"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 30 marzo 2014, IV Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 9,1-41.
Passando vide un uomo cieco dalla nascita
e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».
Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.
Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?».
Alcuni dicevano: «E' lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?».
Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista».
Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so».
Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco:
era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.
Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo».
Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro.
Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E' un profeta!».
Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.
E li interrogarono: «E' questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?».
I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco;
come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso».
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.
Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore».
Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo».
Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?».
Rispose loro: «Ve l'ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?».
Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.
Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.
Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?».
Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui».
Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi.
Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi».
Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 8 Capitolo 510 pagina 81.
1Gesù esce insieme ai suoi apostoli e a Giuseppe di Sefori, diretto alla sinagoga. La giornata, limpida e serena, rallegra come una promessa di primavera dopo giorni di vento e di nuvole tutte invernali. Molti di Gerusalemme sono quindi per le vie, chi diretto alle sinagoghe, chi di ritorno da esse o da altri luoghi, chi con la famiglia, intenzionato ad uscire dalla città per godersi il sole nelle campagne. Dalla porta di Erode, visibile dalla casa di Giuseppe di Sefori, si vede uscire la gente per degli allegri svaghi oltre le mura, all’aperto. Un tuffo nel verde, nell’ampio, nel libero, fuori delle vie anguste fra le alte case. Credo che la cintura agreste che era intorno a Gerusalemme fosse voluta spontaneamente dai cittadini, che volevano conciliare la misura del sabato col loro desiderio di aria e sole, presi per le vie e non soltanto sulle altane delle case.
Ma Gesù non va verso la porta di Erode. Anzi volge le spalle alla stessa, dirigendosi verso l’interno della città. Ma non ha fatto che pochi passi nella via più larga, nella quale sbocca la stradetta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, che Giuda di Keriot gli richiama l’attenzione su un giovane, che procede verso di loro toccheggiando il muro con un bastone, alzando il volto privo di occhi verso l’alto, nell’andatura caratteristica dei ciechi. Le vesti sono povere, sebbene pulite, e deve essere persona nota a molti di Gerusalemme, perché più di uno lo addita e alcuni vanno a lui dicendo: «Uomo, oggi hai sbaglialo la strada. Le vie del Moria sono tutte superate. Già sei in Bezeta».
«Non chiedo elemosina di denaro, oggi», risponde con un sorriso il cieco e procede sempre con quel sorriso verso il nord della città.
2«Maestro, osservalo. Ha le palpebre saldate. Anzi direi che non ha palpebre. La fronte si unisce alle guance senza incavo alcuno, e sembra che sotto non siano le palle degli occhi. È nato così l’infelice. E così morrà, senza aver visto una volta la luce del sole, né il volto dell’uomo. Ora dimmi, Maestro. Per essere così punito, certo ha peccato. Ma se è cieco nato, come certamente è, come può aver peccato prima di nascere? Avranno forse peccato i suoi parenti e Dio li ha puniti facendolo nascere in tal modo?».
Anche gli altri apostoli e Isacco e Marziam si stringono a Gesù per ascoltare la sua risposta. E affrettando il passo, come attirati dall’altezza di Gesù che domina la folla, accorrono due gerosolimitani di civile condizione, che erano un poco indietro del cieco. E fra questi è Giuseppe d’Arimatea, che non si avvicina ma, addossandosi ad un portone alto su due gradini, gira lo sguardo su tutti i volti osservando tutto.
Gesù risponde, e si sentono nitidamente le parole nel silenzio che si è fatto: «Non ha peccato né lui né i suoi parenti più di quanto pecchi ogni uomo e forse anche meno. Perché povertà è sovente freno al peccare. Ma egli è nato così perché ancora una volta siano manifeste in lui le potenze e le opere di Dio. Io sono la Luce venuta nel mondo perché quelli del mondo, che hanno dimenticato Iddio o smarrito la sua effigie spirituale, vedano e ricordino, e perché quelli che cercano Dio, o di Lui già sono, siano confermati nella fede e nell’amore. Il Padre mi ha mandato perché nel giorno che ancora è concesso ad Israele Io completi la conoscenza di Dio in Israele e nel mondo. Ecco dunque che Io debbo compiere le opere di Colui che mi ha mandato, e testimoniare che Io posso ciò che Egli può, perché sono Uno con Lui. E il mondo sappia e veda che il Figlio non è dissimile dal Padre, e creda in Me per ciò che Io sono. Dopo verrà la notte nella quale non si può lavorare, la tenebra, e chi non si sarà scolpito il mio segno e la fede in Me non potrà più farlo nelle tenebre e nella confusione, dolore, desolazione e rovina che copriranno questi luoghi e sbalordiranno gli spiriti con gli orgasmi degli affanni. Ma finché Io sono nel mondo, Io sono Luce e Testimonianza, Parola, Via e Vita, Sapienza, Potenza e Misericordia. 3Va’, dunque, e raggiungi il cieco nato e portamelo qui».
«Va’ tu, Andrea. Io voglio restare qui e vedere ciò che fa il Maestro», risponde Giuda indicando Gesù, che si è chinato verso la via polverosa, ha sputato in un mucchietto di terriccio e col dito sta stemperando la polvere nella saliva formando una pallina di fango e che, mentre Andrea, sempre condiscendente, va a prendere il cieco che sta per svoltare nella vietta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, se la spalma sui due indici restando così, con le mani come le tengono i sacerdoti nella S. Messa, al Vangelo o all’Epistola. Però Giuda si ritira dal suo posto dicendo a Matteo e Pietro: «Venite qui, voi che avete poca statura, e vedrete meglio». E si mette dietro a tutti, quasi celato dai figli d’Alfeo a da Barlolomeo, che sono alti.
Andrea torna tenendo per mano il cieco, che si affanna a dire: «Non voglio denaro. Lasciami andare. So dove è quello chiamato Gesù. E vado per chiedere...».
«Questo è Gesù, questo che ti è davanti», dice Andrea fermandosi davanti al Maestro.
Gesù, contrariamente al solito, non chiede nulla all’uomo. Subito gli stende il poco fango, che ha sugli indici, sulle palpebre chiuse e gli ordina: «Ed ora va’, il più sollecito che puoi, alla cisterna di Siloe, senza fermarti a parlare con nessuno».
Il cieco, col volto impiastriccialo di fango, resta un attimo perplesso e apre le labbra per parlare. Poi le chiude e ubbidisce. I primi passi sono lenti, come di chi è pensieroso oppure deluso. Poi affretta il passo, rasentando col bastoncello il muro, sempre più lesto, lesto quanto lo può un cieco, forse più, come se si sentisse guidato...
I due gerosolimitani ridono sarcastici scrollando il capo e se ne vanno. Giuseppe d’Arimatea, e mi stupisce il fatto, li segue senza neppure salutare il Maestro, tornando sui suoi passi, ossia verso il Tempio, mentre da quella stessa direzione veniva. Così tanto il cieco, come i due, come Giuseppe d’Arimatea, vanno verso il sud della città, mentre Gesù piega verso occidente e lo perdo di vista, perché il volere del Signore mi fa seguire il cieco e quelli che lo seguono.
