"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 26 Febbraio 2012, I Domenica di Quaresima - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,12-15.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.
Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: "Sei solo?"
Gesù lo guarda e non risponde.
"Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?"
Gesù lo guarda da capo e tace.
"Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò."
Gesù non alza più neppure gli occhi.
"Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni".
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
"Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te."
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
"Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: "Voglio", perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa..."
"Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’."
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
"Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!"
" ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto".
"Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!".
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: "Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!".
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.
Dice Gesù:
"Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem" e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 19 Febbraio 2012, VII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 2,1-12.
Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 64 pagina 392.
Vedo le rive del lago di Genezaret. E vedo le barche dei pescatori tratte a riva; sulla riva e addossati ad esse, sono Pietro e Andrea, intenti a rassettare le reti che i garzoni portano loro stillanti dopo averle sciacquate nel lago dai detriti rimasti impigliati in esse. Ad una distanza di un dieci metri Giovanni e Giacomo, curvi sulla barca loro, sono intenti a mettere ordine nella stessa, aiutati da un garzone e da un uomo sui cinquanta o cinquantacinque anni, che penso essere Zebedeo, perché il garzone lo chiama ‘padrone’ e perché è somigliantissimo a Giacomo. Pietro e Andrea, con le spalle alla barca, lavorano silenziosi a riannodare fili e i sugheri di segnale. Solo ogni tanto scambiano qualche parola circa il loro lavoro che, a quel che capisco, è stato infruttuoso.Pietro se ne rammarica non per la borsa vuota né per la fatica inutile, ma dice: “Mi spiace perché... come faremo a dare un cibo a quei poverelli? A noi non vengono che rade offerte, e quei dieci denari e sette dramme che abbiamo raccolto in questi quattro giorni io non le tocco. Solo il Maestro mi deve indicare a chi e come vanno date quelle monete. E fino a sabato Egli non torna! Se avevo fatto buona pesca!... Il pesce più minuto me lo cucinavo e lo davo a quei poveri... e se c’era chi brontolava in casa non me ne faceva niente. I sani possono andare a cercarlo. Ma i malati!...” “Quel paralitico, poi!... Hanno già fatto tanta strada per portarlo fin qui...” dice Andrea. “Senti, fratello. Io penso... che non si può stare divisi e non so perché il Maestro non ci voglia sempre con Lui. Almeno... non vedrei più questi poverini che non posso soccorrere e, quando li vedessi, potrei dire loro: “Egli è qui”. “Qui sono!” Gesù si è avvicinato camminando piano sulla rena molle. Pietro e Andrea fanno un balzo. Hanno un grido: “Oh! Maestro! e chiamano: “Giacomo! Giovanni! Il Maestro! Venite!” I due accorrono. E tutti si stringono a Gesù. Chi gli bacia la veste e chi le mani, e Giovanni osa passargli un braccio intorno alla vita e posargli il capo sul petto. Gesù lo bacia sui capelli. “Di che parlavate?” “Maestro... dicevamo che ti avremmo voluto.” “Perché, amici?” “Per vederti e amarti vedendoti, e poi per dei poveri e malati. Ti attendono da due e più giorni... Io ho fatto quello che potevo. Li ho messi là, vedi quel capanno in quel campo incolto? Là gli artieri della barca lavorano alle riparazioni. Vi ho messi in ricovero un paralitico, un che ha grande febbre e un bambino che muore sul seno della madre. Non potevo mandarli alla tua ricerca.” “Hai fatto bene. Ma come hai potuto soccorrere loro e chi li ha condotti? Mi hai detto che sono poveri!” “Certo, Maestro. I ricchi hanno carri e cavalli. I poveri, le gambe solo. Non possono venirti dietro solleciti. Ho fatto come ho potuto. Guarda: questo è l’obolo che ho avuto. Ma non ne ho toccato un solo picciolo. Tu lo farai.” “Pietro, tu potevi farlo lo stesso. Certo... Pietro mio, mi spiace che per Me tu abbia rimproveri e fatiche.” “No, Signore. Non devi spiacerti di questo. Io non ne ho dolore. Solo di non aver potuto avere maggiore carità mi spiace. Ma credi, ho fatto, tutti abbiamo fatto quanto abbiamo potuto.” “Lo so. So che hai lavorato e senza scopo. Ma se non c’è cibo, la carità tua resta: viva, attiva, santa agli occhi di Dio.” Dei bambini sono accorsi gridando: “C’è il Maestro! C’è il Maestro! Ecco Gesù, ecco Gesù!” e si stringono a Lui che li carezza pur parlando coi discepoli. “Simone, entro nella tua casa. Tu e voi andate a dire che Io sono venuto e poi portatemi i malati.” I discepoli vanno rapidi in direzioni diverse. Ma che Gesù sia giunto tutta Cafarnao lo sa, per merito dei piccini che paiono api sciamanti dall’alveare ai diversi fiori: le case, in questo caso, le vie, le piazze. Vanno, vengono, festosi, portando l’annuncio alle mamme, ai passeggeri, ai ricchi seduti al sole, e poi tornano a farsi accarezzare ancora da Colui che li ama, e uno, audace, dice: “Parla a noi, per noi, Gesù, oggi. Ti vogliamo bene, sai, e