"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 30 Luglio 2017, XVII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,44-52.
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.
Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni
e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 239 pagina 73 - CD 4, traccia 14 
1Sono tutti riuniti nella vasta stanza superiore. Il temporale violento si è risolto in una pioggia persistente, che ora si fa lieve fin quasi a sospendere e ora infittisce con improvvisa furia. Il lago non è certo azzurro oggi, ma giallastro, con strie di spume nei momenti di vento e acquazzone, grigio plumbeo con spume bianche nelle soste dell’acquazzone. Le colline, tutte grondanti d’acqua, con le fronde ancora piegate da tanto che sono molli di pioggia, con qualche ramo che pende spezzato dal vento e molte foglie strappate dalla grandine, mostrano righe di ruscelli da ogni parte, acque giallognole che riversano nel lago foglie, sassi, terra rapita alle chine. La luce è rimasta offuscata, verdognola.
Nella stanza sono, sedute presso una finestra che guarda le colline, Maria con Marta e la Maddalena, più due altre donne che non so di preciso chi siano. Ma ho l’impressione che siano già conosciute da Gesù e Maria e dagli apostoli, perché sono a loro agio. Certo più della Maddalena, che sta ferma ferma, a capo chino, fra la Vergine e Marta.
Gli abiti riasciugati alla fiamma, spazzolati dal fango, sono stati rimessi. Ma dico male. È stato indossato dalla Vergine il suo di lana azzurro cupo. Ma la Maddalena ha una veste di imprestito, corta e stretta per lei alta e formosa, e cerca di riparare alle manchevolezze della veste stando avvolta nel mantello della sorella. Si è raccolta i capelli in due grosse trecce annodandosele sulla nuca in qualche modo, perché per sostenere quel peso ci vuole ben più delle poche forcine racimolate lì per lì. Infatti, dopo, io ho sempre visto che la Maddalena aiuta le forcine con un nastrino che le fa quasi un diadema sottile, perdendosi col suo colore paglia nell’oro dei capelli.
Nell’altro lato della stanza, seduti chi su sgabelli, chi sui davanzali delle finestre, sono Gesù con gli apostoli e il padrone di casa. Manca il servo di Marta. Pietro e gli altri pescatori studiano il tempo, facendo pronostici per il domani. Gesù ascolta, oppure risponde a questo e a quello.
«Ad averlo saputo, di questo, avrei detto a mia madre di venire. È bene che la donna sia messa subito a suo agio con le compagne» dice Giacomo di Zebedeo sbirciando verso le donne.
«Eh! Ad averlo saputo!… 2Ma perché poi la mamma non è venuta con Maria?» chiede il Taddeo al fratello Giacomo.
«Non lo so. Me lo chiedo anche io».
«Non si sentirà male?».
«Maria lo avrebbe detto».
«Io glielo chiedo», e il Taddeo va dalle donne.
Si sente la voce limpida di Maria rispondere: «Sta bene. Sono stata io che le ho evitato uno strapazzo con questo caldo. Siamo scappate come due bambine, non è vero, Maria? Maria è venuta a sera oscura e all’alba siamo partite. Non ho che detto ad Alfeo: “Ecco la chiave. Tornerò presto. Dillo a Maria”. E sono venuta».
3«Torneremo insieme, Madre. Non appena il tempo sarà buono e Maria avrà una veste, noi andremo, tutti insieme, per la Galilea, accompagnando le sorelle fino alla via più sicura. Così saranno conosciute anche da Porfirea, da Susanna, dalle vostre mogli e figlie, Filippo e Bartolomeo».
È squisito quel dire: «saranno conosciute», per non dire: «Maria sarà conosciuta»! È forte, anche. E abbatte tutte le prevenzioni e restrizioni mentali degli apostoli verso la redenta. La impone, vincendo le riluttanze di loro, le vergogne di lei, tutto. Marta splende nel viso, Maria Maddalena avvampa e ha uno sguardo supplice, riconoscente, turbato, che so?… Maria Ss. ha il suo sorriso soave.
«Dove andremo per primo luogo, Maestro?».
«A Betsaida. Poi per Magdala, Tiberiade, Cana, a Nazaret. Di lì per Jafia e Semeron, andremo a Betlem di Galilea e poi a Sicaminon e a Cesarea…».
Gesù è interrotto da uno scoppio di pianto della Maddalena. Alza il capo, la guarda e poi riprende come nulla fosse: «A Cesarea troverete il vostro carro. Ho ordinato così al servo, e andrete a Betania. Ci rivedremo poi, ai Tabernacoli».
Maddalena si riprende presto e non risponde alle domande della sorella, ma esce dalla stanza ritirandosi forse in cucina per qualche tempo.
«Maria soffre, Gesù, nel sentire che deve venire in certe città. Bisogna capirla… Lo dico più per i discepoli che per Te, Maestro» dice umile ed affannata Marta.
«È vero, Marta. Ma così deve avvenire. Se ella non affronta subito il mondo e non strozza quell’orrendo aguzzino del rispetto umano, rimane paralizzata la sua eroica conversione. Subito e con noi».
4«Con noi nessuno le dirà nulla. Te lo assicuro, Marta, anche per tutti i compagni miei» promette Pietro.
«Ma certo! La circonderemo come una sorella. Così ha detto Maria che ella è, e così sarà per noi» conferma il Taddeo.
«E poi!… Siamo tutti peccatori e il mondo non ci ha risparmiato neppure noi. Comprendiamo perciò le sue lotte» dice lo Zelote.
«Io più di tutti la capisco. Nei posti dove peccammo è molto meritorio vivere. Le persone sanno chi siamo!… È una tortura. Ma è anche una giustizia e una gloria resistere lì. Appunto perché è palese in noi la potenza di Dio, noi siamo oggetto di conversioni anche senza usare le parole». Dice Matteo.
«Tu vedi, Marta, che tua sorella è compresa da tutti e amata da tutti. E lo sarà sempre di più. Lei diverrà un segno indicatore per tante anime colpevoli e pavide. È una grande forza anche per i buoni. Perché Maria, quando avrà frantumato le ultime catene della sua umanità, sarà un fuoco d’amore. Non ha che cambiato direzione all’esuberanza del suo sentimento. Ha riportato questa sua potente facoltà di amare in un piano soprannaturale. E ivi compierà prodigi. Ve lo assicuro. Ora è ancora turbata. Ma la vedrete giorno per giorno pacificarsi e irrobustirsi nella sua nuova vita. In casa di Simone ho detto: “Molto le è perdonato perché molto ella ama.” Ora vi dico che in verità tutto le sarà perdonato perché ella amerà con tutta la sua forza, la sua anima, il suo pensiero, il suo sangue, la sua carne, fino all’olocausto, il suo Dio».
«Lei beata che merita queste parole! Vorrei meritarle anche io» sospira Andrea.
«Tu? Ma tu le meriti già! 5Vieni qui, mio pescatore. Ti voglio raccontare una parabola che pare pensata proprio per te».
«Maestro, attendi. Vado a prendere Maria. Desidera tanto sapere la tua dottrina!…».
Mentre Marta esce, gli altri dispongono i sedili in modo da fare un semicerchio intorno a quello di Gesù. Tornano le due sorelle e riprendono posto vicino a Maria Ss.
