È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi... Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».
«Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scoltura».
«Proprio così».
Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.
2Entrano insieme Pietro e Simone.
«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l’Iscariota.
«Ancora un’incombenza prima dell’ora», risponde breve Simone.
«Hai delle malinconie?».
«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».
«E con quel puzzo di... Bene, sta’ zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.
«Anche tu!... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.
«E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo... Hai persino l’occhio storto... Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.
«Oh! Quanto a paura!... Non sei certo un eroe neppure tu!».
«Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. Io dico, col mio, “Dio fa grazie”, ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in disgrazia di Dio. Simone di Giona, ribattezzato “la pietra”, è ora molle come cera al fuoco. Non si agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste! Matteo, Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell’amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni.
3«Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l’Iscariota.
«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l’altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: “Hai ragione”. Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.
«E non è follia un’idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé. Ora è uno stanco di mente».
«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l’altro cugino Giuda, in apparenza calmo.
«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre, giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l’amore ci fu velo. Ma quelli che l’amarono non idolatramente - tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima - videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah!».
Giuda Taddeo, che, alto come l’Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c’è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».
Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi!... È chiaro che tutti approvano.
4È appena ricomposto l’ambiente che entra Gesù. Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto sorriso dice, aprendo le braccia: «La pace sia con voi». La sua voce è stanca, come quella di uno che languisce nel fisico o nel morale.
Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino Giuda e dice all’altro cugino: «Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».
«Lo farai domani».
«Domani?... Ma avrò sempre tempo di vederlo... Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente! Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho perso. Anche tu, Simone».
«I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di carne», dice serio Simone.
«Per quanto... a tutte le età si possa avere quella fame... I vecchi! Peggio dei giovani...», dice l’Iscariota offensivo.
Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice: «Ti duole un dente? Hai la guancia destra gonfia e rossa».
«Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».
Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.
5«Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? E tu, Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all’offerta al Tempio?».
Tanto i due primi come l’Iscariota dicono: «Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi. Sta’ quieto».
«Io ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: “Erano più buone quelle mele!”. Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice sorridente e sognante Giovanni.
Anche Gesù sorride ad un ricordo...
«Io ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.
«Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l’Iscariota con interesse esagerato.
«Sì. Che c’è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».
«Non lo avevi detto prima... Mi sono stupito per questo!...». Giuda cerca rimediare all’impressione, data prima, di affanno per l’incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.
«Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen... Nessuno dei...».
Ma l’Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice: «Il coccodrillo si rintana nell’ora buona».
«Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.
«Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione dell’agnello. Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più. Non tutto è detto di quanto a Me si riferisce. Solo l’essenziale. Il resto... lo capirete poi. Vi sarà detto... Sì. Verrà Chi ve lo dirà. 6Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa». Gesù è di una dolcezza straziante.
Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l’ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l’asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.
«Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall’altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli. Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l’aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto, il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!... Dopo Pietro, Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.
Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.
«Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa... una festa di nozze... il primo miracolo... l’acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà...». Gesù si immerge nel suo pensiero. A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano.
Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».
«Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».
«Tanto. Lo hai detto».
«Perché, Maestro?».
«Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest’ora».
Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.
«E vicino a te, da una parte Matteo, dall’altra Tommaso».
«Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».
«Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».
«Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d’onore, ha l’onore di essermi di fronte».
7Gesù, ritto al suo posto, mesce nell’ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa.
Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo: «Perché questa cerimonia?». Domanda formale, si capisce. Di rito.
Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde: «Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall’Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».
Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere.
Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.
Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell’agnello arrostito.
Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest’agnello, così?».
«A ricordo di quando Israele fu salvo per l’agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l’architrave. E dopo, mentre tutto l’Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».
Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall’Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 113).
Ora Gesù taglia l’agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora: «Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell’Eterno ora e sempre nei secoli. Dall’oriente all’occidente deve essere lodato», ecc. (ma non riesco a trovarlo).
Gesù dà le parti, badando che ognuno sia ben servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po’ triste, mentre dice: «Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui “il Salvatore”. Sapevo che quest’ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire... Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del frutto della vite finché sia venuto il Regno di Dio. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell’Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono».