4Superata Bezeta, entrano tutti nella valle che è fra il Moria e Sion ‑ mi sembra di averla sentita altre volte chiamare Tiropeo ‑ la percorrono tutta fino ad Ofel, lo costeggiano, escono sulla via che va alla fonte di Siloe, sempre stando con quest’ordine: per primo il cieco, che deve essere conosciuto in quella parte popolana, poi i due, ultimo, a qualche distanza, Giuseppe d’Arimatea.
Giuseppe si ferma presso una casetta meschina, seminascosto da una siepe di bosso, che sporge contornando l’orticello della povera casa. Ma i due vanno proprio vicino alla fonte e osservano il cieco, che si accosta cauto al vasto bacino e, tastando il muro umido, spenzola dentro alla cisterna una mano e la trae gocciante d’acqua e se ne lava gli occhi, una, due, tre volte. Alla terza preme sul viso anche l’altra mano, lasciando cadere il bastone e gettando un grido come di dolore.
Poi scosta lentamente le mani e il suo primo grido di pena si muta in un urlo di gioia: «Oh! Altissimo! Io vedo!», e si getta a terra come vinto dall’emozione, le mani messe a parare gli occhi, strette alle tempie, per ansia di vedere, per sofferenza di luce, e ripete: «Vedo! Vedo! Questa è dunque la terra! Questa la luce! Questa l’erba che conoscevo solo per la sua frescura...». Si alza e stando curvo, come uno che porta un peso, il suo peso di gioia, va al ruscello che porta via il soprappiù dell’acqua e lo guarda scorrere scintillante e ridarello, a mormora: «E questa è l’acqua... Ecco! Così la sentivo fra le dita (vi immerge la mano) fredda e che non si tiene, ma non ti conoscevo... Ah! Bella! Bella! Come è tutto bello!». Alza il viso e vede un albero... ci va vicino, lo tocca, stende una mano, attira a sé un rametto, lo guarda e ride, ride, e fa solecchio, e guarda il cielo, il sole, e due lacrime scendono dalle vergini palpebre aperte a contemplare il mondo... E abbassa gli occhi sull’erba dove un fiore ondula sullo stelo, e vede se stesso riflesso nell’acqua del ruscello, e si guarda e dice: «Così io sono!», e osserva stupito una tortora venuta a bere poco più là, e una capretta che strappa le ultime foglie di un rosaio selvatico, e una donna che viene verso la fonte con un figliolino sul seno. E quella donna gli ricorda sua madre, la sua madre dallo sconosciuto volto, e alzando le braccia al cielo grida: «Te benedetto, Altissimo, per la luce, per la madre, e per Gesù!», e corre via lasciando a terra il suo ormai inutile bastone...
I due non hanno atteso di vedere tutto questo. Appena visto che l’uomo ci vedeva, sono corsi via verso la città. Giuseppe invece resta fino alla fine e, quando il cieco non più cieco gli sfreccia davanti entrando nel dedalo di viuzze del popolano borgo di Ofel, lascia a sua volta il suo posto e torna sui suoi passi, verso la città, molto pensieroso...
5Il borgo di Ofel, sempre rumoroso, è ora addirittura in subbuglio. Chi corre a destra, chi a sinistra. Domande, risposte.
«Ma vi sarete sbagliati con un altro...».
«No, ti dico. Gli ho parlato dicendo: “Ma sei proprio tu, Sidonia detto Barlolmai?”, e lui mi ha detto: “Lo sono”. Volevo chiedergli come fu, ma è corso via».
«Dove è ora?».
«Dalla madre, certamente».
«Chi? Chi l’ha visto?», chiedono nuovi accorrenti.
«Io, io», dicono in diversi rispondendo.
«Ma come avvenne?».
«...L’ho visto correre senza bastone con due occhi nel volto e ho detto: “Guarda! Così sarebbe Barlolmai se...”».
«Ti dico che tremo tutta. Entrando ha gridato: “Madre, io ti vedo!”».
«Una grande gioia per i parenti. Ora potrà aiutare il padre e guadagnare il suo cibo...».
«Quella povera donna! Si è sentita male dalla gioia. Oh! una cosa! una cosa! Io ero andata a farmi dare un po’ di sale e...».
«Corriamo a sentire da lui...».
Giuseppe d’Arimatea si trova preso in mezzo a questo baccano e, non so se per curiosità o se per spirito di imitazione, segue la corrente a va a finire in un vicoletto cieco, che se proseguisse andrebbe al Cedron, dove la folla si accalca soverchiando col suo parlare il fruscio delle acque del torrente, ingrossato dalle piogge di autunno. E Giuseppe vi arriva quando, da un altro vicolo che sbocca in questo, vengono i due di prima con altri tre: uno scriba, un sacerdote e un altro che non identifico alla veste. Essi si fanno largo con prepotenza e cercano entrare nella casa stipata di gente.
La casa è fatta di una vasta cucina nera come il catrame, con un angolo taglialo fuori da un rustico assito, oltre il quale è un giaciglio e una porta che dà in un’altra stanza con un letto più grande. Una porta, aperta nella parete opposta, mostra un orticello di pochi metri quadri. Ed è tutto.
6Il cieco guarito parla addossato al tavolo, rispondendo a chi lo interroga, tutta gente povera come lui, popolo minuto di Gerusalemme, di questo borgo, che è forse il più povero di tutti. Sua madre, ritta vicino a lui, lo guarda a piange asciugandosi gli occhi nel suo velo. Il padre, un uomo sciupato dal lavoro, si stropiccia la barba con la mano scossa da un tremilo. Entrare nella casa è impossibile anche alla prepotenza giudea e dottorale, e i cinque devono ascoltare da fuori le parole del guarito.
«Come mi si sono aperti? Quell’uomo che si chiama Gesù mi ha sporcato gli occhi con della terra bagnata e mi ha detto: “Va’ a lavarti alla fonte di Siloe”. Ci sono andato, mi sono lavalo e si sono aperti gli occhi e ho visto».
«Ma come hai fatto a trovare il Rabbi? Dicevi sempre che eri disgraziato perché mai lo incontravi, neppure quando passava sempre di qui per andare da Giona al Getsemani. E oggi, adesso che non si sa mai dove sia...».