Gesù inizia a parlare:
«Dei pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il tempo dovuto la tirarono a bordo. Con molta fatica compivano così il loro lavoro per ordine di un padrone che li aveva incaricati di fornire di pesce prelibato la sua città, dicendo loro anche: “Però quei pesci che sono nocivi o scadenti non state neppure a trasportarli a terra. Ributtateli in mare. Altri pescatori li pescheranno e, poiché sono pescatori di un altro padrone, li porteranno alla città dello stesso, perché là si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la città del mio nemico. Nella mia, bella, luminosa, santa, non deve entrare nulla di malsano”.
Tirata perciò a bordo la rete, i pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di diverso aspetto, grossezza e colore. Ve ne erano di bell’aspetto, ma con una carne piena di spine, dal cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il sapore cattivo della carne del pesce. Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che pareva il ceffo del delinquente o di un mostro da incubo, ma i pescatori sapevano che la loro carne è squisita. Altri, per essere insignificanti, passavano inavvertiti. I pescatori lavoravano, lavoravano. Le ceste erano colme di pesce squisito ormai e nella rete erano i pesci insignificanti. “Ormai basta. Le ceste sono colme. Gettiamo tutto il resto a mare” dissero molti pescatori.
Ma uno, che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso ogni pesce che capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e tra la minutaglia insignificante scoperse ancora due o tre pesci, che mise al di sopra di tutti nelle ceste. “Ma che fai?” chiesero gli altri. “Le ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per traverso quel povero pesce lì. Sembra che tu lo voglia celebrare come il più bello”. “Lasciatemi fare. Io conosco questa razza di pesci e so che rendimento e che piacere danno”.
Questa è la parabola, che finisce con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci.
6Ora udite l’applicazione di essa.
Il padrone della città bella, luminosa e santa è il Signore. La città è il Regno dei Cieli. I pescatori, i miei apostoli. I pesci del mare, l’umanità nella quale è presente ogni categoria di persone. I pesci buoni, i santi.
Il padrone della città orrida è Satana. La città orrida, l’Inferno. I suoi pescatori, il mondo, la carne, le passioni malvagie incarnate nei servi di Satana sia spirituali, ossia demoni, sia umani, ossia uomini che sono i corruttori dei loro simili. I pesci cattivi, l’umanità non degna del Regno dei Cieli: i dannati.
Fra i pescatori delle anime per la Città di Dio ci saranno sempre quelli che emuleranno la capacità paziente del pescatore che sa perseverare nella ricerca, proprio negli strati dell’umanità, dove altri suoi compagni, più impazienti, hanno levato solo le bontà che appaiono tali a prima vista. E vi saranno purtroppo anche pescatori che, per essere troppo svagati e ciarlieri, mentre il lavoro di cernita esige attenzione e silenzio per udire le voci delle anime e le indicazioni soprannaturali, non vedranno pesci buoni e li perderanno. E vi saranno quelli che per troppa intransigenza respingono anche anime che non sono perfette nell’aspetto esteriore ma ottime per tutto il resto.
Che vi importa se uno dei pesci che catturate per Me mostra i segni di lotte passate, presenta mutilazioni prodotte da tante cause, se poi queste non ledono il suo spirito? Che vi importa se uno di questi, per liberarsi dal Nemico, si è ferito e si presenta con queste ferite, se il suo interno mostra la sua chiara volontà di voler essere di Dio? Anime provate, anime sicure. Più di quelle che sono come infanti salvaguardati dalle fasce, dalla cuna e dalla mamma, e che dormono sazi e buoni, o sorridono tranquilli, ma che però possono in seguito, con la ragione e l’età, e le vicende della vita che avanzano, dare dolorose sorprese di deviazioni morali.
7Vi ricordo la parabola del figliuol prodigo. Altre ne udrete perché sempre Io mi studierò a infondervi un retto discernimento nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo con cui guidare le coscienze, che sono singole, ed ognuna, perciò, ha il suo speciale modo di sentire e di reagire alle tentazioni e agli insegnamenti.
Non crediate facile l’essere cernitore di animi. Tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso di luce divina, ci vuole intelletto infuso di divina sapienza, ci vuole possesso delle virtù in forma eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di concentrarsi nella meditazione, perché ogni anima è un testo oscuro che va letto e meditato. Ci vuole unione continua con Dio, dimenticando tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per Dio. Superare prevenzioni, risentimenti, antipatie. Essere dolci come padri e ferrei come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei per dire: “Ciò non è lecito, e non lo farai”. Perché, pensatelo bene, molte anime saranno gettate negli stagni infernali. Ma non saranno solo anime di peccatori. Anche anime di pescatori evangelici vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al loro ministero, contribuendo alla perdita di molti spiriti.
Verrà il giorno - l’ultimo giorno della terra, il primo della Gerusalemme completata e eterna - in cui gli angeli, come i pescatori della parabola, separeranno i giusti dai malvagi, perché al comando inesorabile del Giudice i buoni passino al Cielo e i cattivi nel fuoco eterno. E allora sarà resa nota la verità circa i pescatori ed i pescati, cadranno le ipocrisie e apparirà il popolo di Dio quale è, coi suoi duci e i salvati dai duci. Vedremo allora che tanti, fra i più insignificanti all’esterno o i più malmenati all’esterno, sono gli splendori del Cielo, e che i pescatori quieti e pazienti sono quelli che più hanno fatto, splendendo ora di gemme per quanti sono i loro salvati.
La parabola è detta e spiegata».
8«E mio fratello?!… Oh! ma!… Pietro lo guarda, lo guarda… Poi guarda la Maddalena…
«No, Simone. In quella io non ci ho merito. Il Maestro solo ha fatto» dice schietto Andrea.
«Ma gli altri pescatori, quelli di Satana, prendono dunque gli avanzi?» chiede Filippo.
«Tentano di prendere i migliori, gli animi capaci di maggior prodigio di Grazia, ed usano degli stessi uomini per farlo, oltre che delle loro tentazioni. Ce ne sono tanti nel mondo che per un piatto di lenticchie rinunciano alla primogenitura!».
«Maestro, l’altro giorno Tu dicevi che molti sono quelli che si lasciano sedurre da cose del mondo. Sarebbero ancora quelli che pescano per Satana?» chiede Giacomo d’Alfeo.
«Si, fratello mio. In quella parabola l’uomo si lasciò sedurre dal molto denaro che poteva dare molto godimento, perdendo ogni diritto al Tesoro del Regno. Ma in verità vi dico che su cento uomini, solo un terzo sa resistere alla tentazione dell’oro o ad altre seduzioni, e di questo terzo solo la metà sa farlo in maniera eroica. Il mondo muore asfissiato per aggravarsi volontariamente dei lacci del peccato. Vale meglio essere spogli di tutto anziché avere ricchezze irrisorie e illusorie. Sappiate fare come i saggi gioiellieri, i quali, saputo che in un luogo è stata pescata una perla rarissima, non si preoccupano di trattenere tante piccole gioie nei loro forzieri, ma di tutto si liberano per acquistare quella perla meravigliosa».
«Ma allora perché Tu stesso metti delle differenze nelle missioni che dài alle persone che ti seguono, e dici che noi le missioni le dobbiamo tenere come dono di Dio? Allora bisognerebbe rinunciare anche a queste, perché anche queste sono briciole rispetto al Regno dei Cieli» dice Bartolomeo.