8«Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l’onore del posto ha quello d’esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.
«Tutti e nessuno. Una volta... tornavamo stanchi... nauseati per l’astio farisaico. Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande... Un bambino mi corse vicino... un mio piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora,
piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo come eri, lo Spirito ti parlava? Io vi ho detto allora: “Se uno vuole essere il primo
sia l’ultimo e servo di tutti”. E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: “I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l’odio cova sotto il bugiardo ossequio”. Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove... Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».
«E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».
«Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell’esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. Io mi identifico nei miei credenti. Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».
9«Noi abbiamo perseverato fino alla fine».
«Lo credi, Pietro? Ed Io ti dico che l’ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. Io ho pregato per te, perché la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
«Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l’avrò».
«Non essere superbo, Pietro mio. Quest’ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante!... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: “Non temete. Nulla ci accadrà di male perché gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla”. Vi ricordate quando vi dicevo: “Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno”? Vi dicevo anche: “L’uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell’uccellino. Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?”. Vi dicevo ancora: “Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l’altra guancia”. Vi dicevo: “Non abbiate borsa ne bastone”. Perché Io ho insegnato amore e fiducia. Ma ora... Ora non è più quel tempo. Ora Io vi dico: “Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?”».
«Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».
«Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni... Con le ali d’oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego... Non ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell’Innocente. E noi siamo soli... Io e voi: soli. E i demoni sono i padroni dell’ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: “Egli è stato annoverato fra i malfattori”. In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine».
10Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perché questa sera sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù: «Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».
Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull’unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell’arnese feroce nelle mani di Gesù.
«Chi ve le ha date?», chiede l’Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda...
«Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente».
«Ma Pietro...».
«Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».
Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l’arma. Le rende allo Zelote.
«Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle. 11Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il “Maestro”. Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».
Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell’acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.
«Non mi chiedete che faccio?».
«Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.
«Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».
Si inginocchia. Slaccia i sandali all’Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l’esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente. Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l’atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all’apostolo che gli chiede: «Ti ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice: «No, amico. L’hai fatto senza malizia e non fa male». Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...
Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo... Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell’alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c’è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare: «Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!». Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.
Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinché sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto».
«Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».
«Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».
«Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest’acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».
«Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».
«Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I piedi... L’uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l’ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l’uomo. Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra. E i piedi dell’uomo dall’animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti... Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare... con gli occhi, con la bocca... Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore! E non c’era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei tutto
malizia e peccato, e non c’è parte di te che non pecchi!».
Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.
Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo: «Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell’ora del giudizio, mio Salvatore!».
«Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».
«Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l’ombra del fico e mi hai letto nel cuore. Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.
«Anche tu non temere. Ho detto allora: “Ecco un vero israelita in cui non è frode”. Ora dico: “Ecco un vero cristiano degno del Cristo”. Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te».
È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.
«Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so. Sii forte. Un’eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo». Bacia anche lui sulla fronte come l’altro cugino.
«Io sono peccatore, Maestro. Non a me...».
«Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l’Apostolo. Sei una mia “voce”. Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio... L’anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo».
Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».
Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l’unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.
12Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro: «Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di me. Io lo invocherò per tutta la vita. Mi
avevano circondato dolori di morte», ecc. (Salmo 114, mi pare).
Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: “Ogni uomo è menzognero”». Guarda fisso Giuda.
La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il nome del Signore», ecc. ecc. (Salmo 115).
Un’altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».
Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua misericordia dura in eterno...».
Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi. Una è: «Meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo». Un’altra è: «Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto». Un’altra è: «Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore». E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell’agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».
«No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».
Matteo si stringe nelle spalle.
Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.
«Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.
E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi stanca...».
13L’agnello è quasi consumato. Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso molt’acqua come fosse febbrile, riprende a parlare: «Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l’ultimo e che vi darò un cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro. Voi chiamate Me: Maestro e
Signore. Dite bene, perché tale Io sono. Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l’un l’altro. Io vi ho dato l’esempio affinché, come Io ho fatto, voi facciate. In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, né l’apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero. D’altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo: “Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me”. Tutto Io vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io. Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perché Io sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il rito».
Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non finisce mai. Bello... ma eterno! Credo di ritrovarlo, per l’inizio e la lunghezza, nel salmo 118. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!
14Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, Come noi. E parla: «Ora che l’antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d’amore. È l’ora di farlo. Per questo ho desiderato questa Pasqua. Da ora in poi questo è l’ostia che sarà consumata in perpetuo rito d’amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l’eternità, figli miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio».
Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo: «Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado». Dà il calice e dice: «Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue. Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».
Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d’agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.
15Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.
«Va dalla Madre», sussurra Giovanni.
E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna!».
Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?».
«Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».
Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto.
«Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.
«E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.
«Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.
«Oh! io...», sta per parlare Pietro.
Ma Giovanni, che è all’erta, dice: «Sss. È qui».
Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un’ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue.
Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
Gesù l’osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu tremi...», esclama.
«No. Non tremo per febbre... 16Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».
«Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l’un l’altro, venerandovi a vicenda, essendo l’un coll’altro d’esempio. E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d’essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome. Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato nello spirito... La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui».
I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l’un dell’altro. Pietro fissa l’Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l’Iscariota al disopra del corpo di Matteo.
Ma l’Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.
Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per giuoco?».
Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa.
17Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda - forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno, disarmato come è dalla disinvoltura dell’Iscariota - tira Giovanni per la manica e quando Giovanni, che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra: «Chiedigli chi è».
Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto gli mormora all’orecchio: «Maestro, chi è?».
E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli: «Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».
E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l’Eucarestia, ne stacca un grosso boccone, lo intinge nel succo lasciato dall’agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il braccio e dice: «Prendi, Giuda. Questo a te piace».
«Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni, inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l’orrido riso dell’Iscariota mentre coi denti forti morde il pane accusatore.
«Bene. Ora che ti ho fatto felice, va’», dice Gesù a Giuda. «Tutto è compiuto qui (marca molto la parola). Quello che resta ancora da fare altrove fàllo presto, Giuda di Simone».
«Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».
«Vado là... come sempre... sì».
«Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».
«Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.
«Lascialo andare. Io e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.
«Sì, Maestro». Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano sulla fronte, pensa.
Gesù si stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli: «Non dire nulla a Pietro, per ora. Sarebbe un inutile scandalo».
«Addio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta.
«Addio», dice Gesù.
E Pietro: «Ti saluto, ragazzo».
Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana!». Solo Gesù l’ode e sospira.
Qui mi cessa tutto, ma Gesù dice: «Sospendo per pietà di te. Ti darò la fine della Cena in altro momento».
18(continua la Cena)
Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni.
Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre».
Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea ed il cugino Giacomo) e li portano dall’altro lato.
Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall’Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».
Ora, rispetto alla tavola, sono messi così: [Disegno]
ossia sono in questa forma a U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda.
Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù».
«Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.
Gesù sorride:
«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo: “Che Dio ti benedica”. Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall’Eterno e lo troverai lassù.
19Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all’uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell’uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio. Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere. Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all’uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà!
Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all’autore dello stesso viene. È Dio stesso che dice: “Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l’ho concesso perché egli ha grande grazia agli occhi miei”. E qui dice; “Ha una grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto”. Parimenti alla gloria che si riversa sull’autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla per la gloria dei suoi santi. Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell’uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell’uomo. Io ho glorificato Dio in Me stesso. A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto lo glorificherà.
20Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d’Adamo, ma l’eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio, dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell’Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata?
Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l’anima vostra lanciata in supplice ricerca d’amore, dicendo: “Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è”. Ma non potete per ora venire dove Io vado. L’ho detto anche ai giudei: “Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire”. Lo dico anche a voi.
21Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall’Inviolata Io sono venuto, nell’estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall’Amore perfetto che vive in Cielo. Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure Io le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese. Eppure nessuno pari a Lei è nell’amarmi. E, ciononostante, Io la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: “Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora”. In Lei è ogni grazia e santità. È la creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la santissima testimonianza di ciò che può Iddio.
22Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione dal vostro Gesù, Io vi do un comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l’uno con l’altro. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli. Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l’aspetto fisico - perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro. Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perché più forte della morte è l’amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre».