«Eh! Ieri sera è venuto un suo discepolo e mi ha dato due monete dicendo: “Perché non cerchi di vedere?”. Gli ho detto: “Ho cercato. Ma non trovo mai quel Gesù che fa i miracoli. Lo cerco da quando ha guarito Annalia, del mio stesso borgo, ma se vado qua Egli è là...”, a lui mi ha detto: “Io sono un suo apostolo e ciò che io voglio Egli fa. Vieni domani in Bezeta e cerca la casa di Giuseppe il galileo, quello del pesce secco, Giuseppe di Sefori, presso la porta di Erode e l’arco della piazza, dalla parte d’oriente, e vedrai che prima o poi Egli passa di là o entra nella casa ed io ti accennerò al Maestro”. Ho detto: “Ma domani è sabato”. Volevo dire che Egli non farebbe nulla in sabato. Mi ha detto: “Se vuoi guarire è il giorno, perché dopo si lascia la città, né sai se lo potrai più incontrare”. Io ho detto ancora: “So che lo perseguitano. Ho sentito dalle porte della cinta del Tempio, dove vado a mendicare. E perciò dico che ora che lo perseguitano così, meno ancora vorrà essere perseguitato e non mi guarirà in sabato”. E lui: “Fa’ ciò che ti dico e in sabato tu vedrai il sole”. E io sono andato. Chi non sarebbe andato? Se lo dice un suo apostolo! Mi ha detto anche: “Io sono quello che Egli più ascolta, e vengo apposta perché mi fai pietà e perché voglio che splenda il suo potere dopo che lo hanno vilipeso. Tu, cieco nato, lo farai risplendere. So ciò che dico. Vieni e vedrai”. E io sono andato, e non ero ancora arrivato alla casa di Giuseppe che un uomo mi ha preso per mano, ma alla voce non era quello di ieri, e mi ha detto: “Vieni con me, fratello”, e io non volevo andare, credevo mi volesse dare pane e denaro, vesti forse, e gli dicevo di lasciarmi andare perché avevo saputo dove trovare quello chiamato Gesù, e l’uomo mi ha detto: “Questo è Gesù, questo che ti è davanti”. Ma io non ho visto nulla, per ché ero cieco. Ho sentito due dita coperte di terra bagnata toccarmi qui e qui, e una voce dire: “Va’ sollecito a Siloe e lavati e non parlare con alcuno”, e l’ho fatto. Ma ero sconfortato perché speravo vederci subito, e quasi ho creduto che fosse uno scherzo di giovani senza cuore, e non volevo quasi andare. Ma ho sentito dentro una specie di voce dire: “Spera e ubbidisci”, e allora sono andato alla fonte e mi sono lavalo e ho visto». E il giovane si ferma estatico a ripensare alla gioia del primo vedere...
7«Fate uscire l’uomo. Lo vogliamo interrogare», gridano i cinque.
Il giovane si fa largo ed esce sulla soglia.
«Dove è Colui che ti ha guarito?».
«Io non lo so», dice il giovane, al quale un amico ha sussurrato: «Sono scribi e sacerdoti».
«Come non lo sai? Dicevi ora che lo sapevi. Non mentire ai dottori della Legge e al sacerdote! Guai a chi cerca ingannare i magistrati del popolo!». .
«Non inganno nessuno. Quel discepolo mi ha detto: “È in quella casa” ed era vero, perché c’ero vicino quando sono stato preso e condotto da Lui. Ma dove ora sia non so. Il discepolo mi ha detto che vanno via. Potrebbe già essere uscito dalle porte».
«Ma dove andava?».
«E che ne so io?! Andrà in Galilea... Per come viene trattato qui!...».
«Stolto e irrispettoso! Bada a come parli, feccia del popolo! Ti ho detto: per che via si dirigeva?».
«Ma come volete che lo sappia se ero cieco? Può un cieco dire dove va un altro?».
«Sta bene. Seguici».
«Dove volete portarmi?».
«Dai capi dei farisei».
«Perché? Che c’entrano essi con me? Mi hanno forse guarito, essi, che io li debba ringraziare? Quando ero cieco e mendicavo, le mie mani non sentivano mai le loro monete, il mio udito mai la loro parola di pietà, e il mio cuore mai il loro amore. Che devo dire loro? Non ho che uno al quale dire “grazie”, dopo mio padre e mia madre che per tanti anni mi hanno amato infelice. Ed è questo Gesù che mi ha guarito amandomi col suo cuore, come i miei parenti col loro. Io non vengo dai farisei. Sto con mia madre e mio padre, a godere di vedere il loro volto ed essi i miei occhi nati ora, dopo tante primavere da quella in cui nacqui ma non vidi la luce».
«Non tante parole. Vieni a seguici».
«Che no! Non vengo! Avete voi forse mai asciugato una lacrima o un sudore a mia madre avvilita della mia sventura, a mio padre sfinito dal lavoro? Ora io lo posso fare col mio aspetto, e dovrei lasciarli e seguirvi?».
«Te lo ordiniamo. Non sei tu che ordini, ma il Tempio e i capi del popolo. Se la superbia di esser guarito ti rende ottusa la mente a ricordare che noi comandiamo, noi te lo ricordiamo. Avanti! Cammina! ».
«Ma perché io devo venire? Che volete da me?».
«Che tu deponga della cosa. È sabato. Opera compiuta nel sabato. Va registrata per il peccato. Peccato tuo e di quel satana».
«Satana voi! Peccato voi! E io dovrei venire a deporre contro chi mi ha beneficalo? Voi siete ebbri! Al Tempio verrò. A benedire il Signore. E non più di così. Nell’ombra della cecità sono stato per tanti anni. Ma le palpebre chiuse non hanno fatto tenebra che agli occhi. L’intelletto è stato in luce lo stesso, in grazia di Dio, e mi dice che non devo danneggiare l’unico Santo che è in Israele».
«Uomo, basta! Non sai che vi sono castighi per chi si oppone ai magistrati?».
«So niente io. Qui sono e qui sto. E non vi conviene nuocermi. Vedete che tutto l’Ofel è dalla mia parte».
«Sì! Sì! Lasciatelo! Sciacalli! È protetto da Dio. Non lo toccate! Dio è coi poveri! Dio è con noi, affamatori a ipocriti!». La gente urla e minaccia con una di quelle spontanee manifestazioni popolari che sono le esplosioni di sdegno degli umili verso chi li preme, o di amore per chi li protegge. E grida: «Guai a voi se colpite il nostro Salvatore! L’Amico dei poveri! Il Messia tre volte santo. Guai a voi! Non si è temuto le ire di Erode, non quelle dei Presidi, quando si è voluto. Non temiamo le vostre, vecchie iene dalle mascelle sdentate! Sciacalli dalle unghie mozzate! Inutili prepotenti! Roma non vuole i tumulti e non opprime il Rabbi perché Egli è pace. Ma voi vi conosce. Andate via! Via dai quartieri di quelli che opprimete con decime più forti delle loro forze, ad aver denaro per saziare le
vostre fami e a compiere i turpi mercati. Discendenti di Giasone! Di Simone! Torturalori dei veri Eleazari, dei santi Onia. Conculcalori dei profeti! Via! Via!». Il tumulto si accende sempre più fiero.
8Giuseppe d’Arimatea, schiaccialo contro un muretto, sino allora spettatore attento ma inattivo dei fatti, con un’agilità insospettabile in un vecchio, e per di più così infagottato in vesti e mantelli, salta in piedi sul muricciolo a urla: «Silenzio, cittadini. E ascoltate Giuseppe l’Anziano!».
Una, due, dieci teste si volgono in direzione del grido. Vedono Giuseppe. Gridano il suo nome. Deve essere molto noto il d’Arimatea e deve godere il favore del popolo, perché le urla di sdegno si mutano in urla di gioia: «C’è Giuseppe l’Anziano! Viva lui! Pace e lunga vita al giusto! Pace e benedizione al benefattore dei miseri! Silenzio, ché parla Giuseppe! Silenzio!».