«Non briciole: mezzi sono. Briciole sarebbero, meglio ancora, sarebbero festuche di paglia sudicia, se divenissero scopo umano nella vita. Quelli che armeggiano per avere un posto a scopo di utile umano fanno di quel posto, anche se santo, una festuca di paglia sudicia. Ma fatene una ubbidiente accettazione, un gioioso dovere, un totale olocausto, e ne farete una perla rarissima. La missione è un olocausto, se compiuta senza riserva, è un martirio, è una gloria. Gronda lacrime, sudore, sangue. Ma forma corona di eterna regalità».
9«Tu sai proprio rispondere a tutto!».
«Ma mi avete capito? Comprendete ciò che Io dico con paragoni trovati dalle cose di ogni giorno, illuminate però da una luce soprannaturale che ne fa spiegazione a cose eterne?».
«Sì , Maestro».
«Ricordatevi allora il metodo per istruire le turbe. Perché questo è uno dei segreti degli scribi e dei rabbi: ricordare. In verità vi dico che ognuno di voi, istruito nella sapienza di possedere il Regno dei Cieli, è simile ad un padre di famiglia che trae fuori del suo tesoro ciò che serve alla famiglia, usando cose antiche o cose nuove, ma tutte per l’unico scopo di procurare il benessere ai propri figli. L’acqua è cessata. Lasciamo in pace le donne e andiamo dal vecchio Tobia che sta per aprire i suoi occhi spirituali sulle albe dell’al di là. La pace a voi, donne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 23 Luglio 2017, XVI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,24-43.
Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?
Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?
No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».
Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole,
perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo.
Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno,
e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli.
Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità
e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 181 pagina 171 - CD 3, traccia 22 
Un’alba chiara imperla il lago e fascia i colli di una nebbia leggera come velo di mussola da cui appaiono, ingentiliti, ulivi e noci, e case e dossi dei paesi del lago. Le barche scivolano quiete e silenziose, dirette verso Cafarnao. Ma ad un certo punto Pietro piega la barra del timone così rudemente che la barca si inchina da un lato.
“Che fai?”, chiede Andrea.
“C’è la barca di un gufo. Esce ora da Cafarnao. Ho buoni occhi e, da ieri sera, fiuto di segugio. Non voglio che ci vedano. Torno al fiume. Andremo a piedi”.
Anche l’altra barca ha seguito la manovra, ma Giacomo, che regge il timone, chiede a Pietro: “Perché fai questo?”.
“Te lo dirò. Vienimi dietro”.
Gesù, che è seduto a poppa, si riscuote quando è quasi al-l’altezza del Giordano. “Ma che fai, Simone?”, chiede.
“Si scende qui. C’è uno sciacallo in giro. Non si può andare a Cafarnao oggi. Prima vado io a sentire un poco. Io con Simone e Natanaele. Tre degne persone contro tre indegne persone… se pure le indegne non saranno di più”.
“Non vedere insidie da tutte le parti, ora! Quella non è la barca di Simone il fariseo?”.
“È proprio quella”.
“Non c’era alla cattura di Giovanni”.
“Non so niente io”.
“È sempre rispettoso verso di Me”.
“Non so niente io”.
“Mi fai parere vile”.
“Non so niente io”.
Per quanto Gesù non abbia voglia di ridere, deve sorridere per la santa cocciutaggine di Pietro.
“Ma a Cafarnao dovremo pure andare. Se non oggi, più tardi…”.
“Ti ho detto che vado prima io e sento e… all’occorrenza… farò anche questa… sarà una grossa spina da inghiottire… ma lo farò per amore di Te… Andrò… andrò dal centurione a chiedere protezione…”.
“Ma no! Non occorre!”.
La barca si arresta sulla spiaggetta deserta, opposta a Betsaida. Scendono tutti.
“Venite voi due. Vieni anche te, Filippo. Voi giovani state qui. Faremo presto”.
Il neo discepolo Elia prega: “Vieni in casa mia, Maestro. Ne sarei tanto felice di ospitarti…”.
“Vengo. Simone, mi raggiungerai alla casa di Elia. Addio, Simone. Va’. Ma sii buono, prudente e misericordioso. Vieni, che ti baci e benedica”.
Pietro non assicura di essere né buono, né paziente, né misericordioso. Tace e scambia il bacio col suo Maestro. Anche lo Zelote, Bartolomeo e Filippo scambiano il bacio di addio e le due comitive si separano andando in opposta direzione.
Entrano in Corozim che l’aurora è già finita in giorno pieno. Non vi è stelo che non brilli per gemme di rugiada. Gli uccelli cantano per ogni dove. Vi è un’aria pura, fresca, che pare sappia persino di latte, di un latte più vegetale che animale. L’odore dei grani che si formano nelle spighe, dei mandorleti carichi di frutti… un odore che ho sentito nelle fresche mattine nei campi opimi della pianura padana.
La casa di Elia è presto raggiunta. Ma già molti in Corozim sanno che è giunto il Maestro e, mentre Gesù sta per porre piede sulla soglia, una madre accorre gridando: “Gesù, Figlio di Davide, pietà della mia creatura!”. Ha sulle braccia una fanciulla di un dieci anni circa, cerea e magrissima. Più che cerea, giallastra.
“Che ha tua figlia?”.
“Le febbri. Le ha prese alla pastura lungo il Giordano. Perché siamo i pastori di un ricco. Io sono stata chiamata dal padre presso la bambina ammalata. Egli ora è tornato ai monti. Ma Tu sai che con questo male non si può passare in luoghi alti. Come posso stare qui? Il padrone mi ha lasciata fino ad ora. Ma io sono alle lane e alle figliate. Viene il tempo del lavoro per noi pastori. Saremo licenziati o divisi se io resto. Vedrò morire la figlia se vado all’Hermon”.
“Hai fede che Io possa?”.
“Ho parlato con Daniele pastore di Eliseo. Mi ha detto: “Il nostro Bambino guarisce ogni male. Vai dal Messia”. Da oltre Meron sono venuta con questa fra le braccia cercando Te. Avrei sempre camminato fino a trovarti…”.
“Non camminare più altro che per tornare a casa, al lavoro sereno. Tua figlia è guarita perché Io lo voglio. Va’ in pace”.
La donna guarda la figlia e guarda Gesù. Forse spera di vedere tornare grassa e colorita la fanciulla all’istante. Anche la fanciulla sgrana i suoi occhi stanchi, che prima teneva chiusi, in volto a Gesù e sorride.
“Non temere, donna. Non ti inganno. La febbre è sparita per sempre. Di giorno in giorno ella tornerà fiorente. Lasciala andare. Non barcollerà più e non sentirà stanchezza”.
La madre posa al suolo la fanciulla, che sta ben ritta e sorride sempre più giuliva. Infine trilla con la sua voce argentina: “Benedici il Signore, mamma! Sono ben guarita! Lo sento”, e nella sua semplicità di pastorella e di fanciulla si lancia al collo di Gesù e lo bacia. La madre, riservata come l’età insegna, si prostra e bacia la veste benedicendo il Signore.
“Andate. Ricordatevi del beneficio avuto da Dio e siate buone. La pace sia con voi”.
Ma la gente si affolla già nell’orticello della casa di Elia e reclama la parola del Maestro. E per quanto Gesù non abbia molta voglia di farlo, addolorato come è per la cattura, e per il modo come è avvenuta, del Battista, pure si arrende e all’ombra degli alberi inizia a parlare.