23«Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.
«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».
«E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: “Seguimi”. Ho tutto lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai alla morte? Sta bene. Ma io pure vengo. Andremo insieme nell’altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te».
«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore».
«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».
«Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l’incarnato Iddio sarà preso e non l’avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: “Dio non è. Io sono”. E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il padrone dell’ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l’umano. Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.
24Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me. Contro tutte le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: “Io non lo conosco”. Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo.
Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perché Io vado avanti. A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care. Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo. Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perché siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.
Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d’Israele, e nell’ardenza del fuoco dell’amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l’eterno alleluia dell’esercito angelico...
25Io voglio che dove Io sarò voi siate. E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via».
«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l’attesa?», chiede Tommaso.
«Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all’ovile? E dove tu, risorta d’anima?».
«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l’andiamo a chiamare...».
«No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai... Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo spirito come levita in questa individuale adorazione. All’altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto: “Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova”. E ambedue hanno trovato Iddio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi mi consolate... Siate benedette!...».
26«Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.
«Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il Padre mio. Come puoi dunque dire: “Mostraci il Padre”? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere.
Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome. Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene.
Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore. Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non lo vede e non lo conosce.
Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole. Voi lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi.
27Io non vi lascerò orfani. Già ve l’ho detto: “Ritornerò a voi”. Ma, prima che sia l’ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi. Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata. Saranno i miei ritorni fra i figli dell’uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: “Sorgi!”, dirò: “Vieni fuori!”, dirò: “Seguimi”, dirò: “Odi”, dirò: “Scrivi”... e voi siete fra questi».
«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.
«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio Io stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.
28Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.
Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio...
29Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l’umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente. Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.
30È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.
Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.
31Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.
Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.
Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.
32Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L’ho detto all’amico fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l’eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: “posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in Satana».
«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo.
«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».
«Io, allora?».
«Io?».
«Io?».
«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».
«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».
«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».
«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!…».
«No, Simone di Giona. Non tu».
«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici!... Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?… Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…».
«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».
«Chi, allora?».
«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.
«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.
«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».
«A cercarlo» .
«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?».
«No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.
33«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.
Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.
Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.
34Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.
Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.
35Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.
Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.
Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.
Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».
36«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio!».
«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo... Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo».
37Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente.
Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.
38Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di’ al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.
Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.
«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».
Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 17 Marzo 2013, V Domenica di Quaresima - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 8,1-11.
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.
Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,
gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 7 Capitolo 494 pagina 470.
1Vedo l’interno del recinto del Tempio, ossia uno dei tanti cortili contornati da porticati. E vedo anche Gesù, il quale, molto ammantellato nel suo manto che lo fascia sopra la veste, non bianca ma rosso cupo (sembra una stoffa di lana pesante), parla a della folla che lo circonda.
Direi che è una giornata invernale, perché vedo che tutti sono molto ammantellati, e che faccia piuttosto freddo, perché invece di star fermi tutti camminano alla svelta come per scaldarsi. Vi è del vento che smuove i mantelli e solleva la polvere dei cortili.
Il gruppo che si stringe intorno a Gesù, l’unico che stia fermo mentre tutti gli altri, intorno a questo o a quel maestro, vanno avanti e indietro, si fende per lasciar passare un drappello di scribi e farisei gesticolanti e più che mai velenosi. Sprizzano veleno dallo sguardo, dal colore del volto, dalla bocca. Che vipere! Più che condurre, trascinano una donna sui trent’anni, scapigliata, disordinata nelle vesti come chi è stata malmenata, e piangente. La buttano ai piedi di Gesù come fosse un mucchio di cenci o una spoglia morta. E lei resta là, rannicchiata su se stessa, col volto appoggiato alle due braccia, nascosto da esse che le fanno cuscino fra il volto e il suolo.