Il silenzio si fa a fatica, e si ode per qualche minuto il frusciare del Cedron oltre il vicolo. Tutte le teste sono rivolte a Giuseppe, avendo tutti dimenticato l’oggetlo che prima li faceva volgere in opposta direzione: i cinque disgraziati e improvvidi che hanno suscitalo il tumulto.
«Cittadini di Gerusalemme, uomini di Ofel, perché volete lasciarvi accecare dal sospetto e dall’ira? Perché mancare al rispetto e alle consuetudini, voi sempre così fedeli alle leggi dei padri? Di che temete? Forse che il Tempio sia un Moloch che non rende ciò che accoglie? Forse che i giudici vostri siano tutti ciechi, più del vostro amico, ciechi nel cuore e sordi nella giustizia? Non è forse usanza che un fatto prodigioso sia deposto, scritto e conservato da chi di dovere per le cronache di Israele? Lasciate dunque che, anche per onore del Rabbi che amate, il miracolato salga a deporre l’opera da Esso compiuta. Ancora titubate? Ebbene, io mi fo mallevadore che nulla av­verrà di male a Barlolmai. E voi sapete che io non mento. Co­me un figlio a me caro lo scorterò lassù, a ve lo ricondurrò qui poi. A me credete. E del sabato non fate un giorno di peccato con la ribellione ai vostri capi».
«Dice giusto! Non si deve. Possiamo credergli. Egli è un giusto. Nelle buone deliberazioni del Sinedrio è sempre la sua voce». La gente si scambia le sue idee e finisce per gridare: «A te sì. Il nostro amico a te lo affidiamo!». E rivolta al giovane: «Vieni! Non temere. Con Giuseppe d’Arimatea sei sicuro come e più che con tuo padre», e fa largo perché il giovane possa an­dare da Giuseppe, che è sceso dal suo pulpito improvvisalo, e mentre passa gli dicono: «Veniamo anche noi. Non temere!».
Giuseppe, nelle sue ricche vesti di splendida lana, pone una mano sulla spalla del giovane e si mette in cammino. La tunica bigia e consunta del giovane, il suo piccolo mantello, strusciano contro l’ampia veste rosso cupa e il pomposo manto ancor più scuro del vecchio sinedrista. Dietro, i cinque e, dopo questi, molti e molti di Ofel...
9Eccoli al Tempio, dopo aver traversato le vie centrali attirando l’attenzione di molti, che si additano il già cieco dicendo: «Ma è colui che mendicava cieco! E ora ha gli occhi! Ma forse è uno che gli somiglia! No. È lui certo e lo conducono al Tempio. Andiamo a sentire», e il codazzo aumenta sempre più, sinché le mura del Tempio li inghiottono tutti.
Giuseppe guida il giovane in una sala, non è il Sinedrio, dove sono molti farisei e scribi. Giuseppe entra e con lui entra Barlolmai e i cinque. I popolani di Ofel vengono respinti nel cortile.
«Ecco l’uomo. Io stesso ve l’ho condotto, avendo, non visto, assistito al suo incontro col Rabbi e alla sua guarigione. E vi posso dire che fu del tutto casuale da parte del Rabbi. L’uomo, lo sentirete anche voi, fu condotto, o meglio, invitato ad andare dove era il Rabbi, da Giuda di Keriot, che voi conoscete. E io ho sentito, e anche questi due con me hanno sentito, perché erano presenti, come fu Giuda a tentare Gesù di Nazaret al miracolo. Or io qui depongo che, se uno vi è da punire, non è il cieco, né il Rabbi, ma l’uomo di Keriot, che ‑ Dio mi vede se mento nel dire ciò che il mio intelletto pensa ‑ è il solo autore del fatto come colui che lo ha con apposita manovra provocato. Ho detto».
«Il tuo dire non annulla la colpa del Rabbi. Se un suo discepolo pecca non deve peccare il Maestro. Ed Egli ha peccato guarendo in sabato. Ha compiulo opera servile».
«Sputare in terra non è fare opera servile. E toccare gli occhi di un altro non è fare opera servile. Io pure tocco l’uomo e non credo di peccare».
«Egli ha fatto miracolo in sabato. In questo sta il peccato».
«Onorare il sabato con un miracolo è grazia di Dio e sua bontà. È il suo giorno. E non potrà l’Onnipotente celebrarlo con un miracolo che faccia splendere la sua potenza?».
«Non siamo qui per ascoltare te. Tu non sei imputato. È l’uomo che vogliamo interrogare. 10Rispondi, tu. Come hai ottenuto la vista?».
«L’ho detto. E questi mi hanno sentito. Il discepolo di quel Gesù mi ha detto ieri: “Vieni e io ti farò guarire”. E sono venuto. E mi sono sentito mettere del fango qui e una voce dirmi di andare a Siloe a lavarmi. E l’ho fatto e ci vedo».
«Ma sai lo chi ti ha guarito?».
«Certo che lo so! Gesù. Ve l’ho detto».
«Ma sai di preciso chi è Gesù?».
«Non so niente io. Sono un povero e un ignorante. E fino a poco fa ero cieco. Questo so. E so che Lui mi ha guarito. E se lo ha potuto fare, certo Dio è con Lui».
«Non bestemmiare! Non può Dio essere con chi non osserva il sabato», urlano alcuni.
Ma Giuseppe e i farisei Eleazaro, Giovanni e Gioacchino osservano: «Neppure però può un peccatore fare tali prodigi».
«Siete sedotti voi pure, forse, da quel posseduto?».
«No. Siamo giusti. E diciamo che, se Dio non può essere con chi opera in sabato, neppure può l’uomo senza Dio fare che un cieco nato veda», dice calmo Eleazaro. E gli altri annuiscono.
«E il demonio dove lo mettete?», urlano bisbetici i malevoli.
«Non posso credere, e neppur voi lo credete, che il demonio possa far opera capace di far lodare il Signore», dice il fariseo Giovanni.
«E chi lo loda?».
«Il giovane, i suoi parenti, tutto Ofel, ed io con loro, e con me tutti quelli che giusti sono e santamente timorati di Dio», ribatte Giuseppe.
I malevoli, scornati, non sapendo cosa obbiettare, investono Sidonia detto Barlolmai: «Tu che cosa dici di colui che ti ha aperto gli occhi?».
«Per me è un profeta. E più grande di Elia col figlio della vedova di Sarepta. Perché Elia fece tornare l’anima nel fanciullo. Ma questo Gesù mi ha dato ciò che non avevo mai perso perché non l’avevo mai avuto: la vista. E se mi ha fatto gli occhi così in un baleno e con nulla, salvo un po’ di fango, mentre in nove mesi mia madre con carne e sangue non era riuscita a farmeli, deve essere grande come Dio, che col fango ha fatto l’uomo
«Va’ via! Va’ via! Bestemmiatore! Bugiardo! Merce d’acquisto!», e cacciano fuori l’uomo come fosse un dannato.
11«L’uomo mente. Non può esser vero. Tutti lo possono dire che chi è nato cieco non può guarire. Sarà uno che gli somiglia a Barlolmai e che il Nazareno ha preparato... oppure... Barlolmai non è mai stato cieco».