“Ancora in questo bel tempo di grani che spigano, Io vi voglio proporre una parabola presa dai grani. Udite.
Il Regno dei Cieli è simile ad un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma, mentre l’uomo e i suoi servi dormivano, venne un suo nemico e sparse seme di loglio sui solchi e poi se ne andò. Nessuno sul principio si accorse di nulla. Venne l’inverno con le piogge e le brine, venne la fine di tebet e germogliò il grano. Un verde tenero di foglioline appena spuntate. Parevano tutte uguali nella loro infanzia innocente. Venne scebat e poi adar e si formarono le piante e poi granirono le spighe. Si vide allora che il verde non era tutto grano ma anche loglio, ben avviticchiato coi suoi vilucchi sottili e tenaci agli steli del grano.
I servi del padrone andarono alla sua casa e dissero: “Signore, che seme hai seminato? Non era seme eletto, mondo da ogni altro seme che grano non fosse?”.
“Certo che lo era. Io ne ho scelto i chicchi tutti uguali di formazione. E avrei visto se vi fossero stati altri semi”.
“E come allora è nato tanto loglio fra il tuo grano?”.
Il padrone pensò, poi disse: “Qualche nemico mio mi ha fatto questo per farmi danno”.
I servi chiesero allora: “Vuoi che andiamo fra i solchi e con pazienza liberiamo le spighe dal loglio, strappando quest’ultimo? Ordina e lo faremo”.
Ma il padrone rispose: “No. Potreste nel farlo estirpare anche il grano e quasi sicuramente offendere le spighe ancora tenerelle. Lasciate che l’uno e l’altro stiano insieme fino alla mietitura. Allora io dirò ai mietitori: ‘Falciate tutto insieme; poi, avanti di legare i covoni, ora che il seccume ha fatto friabili i vilucchi del loglio mentre più robuste e dure sono le serrate spighe, scegliete il loglio dal grano e fatene fasci a parte. Li brucerete poi e faranno concime al suolo. Mentre il buon grano lo porterete nei granai e servirà ad ottimo pane con scorno del nemico, che avrà guadagnato solo di esser abbietto a Dio col suo livore’”.
Ora riflettete fra voi quanto sovente avvenga e numerosa sia la semina del Nemico nei vostri cuori. E comprendete come occorra vigilare con pazienza e costanza per fare sì che poco loglio si mescoli al grano eletto. La sorte del loglio è di ardere. Volete voi ardere o divenire cittadini del Regno? Voi dite che volete essere cittadini del Regno. Ebbene, sappiatelo essere. Il buon Dio vi dà la Parola. Il Nemico vigila per renderla nociva, poiché farina di grano mescolata a farina di loglio dà pane amaro e nocivo al ventre. Sappiate col buon volere, se loglio è nell’anima vostra, sceglierlo per gettarlo onde non essere indegni di Dio.
Andate, figli. La pace sia con voi”.
La gente sfolla lentamente. Nell’orto restano gli otto apostoli più Elia, suo fratello, la madre e il vecchio Isacco, che si pasce l’anima nel guardarsi il suo Salvatore.
“Venitemi intorno e udite. Vi spiego il senso completo della parabola, che ha due aspetti ancora, oltre quello detto alla folla.
Nel senso universale la parabola ha questa applicazione: il campo è il mondo. Il buon seme sono i figli del Regno di Dio, seminati da Dio sul mondo in attesa di giungere al loro limite ed essere recisi dalla Falciatrice e portati al Padrone del mondo, perché li riponga nei suoi granai. Il loglio sono i figli del Maligno, sparsi a loro volta sul campo di Dio nell’intento di dare pena al Padrone del mondo e di nuocere anche alle spighe di Dio. Il Nemico di Dio li ha, per un sortilegio, seminati apposta, perché veramente il Diavolo snatura l’uomo fino a farne una sua creatura, e questa semina, per traviare altri che non ha potuto asservire altrimenti. La mietitura, anzi la formazione dei covoni e il trasporto degli stessi ai granai, è la fine del mondo, e coloro che la compiono sono gli angeli. A loro è ordinato di radunare le falciate creature e separare il grano dal loglio e, come nella parabola questo si brucia, così verranno bruciati nel fuoco eterno i dannati, all’Ultimo Giudizio.
Il Figlio dell’uomo manderà a togliere dal suo Regno tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Perché allora il Regno sarà e in Terra e in Cielo, e fra i cittadini del Regno sulla Terra saranno mescolati molti figli del Nemico. Questi raggiungeranno, come è detto anche dai Profeti, la perfezione dello scandalo e dell’abominio in ogni ministero della Terra, e daranno fiera noia ai figli dello spirito. Nel Regno di Dio, nei Cieli, già saranno stati espulsi i corrotti, perché corruzione non entra in Cielo. Ora dunque gli angeli del Signore, menando la falce fra le schiere dell’ultimo raccolto, falceranno e separeranno il grano dal loglio e getteranno questo nella fornace ardente dove è pianto e stridor di denti, portando invece i giusti, l’eletto grano, nella Gerusalemme eterna dove essi splenderanno come soli nel Regno del Padre mio e vostro.
Questo nel senso universale. Ma per voi ve ne è un altro ancora, che risponde alle domande che più volte, e specie da ieri sera, vi fate. Voi vi chiedete: “Ma dunque fra la massa dei discepoli possono essere dei traditori?”, e fremete in cuor vostro di orrore e di paura. Ve ne possono essere. Ve ne sono certo.
Il seminatore sparge il buon seme. In questo caso, più che spargere, si potrebbe dire: “coglie”. Perché il maestro, sia che sia Io o sia che fosse il Battista, aveva scelto i suoi discepoli. Come allora si sono traviati? No, anzi. Male ho detto dicendo “seme” i discepoli. Voi potreste capire male. Dirò allora “campo”. Tanti discepoli tanti campi, scelti dal maestro per costituire l’area del Regno di Dio, i beni di Dio. Su essi il maestro si affatica per coltivarli, acciò diano il cento per cento. Tutte le cure. Tutte. Con pazienza. Con amore. Con sapienza. Con fatica. Con costanza. Vede anche le loro tendenze malvagie. Le loro aridità e le loro avidità. Vede le loro testardaggini e le loro debolezze. Ma spera, spera sempre e corrobora la sua speranza con la preghiera e la penitenza, perché li vuole portare alla perfezione.
Ma i campi sono aperti. Non sono un chiuso giardino cinto da mura di fortezza, di cui sia padrone solo il maestro e in cui solo lui possa penetrare. Sono aperti. Messi al centro del mondo, fra il mondo, tutti li possono avvicinare, tutti vi possono penetrare. Tutti e tutto. Oh! non è il loglio solo il mal seme seminato! Il loglio potrebbe essere simbolo della leggerezza amara dello spirito del mondo. Ma vi nascono, gettati dal Nemico, tutti gli altri semi. Ecco le ortiche. Ecco le gramigne. Ecco le cuscute. Ecco i vilucchi. Ecco infine le cicute e i tossici. Perché? Perché? Che sono?