«Maestro, costei è stata colta in flagrante adulterio. Suo marito l’amava, nulla le faceva mancare. Ella era regina nella sua casa. E lei lo ha tradito perché è una peccatrice, una viziosa, un’ingrata, una profanatrice. Adultera è, e come tale va lapidata. Mosè l’ha detto. Nella sua legge lo comanda che queste tali siano lapidate come bestie immonde. E immonde sono. Perché tradiscono la fede e l’uomo che le ama e le cura, perché come terra mai sazia sempre sono affamate di lussuria. Peggio delle meretrici sono, perché senza morso di bisogno danno se stesse per dare cibo alla loro impudicizia. Corrotte sono. Contaminatrici sono. A morte devono esser condannate. Mosè l’ha detto. E Tu, Maestro, che ne dici?».

2Gesù, che aveva interrotto di parlare all’arrivo tumultuoso dei farisei e che aveva guardato la muta astiosa con sguardo penetrante e poi aveva chinato lo sguardo sulla donna avvilita, gettata ai suoi piedi, tace. Si è curvato, restando seduto, e con un dito scrive sulle pietre del portico, che la polvere sollevata dal vento copre di terriccio. Quelli parlano e Lui scrive.
«Maestro? Parliamo a Te. Ascoltaci. Rispondici. Non hai capito? Questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Nella sua casa. Nel letto dell’uomo suo. Ella lo ha sporcato con la sua libidine».
Gesù scrive.
«Ma è stolto quest’uomo! Non vedete che non capisce nulla e traccia dei segni sulla polvere come un povero folle?».
«Maestro, per il tuo buon nome, parla. La tua sapienza risponda al nostro interrogare. Ti ripetiamo: questa donna non mancava di nulla. Aveva vesti, cibo, amore. E ha tradito».
Gesù scrive.
«Ha mentito all’uomo che aveva fiducia in lei. Con bocca mendace l’ha salutato e col sorriso l’ha accompagnato alla porta, e poi ha aperto la porta segreta e ha ammesso il suo amante. E mentre il suo uomo era assente per lavorare per lei, essa, come una bestia immonda, s’è avvoltolata nella sua lussuria».
«Maestro, è una profanatrice della Legge oltre che del talamo. Una ribelle, una sacrilega, una bestemmiatrice».
Gesù scrive. Scrive e cancella lo scritto col piede calzato dal sandalo e scrive più là, girandosi piano su Se stesso per trovare altro spazio. Sembra un bambino che giuochi. Ma quello che scrive non è parola di giuoco. Ha scritto successivamente: «Usuraio», «Falso», «Figlio irriverente», «Fornicatore», «Assassino», «Profanatore della Legge», «Ladro», «Libidinoso», «Usurpatore», «Marito e padre indegno», «Bestemmiatore», «Ribelle a Dio», «Adultero». Scritto e riscritto mentre sempre nuovi accusatori parlano.
«Ma insomma, Maestro! Il tuo giudizio. La donna va giudicata. Non può col suo peso contaminare la terra. Il suo fiato è veleno che turba i cuori» .

3Gesù si alza. Misericordia! Che viso! È un balenare di lampi che si avventano sugli accusatori. Sembra ancor più alto, tanto tiene la testa eretta. Sembra un re sul suo trono, tanto è severo e solenne. Il manto gli è caduto da una spalla e fa un lieve strascico dietro a Lui. Ma Egli non se ne cura. Con volto chiuso e senza la più lontana traccia di sorriso sulla bocca e negli occhi, pianta questi occhi in volto alla folla, che arretra come davanti a due lame ben pontute. Fissa uno per uno. Con una intensità di indagine che fa paura. I fissati cercano di arretrare nella folla e di nascondersi in essa. Il cerchio così si allarga e sgretola come minato da una forza occulta.
Infine parla. «Chi di voi è senza peccato scagli sulla donna la prima pietra». E la voce è un tuono accompagnato da un ancor più vivo lampeggiare di sguardi. Gesù ha conserto le braccia sul petto e sta così, ritto come un giudice, in attesa. Il suo sguardo non dà pace. Fruga, penetra, accusa.
Prima uno, poi due, poi cinque, poi a gruppi, i presenti si allontanano a capo basso. Non solo gli scribi e i farisei, ma anche quelli che erano prima intorno a Gesù ed altri che si erano accostati per sentire il giudizio e la condanna e che, tanto quelli che questi, si erano uniti per insolentire la colpevole e chiedere la lapidazione.