Davanti a questa sorprendente affermazione Giuseppe d’Arimatea scatta: «Che l’odio acciechi si sa dal tempo di Caino. Ma che faccia stolti non si sapeva ancora. Vi pare che uno giunga alla maturità della gioventù fingendosi cieco per... attendere un presumibile evento strepiloso e molto futuro? O che i parenti di Barlolmai non conoscano il figlio o si prestino a questa menzogna?».
«Il denaro può tutto. Ed essi sono poveri».
«Il Nazareno lo è più di loro».
«Tu menti! Somme da satrapo gli passano fra le mani».
«Ma non vi si fermano un istante. Sono dei poveri quelle somme. Usate per il bene, non per la menzogna».
«Come lo difendi! E sei uno degli Anziani!».
«Giuseppe ha ragione. La verità va detta quale che sia la carica che l’uomo ricopre», dice Eleazaro.
12«Correte a richiamare il cieco. E portatelo di nuovo qui. E altri vadano dai parenti e li portino qui», urla Elchia spalancando la porta e ordinando ad alcuni in attesa lì fuori. E la sua bocca è quasi coperta di bava tanto l’ira lo strozza.
Chi corre di qua, chi di là. Il primo che torna è Sidonia detto Barlolmai, stupito e seccato. Lo ficcano in un angolo guardandolo come una muta di cani guata una selvaggina... Poi, dopo un bel po’, ecco venire i genitori di lui, circondati da folla.
«Venite dentro voi. E gli altri fuori!».
I due entrano spaventati e vedono il figlio là in fondo, sano, ma in stato di arresto. La madre geme: «Figlio mio! E doveva esser giorno di festa per noi!».
«Ascoltate noi. È vostro figlio quell’uomo?», interroga rudemente un fariseo.
«Sì che è nostro figlio! E chi volete che sia se non lui?».
«Ne siete proprio sicuri?».
Il padre e la madre sono tanto sbalorditi della domanda che prima di rispondere si guardano.
«Rispondete!» .
«Nobile fariseo, e puoi pensare che un padre e una madre si possano ingannare sulla loro creatura?», dice umilmente il padre.
«Ma... potete giurare che... sì, che per nessuna somma vi fu chiesto di dire che questo è vostro figlio mentre è uno che gli somiglia?».
«Chiesto di dire? E da chi mai? Giurare? Ma mille volte, e per l’altare e il Nome di Dio, se vuoi!». È così sicura l’affermazione che smonterebbe anche il più ostinato.
Ma i farisei non si smontano! Chiedono: «Ma vostro figlio non era nato cieco?».
«Sì. Così era nato. A palpebre chiuse e, sotto, il vuoto, il nulla...».
«E come mai ora ci vede, ha gli occhi e le palpebre aperte su essi? Non vorrete già dire che gli occhi possono nascere così, come fiori a primavera, e che una palpebra si schiuda, come giusto fa il calice di un fiore!...», dice un altro fariseo e ride sarcastico.
«Sappiamo che questo uomo è veramente nostro figlio da quasi trent’anni e che è nato cieco, ma come ora ci veda non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Del resto, chiedetene a lui. Non è ebete e non è fanciullo. Ha i suoi buoni anni. Interrogatelo e vi risponderà».
«Voi mentite. Egli, in casa vostra, ha narralo come fu guarito e da chi. Perché dite che non sapete?», urla uno dei due che avevano sempre seguito il cieco.
«Eravamo tanto sbalorditi dalla sorpresa che non abbiamo sentito», si scusano i due.
13I farisei si volgono a Sidonia detto Barlolmai: «Vieni avanti tu. E da’ pur gloria a Dio se ti riesce! Non sai che chi ti ha toccato gli occhi è un peccatore? Non lo sai? Ebbene, sappilo. Noi te lo diciamo, che lo sappiamo».
«Mah! Sarà come voi dite. Io, se sia peccatore, non lo so. So soltanto che prima ero cieco e ora ci vedo, e ben chiaro».
«Ma cosa ti fece? Come ti apri gli occhi?».
«Ve l’ho già detto e voi mi avete ascoltalo. Ora volete sentire di nuovo? Perché? Forse volete farvi discepoli di Lui?».
«Stolto! Sii tu discepolo di quell’uomo. Noi siamo discepoli di Mosè. E di Mosè sappiamo ogni cosa e che Dio gli ha parlato. Ma di quest’uomo nulla sappiamo, né di dove venga né chi sia, e nessun prodigio del Cielo lo indica per profeta».
«Qui appunto sta il meraviglioso! Che voi non sapete di dove Egli sia e dite che nessun prodigio lo indica per giusto. Ma Egli mi ha aperto gli occhi e nessuno di noi d’Israele aveva mai potuto farlo, neppur l’amore di una madre e i sacrifici del padre mio. Una cosa però sappiamo tutti, tanto io che voi, ed è che Dio non esaudisce il peccatore, ma colui che ha timore di Dio e fa la sua volontà. Non si è mai sentito che nessuno in tutto il mondo abbia potuto aprire gli occhi ad un cieco nato, ma questo Gesù lo ha fatto. Se Egli non fosse da Dio, non lo avrebbe potuto fare.
«Sei nato nel peccato interamente, e deforme sei nello spirito come e più che non lo fosti nel corpo, e ti pretendi di insegnare a noi? Va’ via, maledetto aborto, e fatti satana col tuo seduttore. Via! Via tutti, plebe stolta a peccatrice!», e buttano fuori figlio, padre e madre, come fossero tre lebbrosi.
14I tre se ne vanno lesti, seguiti dagli amici. Ma, giunto fuori dalla cinta, Sidonia si volge e dice: «E state! E dite ciò che volete! Il vero è che io ci vedo e ne lodo Iddio. E satana voi sarete, non già il Buono che mi ha guarito».
«Taci, figlio! Taci! Purché ciò non ci faccia del male!...», geme la madre.
«Oh! madre mia! Ti ha avvelenato l’anima l’aria di quella sala, tu che nel mio dolore mi insegnavi a lodar Dio e che ora nella gioia non lo sai ringraziare e temi gli uomini? Se Dio mi ha amato tanto e ti ha amata tanto da darci il miracolo, non saprà difenderci da un pugno d’uomini?».
«Il figlio ha ragione, donna. Andiamo alla sinagoga nostra a lodare il Signore, posto che dal Tempio ci hanno cacciato. E andiamoci lesti, prima che termini il sabato...».
E, affrettando il passo, si sperdono nelle vie della valle.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 23 marzo 2014, III Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 4,5-42.
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio:
qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».
I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi.
Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.
Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?».
Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete;
ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
«Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
Le disse: «Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito";
infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta.
I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.
Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori.
Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa».
Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?».
La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente:
«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».
Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia».
Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete».
E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?».
Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che gia biondeggiano per la mietitura.
E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete.
Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete.
Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».
E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni.
Molti di più credettero per la sua parola
e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 2 Capitolo 143 pagina 425.
"Io mi fermo qui. Andate nella città, comperate quanto occorre per il pasto. Qui mangeremo."
"Tutti andiamo?"