Le ortiche: gli spiriti pungenti, indomabili, che feriscono per sovrabbondanza di veleni e danno tanto disagio. Le gramigne: i parassiti che sfiniscono il maestro senza saper fare altro che strisciare e succhiare, godendo del lavoro di lui e nuocendo ai volonterosi, che veramente trarrebbero maggior frutto se il maestro fosse non turbato e distratto dalle cure che esigono le gramigne. I vilucchi inerti che non si alzano da terra che fruendo degli altri. Le cuscute: tormento sulla via già penosa del maestro e tormento ai discepoli fedeli che lo seguono. Si uncinano, si conficcano, lacerano, graffiano, mettono diffidenza e sofferenza. I tossici: i delinquenti fra i discepoli, coloro che giungono a tradire e a spegnere la vita come le cicute e le altre piante tossiche. Avete mai visto come sono belle coi loro fiorellini che poi divengono palline bianche, rosse, celeste-viola? Chi direbbe che quella corolla stellare, candida o appena rosata, col suo cuoricino d’oro, chi che quei coralli multicolori, tanto simili ad altri frutticini che sono la delizia degli uccelli e dei pargoli, possano, giunti a maturazione, dare morte? Nessuno. E gli innocenti ci cascano. Credono tutti buoni come loro… e ne colgono e muoiono.
Credono tutti buoni come loro! Oh! che verità che sublima il maestro e che condanna il suo traditore! Come? La bontà non disarma? Non rende il malvolere innocuo? No. Non lo rende tale, perché l’uomo caduto preda del Nemico è insensibile a tutto ciò che è superiore. E ogni superiore cosa cambia per lui aspetto. La bontà diviene debolezza che è lecito calpestare e acuisce il suo malvolere come acuisce la voglia di sgozzare, in una fiera, il sentire l’odore del sangue. Anche il maestro è sempre un innocente… e lascia che il suo traditore lo avveleni, perché non vuole e non può lasciar pensare agli altri che un uomo giunga ad essere micidiale a chi è innocente.
Nei discepoli, i campi del maestro, vengono i nemici. Sono tanti. Il primo è Satana. Gli altri i suoi servi, ossia gli uomini, le passioni, il mondo e la carne. Ecco, ecco il discepolo più facile ad essere percosso da essi perché non sta tutto presso al maestro, ma sta a cavaliere fra il maestro e il mondo. Non sa, non vuole separarsi tutto da ciò che è mondo, carne, passioni e demonio, per essere tutto di chi lo porta a Dio. Su questo spargono i loro semi e mondo e carne, e passioni e demonio. L’oro, il potere, la donna, l’orgoglio, la paura di un mal giudizio del mondo e lo spirito di utilitarismo. “I grandi sono i più forti. Ecco che io li servo per averli amici”. E si diventa delinquenti e dannati per queste misere cose!…
Perché il maestro, che vede l’imperfezione del discepolo, anche se non vuole arrendersi al pensiero: “Costui sarà il mio uccisore”, non lo estirpa subito dalle sue file? Questo voi vi chiedete.
Perché è inutile farlo. Se lo facesse non impedirebbe di averlo nemico, doppiamente e più sveltamente nemico per la rabbia o il dolore di essere scoperto o di essere cacciato. Dolore. Sì. Perché delle volte il cattivo discepolo non si avvede di essere tale. È tanto sottile l’opera demoniaca che egli non l’avverte. Si indemonia senza sospettare di essere soggetto a questa operazione. Rabbia. Sì. Rabbia per essere conosciuto per quello che è, quando egli non è incosciente del lavoro di Satana e dei suoi adepti: gli uomini che tentano il debole nelle sue debolezze per levare dal mondo il santo che li offende, nelle loro malvagità, con il paragone della sua bontà.
E allora il santo prega e si abbandona a Dio. “Ciò che Tu permetti si faccia, sia fatto”, dice. Solo aggiunge questa clausola: “purché serva al tuo fine”. Il santo sa che verrà l’ora in cui verranno espulsi dalle sue messi i logli malvagi. Da chi? Da Dio stesso, che non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore”.
“Ma se Tu ammetti che sempre è Satana, e gli adepti di lui… mi sembra che la responsabilità del discepolo scemi”, dice Matteo.
“Non te lo pensare. Se il Male esiste, esiste anche il Bene, ed esiste nell’uomo il discernimento e con esso la libertà”.
“Tu dici che Dio non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore. Dunque anche questo errore è utile, se Egli lo permette, e serve ad un trionfo di volontà divina”, dice l’Iscariota.
“E tu arguisci, come Matteo, che ciò giustifica il delitto del discepolo. Dio aveva creato il leone senza ferocia e il serpente senza veleno. Ora l’uno è feroce e l’altro è velenoso. Ma Dio li ha separati dall’uomo per ciò. Medita su questo e applica. Andiamo nella casa. Il sole è già forte, troppo. Come per inizio di temporale. E voi siete stanchi della notte insonne”.
“La casa ha la stanza alta, ampia e fresca. Potrete riposare”, dice Elia.
Salgono per la scala esterna. Ma solo gli apostoli si stendono sulle stuoie per riposare. Gesù esce sulla terrazza, ombreggiata in un angolo da un altissimo rovere, e si assorbe nei suoi pensieri.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 16 Luglio 2017, XV Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,1-23.
Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare.
Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare.
E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono.
Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo.
Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.
Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.
Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.
Chi ha orecchi intenda».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».
Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.
Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono.
E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice: Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani.
Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.
In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!
Voi dunque intendete la parabola del seminatore:
tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.
Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato.
Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto.
Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 179 pagina 152 - CD 3, traccia 20 
Mi dice Gesù mostrandomi il corso del Giordano, meglio, lo sbocco del Giordano nel lago di Tiberiade, là dove è stesa la città di Betsaida sulla riva destra del fiume, rispetto a chi guarda il nord: “Ora la città non sembra più sulle rive del lago, ma un poco in dentro nel retroterra. E ciò sconcerta gli studiosi. La spiegazione si deve cercare nell’interramento del lago da questa parte, dovuto a venti secoli di terriccio depositato dal fiume e ad alluvioni e frane scese dai colli di Betsaida. Allora la città era proprio all’imbocco del fiume nel lago, e anzi le barche più piccole, e nelle stagioni più ricche d’acque, risalivano per un buon tratto, fino a quasi l’altezza di Corozim, il fiume stesso, che serviva però sempre da porto e ricovero sulle sue rive alle barche di Betsaida nei giorni di burrasca del lago. Questo non per te, alla quale poco importa, ma per i dottori difficili. E ora va’ avanti”.
Le barche degli apostoli, fatto il breve tratto di lago che separa Cafarnao da Betsaida, ammarrano in questa città. Ma altre barche le hanno seguite e molti ne smontano unendosi subito a quelli di Betsaida venuti a salutare il Maestro, che entra nella casa di Pietro dove… è da capo la moglie, che suppongo abbia preferito la solitudine al vivere fra i continui lagni della madre verso suo marito.
La gente, fuori, reclama a gran voce il Maestro, cosa che fa inquietare non poco Pietro, che sale sulla terrazza e arringa cittadini o meno, dicendo che ci vuole rispetto ed educazione. Lui, il suo Maestro, se lo vorrebbe godere un poco in pace, ora che l’ha nella sua casa, e invece non ha tempo e soddisfazione di offrirgli neppure un poco di acqua e miele fra le molte cose che ha detto alla moglie di portare, e brontola.
Gesù lo guarda sorridendo e crolla il capo dicendo: “Sembra che tu non mi veda mai e che sia un caso essere insieme!”.