Gesù resta solo con Pietro e Giovanni. Non vedo gli altri apostoli.
Gesù si è rimesso a scrivere, mentre la fuga degli accusatori avviene, e ora scrive: «Farisei», «Vipere», «Sepolcri di marciume», «Menzogneri», «Traditori», «Nemici di Dio», «Insultatori del suo Verbo»...

4Quando tutto il cortile si è svuotato e un gran silenzio si è fatto, non rimanendo che il fruscio del vento e quello di una fontanella in un angolo, Gesù alza il capo e guarda. Ora il volto si è placato. È mesto, ma non più irato. Dà un’occhiata a Pietro, che si è lievemente allontanato appoggiandosi ad una colonna, ed una a Giovanni che, quasi dietro a Gesù, lo guarda col suo sguardo innamorato. Gesù ha un’ombra di sorriso guardando Pietro e un più vivo sorriso guardando Giovanni. Due sorrisi diversi.
Poi guarda la donna, ancora prostrata e piangente ai suoi piedi. L’osserva. Si alza, si riaggiusta il manto come fosse in procinto di mettersi in cammino. Fa un cenno ai due apostoli di avviarsi verso l’uscita.
Quando resta solo, chiama la donna. «Donna, ascoltami. Guardami». Ripete il comando, perché essa non osa alzare il viso. «Donna, siamo soli. Guardami».
La disgraziata alza un viso su cui pianto e polvere fanno una maschera di avvilimento.
«Dove sono, o donna, quelli che ti accusavano?». Gesù parla piano. Con serietà pietosa. Tiene il volto e il corpo lievemente piegati verso terra, verso quella miseria, e gli occhi sono pieni di una espressione indulgente e risanatrice. «Nessuno ti ha condannata?».
La donna, fra un singulto e l’altro, risponde: «Nessuno, Maestro».
«E neppure Io ti condannerò. Va’. E non peccare più. Va’ alla tua casa. E sappi farti perdonare. Da Dio e dall’offeso. Non abusare della benignità del Signore. Va’».
E la aiuta a rialzarsi prendendola per una mano. Ma non la benedice e non le dà la pace. La guarda avviarsi, a capo chino e lievemente barcollante sotto la sua vergogna, e poi, quando è scomparsa, si avvia a sua volta coi due discepoli.

5Dice Gesù:
«Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa le mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta. La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici - perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore - erano scevri di colpa.
Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare. Ricordati,
Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri: “Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”. Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida.
Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice. A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole. Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio.

6Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”. E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità. Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli. Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.
L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse. Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fornite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.
Siete esseri dotati di ragione e guidati da una legge divina e da una legge morale. Avvilirsi perciò ad una condotta da selvaggi o da bruti dovrebbe fare orrore alla vostra grande superbia. Ma la superbia, che in questo caso sarebbe anche utile, voi l’avete per ben altre cose.

7Ho guardato Pietro e Giovanni in diversa maniera, perché al primo, uomo, ho voluto dire: “Pietro, non mancare tu pure di carità e di sincerità”, e dirgli pure, come a futuro mio Pontefice: “Ricorda quest’ora e giudica come il tuo Maestro, in avvenire”; mentre al secondo, giovane dall’anima di bambino, ho voluto dire: “Tu puoi giudicare e non giudichi perché hai il mio stesso cuore. Grazie, amato, d’esser tanto mio da essere un secondo Me”.
Ho allontanato i due prima di chiamare la donna per non aumentare la sua mortificazione con la presenza di due testimoni. Imparate, o uomini senza pietà. Per quanto uno sia colpevole, va sempre trattato con rispetto e carità. Non gioire del suo annichilimento, non accanircisi contro neppure con sguardi curiosi. Pietà, pietà per chi cade!
Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa. Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto: “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte.
Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati. Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra. In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.
Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani.
Va’ in pace tu, Maria di Maria, e non voler più peccare neppure nelle inezie. Sotto il manto di Maria non stanno che cose pure. Ricordalo.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/