"Sì, Giovanni. E' bene siate in gruppo".
"E Tu? Resti solo... Sono samaritani..."
"Non saranno i peggiori tra i nemici del Cristo. Andate, andate. Io prego mentre vi attendo. Per voi e per questi."
I discepoli se ne vanno a malincuore, e per tre o quattro volte si volgono a guardare Gesù, che si è seduto su un basso muretto soleggiato che è presso il basso e largo bordo di un pozzo. Un grande pozzo, quasi una cisterna tanto è largo. D'estate deve essere ombreggiato da grandi alberi, ora spogli. L'acqua non si vede, ma il terreno, presso il pozzo, mostra chiari segni di acque attinte, con piccole pozze o con cerchi lasciati dalle brocche umide.
Gesù si siede e medita, nella sua solita posa, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani congiunte in avanti, il corpo lievemente piegato e il capo curvo verso terra. Poi sente il bel solicello scardarlo e si fa cadere il mantello dal capo e dalle spalle, tenendolo però ancora raccolto in grembo.
Alza il capo per sorridere a uno stormo di passeri rissosi che si litigano una grossa mollica perduta da qualche persona presso il pozzo. Ma i passeri fuggono per il sopraggiungere di una donna che viene al pozzo con un'anfora vuota tenuta per un manico con la mano sinistra, mentre la destra scosta con un atto di sorpresa il velo per vedere chi è l'uomo là seduto.
Gesù sorride a questa donna sui 35-40 anni, alta, dai tratti fortemente marcati, ma belli. Un tipo che noi diremmo quasi spagnolo per il colorito di un pallore olivastro, le labbra molto accese e piuttosto tumide, gli occhioni fino smisuratamente grandi e neri sotto sopracciglia foltissime, e le trecce corvine che traspaiono dal velo leggero. Anche le forme, tendenti al formoso, hanno un marcato tipo orientale lievemente molle come quello delle donne arabe. E' vestita di una stoffa a righe multicolori, ben stretta alla cintura, tesa sui fianchi e sul petto grassocci, e pendente poi, in una specie di balza ondulante, fino a terra. Molti anelli e bracciali alle mani grassottelle e brunette e ai polsi che appaiono dalle sottomaniche di lino. Al collo una collana pesante da cui pendono delle medaglie, direi degli amuleti perché ce ne sono di tutte le forme. Pesanti orecchini scendono fin verso il collo e brillano sotto il velo.
"La pace sia con te, donna. Mi dai da bere? Ho molto camminato e ho sete:"
"Ma non sei Tu giudeo? E chiedi da bere a me, samaritana? Che è avvenuto dunque? Siamo riabilitati oppure siete disfatti? Certo  un grande avvenimento è avvenuto se un giudeo parla cortese con una samaritana. Dovrei dirti però: 'Non ti do nulla per punire in Te tutte le ingiurie che i giudei da secoli ci dànno."
"Hai detto bene. Un grande avvenimento è avvenuto. E per esso molte cose sono cambiate e più ne cambieranno. Dio ha fatto un grande dono al mondo e per esso molte cose sono cambiate. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: 'Dammi da bere, forse tu stessa gli avresti chiesto da bere, ed Egli ti avrebbe dato acqua viva".
"L'acqua viva è nelle vene della terra. Questo pozzo ce l'ha. Ma è nostro". La donna è beffarda e prepotente.
"L'acqua è di Dio. Come la bontà è di Dio. Come la vita è di Dio. Tutto è di un unico Dio, donna. E tutti gli uomini vengono da Dio, samaritani come giudei. Questo pozzo non è quello di Giacobbe? E Giacobbe non è il capo della stirpe nostra? Se poi un errore ci ha divisi , ciò non cambia l'origine."
"Errore nostro, vero?" chiede aggressiva la donna.
"Non nostro né vostro. Errore di uno che aveva perso di vista carità e giustizia. Io non ti offendo e non offendo la tua razza. Perché vuoi essere tu offensiva?"
"Sei il primo giudeo che odo parlare così. Gli altri... Ma, riguardo al pozzo, sì, è quello di Giacobbe e ha un'acqua così abbondante e chiara che noi di Sicar lo preferiamo alle altre fontane. Ma è molto profondo. Tu non hai anfora né otre. Come potresti dunque attingere per me acqua viva? Sei da più di Giacobbe, il santo patriarca nostro, che ha trovato questa abbondante vena per lui, per i suoi figli e i suoi armenti, e ce l'ha lasciata a suo ricordo e dono?"
"Tu lo hai detto. Ma chi beve di quest'acqua avrà ancora sete. Io invece ho un'acqua che chi l'ha bevuta non sentirà più sete. Ma è solo mia. Ed Io la darò a chi me la chiede. Ed in verità ti dico che chi avrà l'acqua che Io gli darò, diverrà per sempre irrorato e non avrà più sete, perché l'acqua mia diventerà in lui sorgente sicura, eterna."
"Come? Io non capisco. Sei un mago? Come può un uomo divenire un pozzo? Il cammello beve e fa scorta d'acqua nel capace ventre. Ma poi la consuma e non gli dura per tutta la sua vita. E Tu dici che la tua acqua dura per tutta la vita?"
"Più ancora: zampillerà fino alla vita eterna. Sarà in chi la beve zampillante fino alla vita eterna e darà germi di vita eterna. Perché è sorgente di salute."
"Dàmmi di quest'acqua, se è vero che la possiedi. Io mi stanco a venire fin qui. L'avrò e non avrò più sete, e non diverrò mai malata né vecchia".
"Di questo solo ti stanchi? Non di altro? E non senti bisogno che di attingere per bere, per il tuo misero corpo? Pensaci. Vi è qualcosa da più del corpo. Ed è l'anima. Giacobbe non dette solo l'acqua del suolo a sé e ai suoi. Ma si preoccupò di darsi e di dare la santità, l'acqua di Dio."
"Ci dite pagani, voi... Se è vero ciò che voi dite, noi non possiamo essere santi..." La donna ha perduto il tono petulante e ironico ed è sottomessa e lievemente confusa.
"Anche un pagano può essere virtuoso. E Dio, che è giusto, lo premierà per il bene fatto. Non sarà un premio completo, ma, Io te lo dico, fra un fedele in colpa grave e un pagano senza colpa Dio guarda con meno rigore il pagano. E perché, se sapete d'esser tali, non venite al vero Dio? Come ti chiami?"
"Fotinai"
"Ebbene, rispondi a Me, Fotinai. Te ne duoli di non potere aspirare alla santità perché sei pagana, come tu dici, perché sei nelle nebbie di un antico errore, come dico Io?"
"Sì, che me ne dolgo."
"E allora perché non vivi almeno da virtuosa pagana?"
"Signore!..."
"Sì. Puoi negarlo? Va' a chiamare tuo marito e torna qua con lui."
"Non ho marito..." La confusione della donna cresce.