“Ma è così! Quando siamo per il mondo siamo forse io e Te? Nemmeno per sogno! Fra Te e me c’è il mondo coi suoi malati, coi suoi afflitti, coi suoi ascoltatori, coi suoi curiosi, coi suoi calunniatori, coi suoi nemici, e noi non siamo mai io e Te. Qui invece Tu sei con me, in casa mia, e dovrebbero capirlo!”. È proprio inquieto.
“Ma non vedo diversità, Simone. Il mio amore è uguale, la mia parola è la stessa. Che Io te la dica a te in privato, o che la dica per tutti, non è lo stesso?”.
Pietro confessa allora la sua grande pena: “È che io sono zuccone e mi distraggo con facilità. Quando Tu parli su una piazza, su un monte, fra tanta folla, io, non so perché, capisco tutto, ma poi non ricordo nulla. L’ho detto anche ai compagni e mi hanno dato ragione. Gli altri, voglio dire il popolo che ti ascolta, ti capisce e ricorda quello che dici. Quante volte abbiamo sentito confessare da uno: “Non ho più fatto questo perché Tu lo hai detto”, oppure: “Sono venuto perché una volta ti ho sentito dire quest’altro e mi ha ferito il pensiero”. Noi invece… uhm! è come un corso d’acqua che passa e non si ferma. La sponda non l’ha più quell’acqua che è passata. Ne viene dell’altra, sì, sempre altra, e sempre tanta. Ma passa, passa, passa… E io penso con terrore che, se come Tu dici sarà, che verrà il momento che Tu non sarai più a fare la parte del fiume e… e io… Che avrò da dare a chi ha sete, se non serbo neppure una goccia del tanto che mi dai?”.
Anche gli altri appoggiano i lamenti di Pietro, lamentandosi di non ritrovare mai niente di tutto quello che sentono, quando vorrebbero trovarlo per rispondere ai molti che li interrogano.
Gesù sorride e risponde: “Ma non mi pare. La gente è molto contenta anche di voi…”.
“Oh! sì! Per quello che facciamo! Farti largo, e dare delle gomitate per questo, portare i malati, raccogliere gli oboli, e dire: “Sì, il Maestro è quello!”. Bella roba, in verità!”.
“Non ti denigrare troppo, Simone”.
“Non mi denigro. Mi conosco”.
“È la più difficile delle sapienze. Ma Io ti voglio levare questa grande paura. Quando Io ho parlato, e voi non avete potuto tutto comprendere e ritenere, domandate senza timore di apparire noiosi o di sconfortarmi. Abbiamo sempre delle ore di intimità. In queste apritemi il cuore. Do tanto a tanti. E che non darei a voi che amo come più non potrebbe Iddio? Hai parlato di onda che va e nulla resta alla riva. Verrà un giorno in cui ti accorgerai che ogni onda ti ha deposto un seme, e che ogni seme ha fatto pianta. Ti troverai davanti fiori e piante per tutti i casi, ti stupirai di te stesso dicendo: “Ma che mi ha fatto il Signore?”, perché tu allora sarai redento dalla schiavitù del peccato e le tue virtù attuali si saranno perfezionate a grande altezza”.
“Tu lo dici, Signore, ed io mi riposo in questa tua parola”.
“Ora andiamo da chi ci attende. Venite. Pace a te, donna. Sarò tuo ospite questa sera”.
Escono e Gesù si dirige al lago per non essere oppresso dalla calca. Pietro è sollecito a staccare la barca di pochi metri dalla riva di modo che la voce di Gesù sia udita da tutti, ma che uno spazio sia fra Lui e gli ascoltatori.
“Da Cafarnao a qua Io ho pensato quale parola dirvi. E ho trovato indicazione nei fatti del mattino.
Voi avete visto tre uomini venire a Me. L’uno spontaneamente, l’altro perché da Me sollecitato, il terzo per subito entusiasmo. E avete anche visto che, di questi, due soli Io ne ho presi. Perché? Ho forse visto nel terzo un traditore? No, in verità. Ma un impreparato. All’apparenza pareva più impreparato questo che ora è al mio fianco, diretto prima a seppellire suo padre. Invece il più impreparato era il terzo. Questo era tanto preparato, a sua stessa insaputa, che ha saputo compiere un ben eroico sacrificio.
L’eroismo nel seguire Iddio è sempre prova di forte preparazione spirituale. Questo spiega certi sorprendenti fatti che avvengono intorno a Me. I più preparati a ricevere il Cristo, quale che sia la loro casta e la loro cultura, vengono a Me con una prontezza e una fede assoluta. I meno preparati mi osservano come un uomo che esce dal consueto, oppure mi studiano con diffidenza e curiosità, oppure ancora mi attaccano e mi denigrano accusandomi in vari modi. Le diverse maniere di agire sono in proporzione della impreparazione degli spiriti.
Nel popolo eletto si dovrebbero trovare da per tutto spiriti pronti a ricevere questo Messia nella cui attesa si sono consumati d’ansia i Patriarchi e i Profeti, questo Messia venuto finalmente, preceduto e accompagnato da tutti i segni profetizzati, questo Messia la cui figura spirituale si delinea sempre più chiara attraverso i miracoli visibili sulle membra e sugli elementi, e i miracoli invisibili sulle coscienze che si convertono e sui gentili che si volgono al Dio vero. Invece così non è. E la prontezza nel seguire il Messia è fortemente ostacolata proprio nei figli di questo popolo e, doloroso a dirsi, lo è tanto più quanto più si sale nelle classi più alte di esso. Non dico questo per scandalizzarvi. È per indurvi a pregare ed a riflettere.
Perché avviene questo? Perché i gentili e i peccatori fanno più strada sulla via mia? Perché essi accolgono quanto Io dico, e gli altri no? Perché i figli d’Israele sono ancorati, anzi, sono incrostati come ostriche perlifere al banco su cui sono nate. Perché sono saturati, ricolmati, obesi della loro sapienza, e non sanno fare largo alla mia col gettare il superfluo per fare posto al necessario. Gli altri non hanno questa schiavitù. Sono poveri pagani, o poveri peccatori, disancorati come nave alla deriva, sono dei poveri che non hanno tesori propri ma solo fardelli di errori o di peccati, dei quali si spogliano con gioia non appena riescono a comprendere cosa è la Buona Novella e sentono il suo miele corroborante ben diverso dal disgustoso miscuglio dei loro peccati.
Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera.
Un seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri erano un suo acquisto, li aveva comperati così come erano da un negligente e tali li aveva lasciati. Altri ancora erano stati intersecati da strade, perché l’uomo era un grande comodista e non voleva fare molta strada per andare da un luogo all’altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.
L’uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di polvere arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove l’inettitudine dell’uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose. Ora l’aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c’erano, perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante, impedisce il loro rinascere. L’ultimo seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul quale non avevano presa le tenere radici. E poi, sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: “Oh! bene! Ora non c’è che da attendere la raccolta”.
E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e crescere… oh! che soffice tappeto! e spighire… oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l’osanna al sole. L’uomo diceva: “Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pane! Quanto oro!”. E si beava… Segò il grano dei campi più vicini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile. Ma la sua stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spinose, travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le quali il grano non aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.
L’uomo disse: “Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio”. E passò ai campi di recente acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate, foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco. “Ma come? Ma come?”, gemeva l’uomo. “Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e bello. Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza fare spiga?”. E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne erano. Ma quanti, quanti sassi! Una petraia! I campi erano letteralmente selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito l’aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile il rammarichìo.
L’uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per sua comodità… E si strappò le vesti dal dolore. Qui non c’era nulla, assolutamente nulla… La terra scura del campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca… L’uomo si accasciò al suolo gemendo: “Ma qui perché? Qui non spine e non sassi perché questi sono campi nostri. L’avo, il padre, io, li abbiamo sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterile così…”. Piangeva ancora quando ebbe risposta al suo dolore da un fitto sciame d’uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi… Il campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all’ultimo chicco.
Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla. Chi ha orecchie da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace sia con voi”.
E poi, rivolgendosi a Pietro, dice: “Risali finché puoi e poi ammarra dall’altro lato”.
E mentre le due barche fanno poca via sul fiume per poi fermarsi presso la sponda, Gesù si siede chiedendo al discepolo novello: “Chi resta, ora, a casa tua?”.
“Mia madre col fratello maggiore, sposato da cinque anni. Le sorelle sono sparse per la regione. Mio padre era molto buono. E mia madre lo piange desolatamente”. Il giovane si arresta bruscamente, perché sente che un singhiozzo gli monta dal cuore.
Gesù lo afferra per una mano e dice: “Ho conosciuto Io pure questo dolore ed ho visto piangere mia Madre. Ti capisco perciò…”.
Lo sfregare della barca sul greto fa sì che il discorso si interrompa per permettere di scendere a terra. Qui non sono più i colli bassi di Betsaida che quasi tuffano il muso nel lago, ma una pianura ricca di messi si stende da questa sponda, opposta a Betsaida, verso il nord.
“Andiamo a Meron?”, chiede Pietro.
“No. Prendiamo questo sentiero fra i campi”.
I campi, belli e ben tenuti, mostrano le spighe ancora tenere ma già formate; tutte alla stessa altezza, e col lieve ondeggiare che imprime loro il vento fresco che viene dal nord, sembrano un altro piccolo lago al quale fanno da vele gli alberi che si drizzano qua e là, pieni di zirli d’uccelli.
“Questi campi non sono come quelli della parabola”, osserva il cugino Giacomo.
“No, davvero! Gli uccelli non li hanno devastati, non ci sono spine e non sassi. Un bel grano! Fra un mese sarà già biondo… e fra due sarà pronto alla falce e al granaio”, dice Giuda Iscariota.
“Maestro… io ti ricordo ciò che hai detto in casa mia. Tu hai parlato tanto bene. Ma io comincio ad avere nella testa delle nuvole scompigliate come quelle lassù…”, dice Pietro.
“Questa sera te lo spiegherò. Ora siamo in vista di Corozim”. E Gesù guarda fisso il neo discepolo, dicendo: “A chi dà è dato. E l’avere non leva il merito del donativo. Conducimi al sepolcro vostro e alla casa di tua madre”.
Il giovane si inginocchia baciando fra le lacrime la mano di Gesù.
“Alzati. Andiamo. Il mio spirito ha sentito il tuo pianto. Voglio fortificarti nell’eroismo con il mio amore”.
“Mi aveva raccontato Isacco l’Adulto quanto Tu eri buono. Isacco, sai? Quello al quale Tu hai risanato la figlia. È stato il mio apostolo. Ma vedo che la tua bontà è ancora più grande di quanto mi era stato detto”.
“Saluteremo anche l’Adulto per ringraziarlo di avermi dato un discepolo”.
Corozim è raggiunta ed è proprio la casa di Isacco la prima che si trova. Il vecchio, che sta tornando in casa, quando vede il gruppo di Gesù coi suoi, e fra essi il giovane di Corozim, alza le braccia, col suo bastoncello in mano, e resta senza fiato, a bocca aperta. Gesù sorride e il suo sorriso rende voce al vecchione.
“Dio ti benedica, Maestro! Ma come a me quest’onore?”.
“Per dirti “grazie””.
“Ma di che, mio Dio? Io devo dirtela questa parola. Entra, entra. Oh! che dolore che mia figlia sia lontana per assistere la suocera! Perché si è sposata, lo sai? Tutte le benedizioni dopo che ti ho incontrato! Lei guarita, e subito dopo quel ricco parente tornato da lontano, vedovo, con quei piccoli bisognosi di una madre… Oh! ma te le ho già dette queste cose! La mia testa è vecchia! Perdona”.
“La tua testa è saggia e dimentica anche di gloriarsi del bene che fa per il suo Maestro. Dimenticarsi del bene fatto è saggezza. Dimostra umiltà e fiducia in Dio”.
“Ma io… non saprei…”.
“E questo discepolo non l’ho per te?”.
“Oh!… Ma non ho fatto nulla, sai? Solo ho detto la verità… e sono contento che Elia sia con Te”. Si volge a questo Elia e dice: “Tua madre, dopo il primo momento di stupore, ebbe rasciugato il pianto nel saperti del Maestro. Tuo padre ebbe un degno cordoglio, però. Da poco è nel sepolcro”.
“E mio fratello?”.
“Tace… Sai… gli è stato un po’ duro vederti assente… per il paese… Lui pensa ancora così…”.
Il giovane si volge a Gesù: “Tu lo hai detto. Ma io non vorrei che egli fosse morto… Fa’ che divenga vivo come me, e al tuo servizio”.
Gli altri non capiscono e guardano interrogativamente, ma Gesù risponde: “Non disperare e persevera”. Poi benedice Isacco e se ne va, nonostante ogni pressione.
Sostano prima presso il sepolcro chiuso e pregano. Poi, attraverso un vigneto ancora semispoglio, vanno alla casa di Elia.
L’incontro fra fratelli è piuttosto sostenuto. Il maggiore si sente offeso e lo vuole far rilevare. Il minore si sente umanamente colpevole e non reagisce. Ma l’arrivo della madre, che senza parole si prostra e bacia l’orlo della veste di Gesù, rasserena l’ambiente e gli animi. Tanto che si vuole fare onore al Maestro.
Il quale però non accetta nulla, ma solo dice: “Siano giusti i vostri cuori, l’uno verso l’altro, come giusto era colui che piangete. Non date impronta umana al sovrumano: la morte e l’elezione ad una missione. L’anima del giusto non si è agitata nel vedere che il figlio mancava alla sepoltura del suo cadavere. Ma si è anzi messa quieta, nella sicurezza sul futuro del suo Elia. Il pensiero del mondo non turbi la grazia dell’elezione. Se il mondo ha potuto stupire di non vedere costui presso il feretro paterno, gli angeli hanno esultato nel vederlo a fianco del Messia. Siate giusti. E tu, madre, sii consolata da questo. Hai educato con saggezza, e tuo figlio è stato chiamato dalla Sapienza. Vi benedico tutti. La pace sia con voi ora e sempre”.
Tornano sulla via che riprendono per andare al fiume e da qui a Betsaida. L’uomo, Elia, neppure si è attardato un istante sulla soglia paterna. Dopo il bacio di addio alla madre ha seguito il Maestro con la semplicità con cui un bambino segue il suo vero padre.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 9 luglio 2017, XIV Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11, 25-30.