"Hai detto bene. Non hai marito. Hai avuto cinque uomini ed ora hai teco uno che non ti è marito. Era necessario questo? Anche la tua religione non consiglia l'impudicizia. Il Decalogo lo avete voi pure. Perché allora, Fotinai, tu vivi così? Non ti senti stanca di questa fatica di essere carne di tanti e non l'onesta moglie di uno solo? Non ti fa paura la tua sera, quando ti troverai sola coi ricordi? Con i rimpianti? Con le paure? Sì. Anche quelle. Paura di Dio e degli spettri. Dove sono le tue creature?"
La donna abbassa del tutto il capo e non parla.
"Non le hai sulla terra, Ma le loro piccole anime, alle quali tu hai impedito di conoscere il giorno della luce, ti rimproverano. Sempre. Gioielli... belle vesti... casa ricca... nutrita mensa... Sì. Ma vuoto, e lacrime, e miseria interiore. Sei una derelitta, Fotinai. E solo con un pentimento sincero, attraverso il perdono di Dio, e per conseguenza il perdono delle tue creature, puoi tornare ricca."
"Signore vedo che Tu sei profeta. E ne ho vergogna..."
"E del Padre che è nei Cieli non ne avevi vergogna quando facevi il male? Non piangere di avvilimento davanti all'Uomo...Vieni qui, Fotinai. Vicino a Me. Io ti parlerò di Dio. Forse non lo conoscevi bene. E per questo, certo per questo, tu hai tanto errato. Se vessi conosciuto bene il vero Dio non ti saresti avvilita così. Egli ti avrebbe parlato e sorretto..."
"Signore, i nostri padri hanno adorato su questo monte. Voi dite che solo in Gerusalemme si deve adorare. Ma, Tu lo dici, Dio è uno solo. Aiutami a vedere dove e come devo fare..."
"Donna, credi a Me. Fra poco viene l'ora in cui né sul monte di Samaria né in Gerusalemme sarà adorato il Padre. Voi adorate Colui che non conoscete. Noi adoriamo Colui che conosciamo, perché la salute viene dai giudei. Ti ricordo i Profeti. Ma viene l'ora, anzi ha già inizio, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, non più col rito antico ma col nuovo rito in cui non saranno sacrifici e ostie di animali consumati col fuoco. Ma il sacrificio eterno dell'Ostia immacolata arsa dal Fuoco della Carità. Culto spirituale nel Regno spirituale. E sarà compreso da coloro che sapranno adorare in spirito e verità. Iddio è Spirito. Quelli che lo adorano lo devono adorare spiritualmente."
"Tu hai sante parole. Io so, perché anche noi qualcosa sappiamo, che il Messia sta per venire, il Messia, Colui che si chiama anche 'il Cristo'. Quando sarà venuto ci insegnerà ogni cosa. Qui presso c'è anche quello che dicono il suo Precursore. E molti vanno a sentirlo. Ma è tanto severo!... Tu sei buono... e le povere anime non hanno paura di Te. Penso che il Cristo sarà buono. Lo dicono Re della Pace. Starà molto a venire?"
"Ti ho detto che il suo tempo è già presente."
"Come lo sai? Sei forse un suo discepolo? Il Precursore ha molti discepoli. Anche il Cristo li avrà"
"Sono io che ti parlo il Cristo Gesù."
"Tu!...Oh!...". La donna, che si era seduta presso Gesù, si alza e fa per fuggire.
"Perché fuggi, donna?"
"Perché ho orrore di mettere me presso a Te. Sei santo..."
"Sono il Salvatore. Sono venuto qui - non era necessario - perché lo sapevo che la tua anima era stanca di essere errante. Ti sei nauseata del tuo cibo... Sono venuto a darti un nuovo cibo e che ti leverà nausea e stanchezza... Ecco i miei discepoli che tornano col mio pane. Ma già Io sono nutrito dall'avere dato a te le briciole iniziali della tua redenzione."
I discepoli sbirciano, più o meno prudentemente, la donna, ma nessuno parla. Lei se ne va senza più pensare all'acqua e all'anfora.
"Ecco, Maestro" dice Pietro "Ci hanno trattato bene. Qui vi è cacio, pane fresco, ulive e mele. Prendi ciò che vuoi. Quella donna ha fatto bene a lasciare l'anfora. Faremo più presto che con le nostre piccole vesciche. Berremo e le faremo piene. Senza avere da chiedere altro ai samaritani. Neppure di avvicinarsi alle loro fontane. Non mangi? Volevo trovarti del pesce, ma non ce n'è. Forse ti piaceva di più. Sei stanco e pallido."
"Ho un cibo che voi non conoscete. Mangerò di quello. Mi ristorerà molto."
I discepoli si guardano fra loro interrogativamente.
Gesù risponde alle loro mute interrogazioni. "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a termine l'opera che è suo desiderio Io compia. Quando un seminatore getta il seme, può forse dire di avere già tutto fatto per dire che ha raccolto? No, davvero. Quanto ancora ha da fare per dire: 'Ecco che la mia opera è compiuta'! E fino a quell'ora non può riposare. Guardate questi campicelli sotto il lieto sole dell'ora di sesta. Solo un mese fa, anche meno di un mese, la terra era nuda, scura per essere bagnata dalle piogge. Ora guardate. Steli e steli di grano, appena spuntati, di un verde tenuissimo, che nella gran luce pare anche più chiaro, la fanno come coperta di un tenue velo biancheggiante. Questa è la messe futura e voi vedendola dite: 'Fra quattro mesi è il raccolto. I seminatori prenderanno i mietitori, perché se uno è sufficiente a seminare il suo campo, molti necessitano per mieterlo. E ambi sono contenti. Tanto colui che ha seminato un piccolo sacchetto di grano, e ora deve preparare granai a riceverlo, come coloro che in pochi giorni guadagnano di che vivere per qualche mese.' Anche nel campo dello spirito coloro che mieteranno ciò che Io ho seminato si rallegreranno con Me, e come Me, perché Io darò loro il mio salario e il frutto debito. Darò di che vivere nel mio Regno eterno. Voi non avete che da mietere. Il più duro lavoro Io l'ho fatto. Eppure vi dico: 'Venite. Mietete nel mio campo. Io sono lieto che voi vi carichiate dei manipoli del mio grano. Quando tutto il mio grano che Io avrò seminato, instancabile, ovunque, sarà da voi raccolto, allora sarà compiuta la volontà di Dio ed Io mi siederò al banchetto della celeste Gerusalemme'. Ecco che vengono i samaritani con Fotinai. Usate carità con essi. Sono anime che vengono a Dio".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 16 marzo 2014, II Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 17,1-9.
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.
E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».
Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».
All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.
Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete».
Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 349 pagina 354.
Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risveglia ta da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa - dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si dischiudono, co me bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata; all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzio ne di polvere, fumo e sentore di corpi umani -vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo. Vanno in direzione sud est, valicando i colli che fanno coro na a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est. Questi monti sono preceduti dal cono semitronco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri ca rabinieri vista di profilo.Lo raggiungono. Gesù si ferma e dice: «Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Naza ret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo». E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sul la cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare là?».«Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!». «Oh! mio Signore! Non potremmo andare un poco più ada gio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?». «Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza, Simon Pietro! Lassù vi farò riposare». E riprende a salire...
(Dice Gesù: «Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P. M. copierà ciò che ti mostro ora»).
5 agosto 1944.
Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fino nelle lontananze. Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci tro viamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un lar go raggio. Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incasto narsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da sme raldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si incre spa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbia ni, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di un azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli al beri che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umo re. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pia nura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le di verse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più pre coci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud. Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palese mente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa. «Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limi te d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli. Pietro si leva i sandali e ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col ca po su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le pal pebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.6Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi. Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Natu ralmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la lumino sità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile. Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eri ga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vede re più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si ve de talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, in candescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima. Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. «Mae stro, Maestro», chiamano piano ma con ansia. Egli non sente. «È in estasi» dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?». I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano. La Luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e lumi nosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e seve rità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva. I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo nep pure una delle parole dette.I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfran ca e dice: «È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi fac ciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi...». Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda an che Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro oc chi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sem brano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba. «Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compia ciuto. Ascoltatelo». Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a sve nire: «Il Signore parla!». Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto so lo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa. Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome. «Alzatevi. Sono Io. Non temete» dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuoi mostrarli all’Altissimo. «Levatevi, dunque. Ve lo comando» ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride. «Oh! Maestro, Dio mio!» esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come fare mo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che ab biamo udito la voce di Dio?». «Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allo ra parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno». «Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così». «Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rive lazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Fi glio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.
[3 dicembre 1945]. ...Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”.; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia... Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tut ti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella di spensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni so no, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti... e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo... e dopo!... La paura delle paure! La voce di Dio!... Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!». Tu. E ti ha proclamato “suo Fi glio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!... a noi!... Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!... Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo... Ma come ha fatto tua Madre a vedere... a sentire... a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?». «Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi, che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria» dice dolcemente Gesù. «Che cosa! Che cosa!... Ma dopo Tu hai parlato di morte... E ogni gioia è finita... Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?». «Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha vo luto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo... Avete capito?». «Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”». Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.«Non li troveremo» dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti». «Vieni e non crearti stolti pensieri».Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte. «Ohimè! Scribi!... E disputano già!» dice Pietro accennando li. E scende gli ultimi metri a malincuore.Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando: «Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuti in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato». «Di che disputavate fra voi?».«Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è messo Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pre garti. Ascoltalo». Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò. «Maestro» gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché Tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli là si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o ri schia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo!». Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare?». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi. Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio». L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte ros seggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi ma gnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica. Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e di ce: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano». E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo as sale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto acciecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, co me credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici».«Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede».«Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a suffi cienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo» dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il fi glio più che mai in convulsione. Gesù si raddrizza, si tira indietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte: «Spirito ma ledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non rientrarvi mai più!». Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.«È morto!» gridano in molti. «Povero fanciullo!», «Povero padre!» compiangono i migliori. E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno!», oppure: «Maestro, come è? Questa volta Belzebù ti ha fatto fare brutta figura...», e ridono veleno samente. Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha ri voltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, men tre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla...«E ora andiamo» dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via già fatta al mattino.
Dice Gesù:«E ora qui P M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 (quaderno A 930) cominciando dalle parole: “Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nel la gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».
[5 agosto 1944]. Dice Gesù: «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la Chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltan to a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve aver parte meco nella gioia. Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.Mai superbia. Saresti punita perdendomi.Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfe zione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incene rirvi. Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostra to il Cielo.Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho invitati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho cono sciuto e non conosco riposo. Perché il Male non riposa mai e il Bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del Nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiu to. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamen te, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio con tatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la Rive lazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere i se gni dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cri sto nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’Anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito sopran naturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’Anticristo, la pace or mai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al Nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi delle ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo vostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giusti zia e sarà il Vincitore della Bestia e dei suoi servi e profeti, ri conoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla terra, comune al Cristo, al suo Precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è an cora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della crea tura ancora unita alla carne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 9 marzo 2014, I Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 4,1-11.
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo.
E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.
Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane».
Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo».
Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse:
«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai».
Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto».
Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.
Traduzione liturgica della Bibbia 
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.
Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: “Sei solo?”
Gesù lo guarda e non risponde.
“Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?”
Gesù lo guarda da capo e tace.
“Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò.”
Gesù non alza più neppure gli occhi.
“Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni”.
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
“Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te.”
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
“Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa...”
“Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’.”
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
“Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!”
“ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto”.
“Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!”.
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: “Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!”.
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.


Dice Gesù:
“Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem” e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 2 marzo 2014, VIII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 6,24-34.
Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.
Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?
E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?
E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?
Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?
Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 174 pagina 115.
[...]
La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore di Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana? Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “Il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena di aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire. Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odierà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.
Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro — perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto — tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.
Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore. Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò”, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…”.
(E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35ª riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

12 agosto 1944.
Dice Gesù: “Guarda e scrivi. È Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione”.
Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita. La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, ad oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolio azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade — perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche diamante rugiadoso sperso fra i suoi steli — paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: “Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…”.
Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. È serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle.
“Fate largo, plebei”, grida una iraconda voce d’uomo. “Fate largo alla bellezza che passa”… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedile Maria di Magdala, gran peccatrice ancora.
E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo. Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla.
“Ecco accontentata la dea”, dice il romano. “Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi”.
Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
È bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: “Rispetto al mio candore”, il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.
Gesù riprende:
“Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo. Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno — il cuore — l’impurità.
Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla Terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda?
Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore. Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…”.
Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che, senza guardarla, Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.
Non vedo altro. Ma Gesù dice: “Vedrai ancora”.

[29 maggio 1945.]
Gesù riprende: “Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio”.
La folla grida: “Sì, sì. Con Te”, e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
“Ma… ce ne andiamo proprio?”.
“Sì”.
“Perché è venuta lei?…”.
“Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani…”.
“Capisco, capisco…”.
“Allora però capisci anche un’altra cosa”.
“Quale, Maestro?”.
“La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti”.
“Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…”.
“E per altri ancora”.
“Pensi che ce ne saranno oggi?”.
“Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto”.
Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.
L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. “Mi vuoi, Maestro?”, chiede.
“Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni”.
“Non ho fame. E neppure Tu”.
“Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?”.
“No, Maestro. Stanco…”.
“Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…”.
Giuda si rianima. “Vieni proprio con me solo?”.
“Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male”.
“Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. È peccato aver bisogno di dormire?”.
“No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera”.
“Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore”.
“Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone”.
Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di “non aver fame e di essere stanco”, corre dai compagni ridendo allegro e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
Gesù lo guarda con compassione e poi si avvia verso gli apostoli.
“Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te””.
“Ma Pietro!”.
“No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene”.
Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: “E tu? Le ulive?”.
“Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse”.
“A chi?”.
“A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi”.
“Ma benissimo!”.
“Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese”.
Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
“Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case”, dice Bartolomeo.
“È vero! È venerdì!”, dicono in diversi.
“Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro”.
Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
“Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via”.
Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.
Gesù sorride e comincia a parlare.
“Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato”.
Cosa è l’adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo ed ha inizio la discesa nel peccato.
Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo càvatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. È vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.
Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio”. Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla Terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge. Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio”. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione. Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio.
Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora”.
Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena”.
La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.
Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!
Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi”.
Ma la folla urla: “Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!”. E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao.
La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita.
(Gesù dice: “Basta per oggi. Domani…”).
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/