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 268 pagina 292 - CD 4, traccia 43 
(...) 3Giungono a Cafarnao quando gli apostoli sono già arrivati. Seduti sul terrazzo, all’ombra della pergola, intorno a Matteo, narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano al lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda di Gesù emergere sempre più dal muretto della terrazza. Corrono a Lui che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è un povero bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di lino candido - resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello rosso fiamma di lino tinto, così lucido da parer seta, appena appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal copricapo di bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa dandogli quasi un’aria da re egizio - trattiene una valanga di domande che gli occhi però esprimono ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?» accennando al bambino.
«E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo come il grande Giuseppe che mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti faccio conoscere questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon Pietro, l’uomo più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un grande fanciullo che ti parlerà di Dio anche giocando. E questo è Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E questo è Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui perché è mite come un agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama tanto i bambini senza padre che credo girerebbe tutta la terra, se non fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui  Giuda di Simone e con lui Filippo di Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini anche loro ed amano i bambini. E questi sono i miei fratelli Giacomo e Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno. Ora andiamo noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i bambini che, giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce aguzza. Non è vero, Matteo?».
«Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
«Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
«Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui» e Matteo lo carezza attirandoselo con una mano vicino.
Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa offrendo al bimbo un grappolo d’uva staccata dalla pergola.
«Ora siete amici» conclude Gesù, sedendo di nuovo mentre il bambino succhia la sua uva rispondendo a Matteo, che se lo tiene vicino.
4«Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
«A Corozim, Simone di Giona».
«Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
«Isacco l’Adulto è morto».
«E allora?».
«Non te lo ha detto Matteo?».
«No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
«Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere, e tu non sai frenare a tua curiosità».
«Non la mia, quella di tutti».
«Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
«La carità in atto? Che vuoi dire?» chiedono in molti.
«A Corozim c’è una vedova con cinque bambini ed una vecchia malata. L’uomo è morto all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro di sé miseria e lavori incompiuti. Corozim non ha saputo trovare un briciolo di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori e…».
Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi brontola Matteo per averlo permesso, chi ammira e chi critica. E, purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e per tutta risposta dice:
«E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi comprendiate.  5Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col germe.
Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto le mani, ma per capire la parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive, per esempio. Sono astucci serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano scrigni magici che solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi viene gettato nella terra, anche semplicemente a terra e il passante lo affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che avviene? Che il forziere si apre e fa radici e foglie.  Come avviene da sé? Noi dobbiamo battere molto col martello per riuscirvi e invece, senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme? No. Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio! Eppure, essa nutre una ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici. Provate a seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono, altri no. Estraete quelli che non sono nati. Apriteli col martello e vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del suolo né il calore quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della polpa, il germe che, gonfiando fa da leva e apre.
6Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco da non comprendere che l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre detto Io? “Amatevi gli uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E Io, che predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un maestro menzognero? No, mai!
Oh! amici miei. Il nostro corpo è il nòcciolo duro; nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in essa è il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il principale è la carità. Essa è che fa da leva per schiudere il nòcciolo e liberare lo spirito dalle costrizioni della materia ricongiungendolo a Dio, che Carità è.
La carità non si fa solo di parole o di denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno scherzo di parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso. Qui vi erano sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La disperazione avanzava le sue branche nere per ghermire ed affogare. Il mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha evangelizzato con le opere. Io avevo capacità e libertà di farlo. E avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini che il mondo disama. Io ho fatto tutto questo.
Potete criticarmi ancora? O devo essere Io che - alla presenza di un discepolo che non si è scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per non abbandonare il Maestro e che, ne sono convinto, si sarà fatto più persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non sarebbe stato persuaso vedendomi in trino, e di un bambino che a sentito Me per quello che sono, nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde, e la sua assoluta verginità di conoscenza col Messia quale esso è in realtà - o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi mortificate soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E per amore lo faccio. Ma mettete in voi il germe che santifica e apre il nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili.
Quello che Io ho fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per portare a Dio un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale esso sia, non mai umiliante. Mentre umilianti sono le azioni basse, le falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi, le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno senza vergognarsene, anche da parte di quelli che vogliono dirsi perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di sega e di martello.
Oh! Oh! Il martello! L’indegno martello, se è per mettere chiodi in un legno a formare un oggetto atto a dar da mangiare a degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile se nelle mie mani e per fine santo, come non apparirà più tale, e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità, come sei tenebra e menzogna!
Ma voi, voi almeno, comprendete cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi dico che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi circondano».
«No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».
«È perché non avete ancora capito nulla. 7Vi ho parlato della fede e della speranza, e credevo che non necessitasse parola novella per parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste esserne saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e la forma. Così come conoscete la luna.
Vi ricordate quando ho detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono della salvezza? Si? Ma non avete compreso le mie parole nel loro significato. E perché non me ne avete chiesto la spiegazione? Ve la do Io. È giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto il peso delle verità eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il suo orgoglio, che vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto, che egli può nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e Dio è eternità che eleva la polvere a superiore grado, dandogli premio di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per raggiungere la Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza verso il Cielo la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la lezione: se manca la carità, il trono è senza luce, e il corpo, schiodato da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla così gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile anche la fede perché, staccati da due delle tre teologali virtù, si cade in languore e in gelo mortale.
Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo per orgoglio pagano.
8La mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio che rompe la scorza dura per liberarne lo spirito. È un giogo ed è un maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza che dànno tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi se ne fa colpire non sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità ha dolori e fatiche, superiori alle forze umane talora. Dal bambino come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che lo fa piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la spensieratezza alla sua mente che, sempre umanamente parlando, non sarà perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla tomba con tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga vita. Ma nella mia dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E chi l’accetta e l’ubbidisce sarà beato dalla terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le virtù a rendergli facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade accese ne rischiarano la via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando, piegando in pace il corpo stanco sulla terra, si risveglia in Paradiso.
Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi, disgustati, disperati, quando potete essere sollevati e confortati? Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia di un bambino potete solo avere ilare solerzia, luminosa facilità a compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che sorregge sul cammino, indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi e i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li conosca e non vi pericoli?
9Voi ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben miserabile! Voi siete desolati prima della mia umiltà come di un delitto contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di avermi addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi questa seconda desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita dalla constatazione di essere ancora nulla, mentre per orgoglio vorreste essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volenterosa di accettare il rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor vostro di volere la perfezione per un fine sopraumano. E poi venite a Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.
Venite a Me, voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori materiali, per dolori morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati dal dolore di non sapervi santificare come vorreste per amore di Dio e con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è lunga e misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che procede fra le tenebre, col sapore del tossico in bocca, e crede di non procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche questa cecità spirituale è un elemento di perfezione.
Beati quelli, tre volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e di dolcezze e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà delizie io non procedo”. Io ve lo dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso aprendosi su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le cose umane, si muterà in dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta dolcezza e letizia?” Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla terra di ciò che è il Cielo.
Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi, tutti gli uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della terra, che si sfiniscono da soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la mia dottrina come fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a bandirla ma fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore. Troverete il riposo delle vostre anime, perché mitezza ed umiltà concedono il regno sulla terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con l’amore, e l’amore è sempre mite e umile. Io non vi darei mai da fare delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio con Me nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e sforzatevi ad essere simili a Me e quali la mia dottrina insegna. Non abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è leggero, mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli. Infinita ed eterna…
10Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi spezzeremo il pane insieme. Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/