siamo meglio degli uomini.” Gesù sorride al piccolo psicologo e promette: “Parlerò proprio a voi”. E seguito dai piccoli va alla casa ed entra salutando col suo saluto di pace: “La pace sia a questa casa.” La gente si affolla nello stanzone posteriore adibito alle reti, canapi, ceste, remi, vele e provviste. Si vede che Pietro l’ha messo a disposizione di Gesù, ammucchiando tutto in un angolo per fare posto. Il lago non si vede da qui. Se ne ode il solito fiotto lento. E si vede invece solo il muretto verdastro dell’orto, dalla vecchia vite e dal fico fronzuto. Gente è persino nella strada, traboccando dalla stanza nell’orto, e da questo alla via.Gesù comincia a parlare. In prima fila - si sono fati largo con prepotenza di gesto e in grazia del timore che la folla popolana ha di loro - sono cinque persone... altolocate. Paludamenti, ricchezza di vesti e superbia li denunciano per farisei e dottori. Gesù però vuole avere intorno i suoi piccoli. Una corona di visetti innocenti, di occhi luminosi, di sorrisi angelici, alzati a guardare Lui. Gesù parla, e nel parlare carezza di tanto in tanto la testolina ricciuta di un bambinello che gli si è seduto ai piedi e che gli tiene la testa appoggiata sulle ginocchia, sul braccino ripiegato. Gesù parla seduto su un gran mucchio di ceste e reti. “Il mio diletto è disceso nel suo giardino, all’aiuola degli aromi, a pascersi tra i giardini e a cogliere gigli... egli che si pasce fra i gigli’, dice Salomone di Davide da cui vengo, Io, il Messia d’Israele. Il mio giardino! Quale giardino più bello e più degno di Dio, del Cielo dove sono fiori gli angeli creati dal Padre? Eppure no. Un altro giardino ha voluto il Figlio unigenito del Padre, il Figlio dell’uomo perché per l’uomo Io ho carne, senza la quale non potrei redimere le colpe della carne dell’uomo. Un giardino che avrebbe potuto essere di poco inferiore al celeste, se dal Paradiso terrestre si fossero effusi, come dolci api da un’arnia, i figli di Adamo, i figli di Dio, per popolare la terra di santità destinata tutta al Cielo. Ma triboli e spine ha seminato il Nemico nel cuore di Adamo, e triboli e spine da esso cuore sono traboccati sulla terra. Non più giardino, ma selva aspra e crudele in cui stagna la febbre e si annida il serpe. Ma pure il Diletto del Padre ha ancora un giardino in questa terra su cui impera Mammona. Il giardino in cui va a pascersi del suo cibo celeste: amore e purezza; l’aiuola da cui coglie fiori a Lui cari, in cui non è macchia di senso, di cupidigia, di superbia. Questi. (Gesù carezza quanto più piccoli può, passando la sua mano sulla corona di testoline attente, un’unica carezza che li sfiora e fa sorridere di gioia). Ecco i miei gigli. Non ebbe Salomone, nella sua ricchezza, veste più bella del giglio che profuma la convalle, né diadema di più aerea e splendida grazia di quello che ha il giglio nel suo calice di perla. Eppure al mio cuore non vi è giglio che valga un di questi. Non vi è aiuola, non vi è giardino di ricchi, tutto a gigli coltivato, che mi valga quanto un sol di questi puri, innocenti, sinceri, semplici pargoli.. O uomini, o donne d’Israele! O voi, grandi ed umili per censo e per carica, udite! Voi qui siete per volermi conoscere e amare. Or dunque sappiate la condizione prima per essere miei. Io non vi dico parole difficili. Non vi do esempi più difficili ancora. Vi dico: ‘Prendete questi ad esempio’. Quale fra voi che non abbia un figlio, un nipote, un piccolo fratello nella puerizia, nella fanciullezza, per casa? Non è un riposo, un conforto, un legame tra sposi, fra parenti, fra amici, un di questi innocenti, la cui anima è pura come alba serena, il cui viso fuga le nubi e mette speranze, e le cui carezze asciugano le lacrime e infondono forza di vita? Perché in loro tanto potere? In loro: deboli, inermi, ignoranti ancora? Perché hanno in sé Dio, hanno la forza e la sapienza di Dio. La vera sapienza: sanno amare e credere. Sanno credere e volere. Sonno vivere in questo amore e in questa fede. Siate come essi: semplici, puri, amorosi, sinceri, credenti. Non vi è sapiente in Israele che sia maggiore al più piccolo di questi, la cui anima è di Dio e di essa è il suo Regno. Benedetti dal Padre, amati dal Figlio del Padre, fiori del mio giardino, la mia pace sia su di voi e su coloro che vi imiteranno per mio amore.” Gesù ha finito. “Maestro” grida Pietro di fra la calca “qui vi sono i malti. Due possono attendere che Tu esca, ma questo è pigiato fra la folla e poi... non può più stare. E passare non possiamo. Lo rimando?” “No. Calatelo dal tetto.”“Dici bene. Lo facciamo subito.”Si sente scalpicciare sul tetto basso dello stanzone che, non essendo vera parte della casa, non ha sopra la terrazza cementata, ma solo un tettuccio di fascine coperte da scaglie simili a lavagna. Non so che pietra fosse. Si forma un’apertura, e a mezzo di corde viene calata la barellina su cui è l’infermo. Viene proprio calata davanti a Gesù. La gente si aggruppa più ancora per vedere. “Hai avuto gran fede e con te chi ti ha portato!” “Oh! Signore! Come non averla in Te?” “Orbene, Io ti dico: figlio (l’uomo è molto giovane), ti sono rimessi tutti i tuoi peccati.”L’uomo lo guarda piangendo... Forse resta un poco male perché sperava di guarire nel corpo. I farisei e i dottori bisbigliano fra loro arricciando naso, fronte e bocca con sdegno.“Perché mormorate, più ancora nel cuore che sul labbro? Secondo voi è più facile dire al paralitico: ‘Ti sono rimessi i tuoi peccati’, oppure: ‘Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina’? Voi pensate che solo Dio può rimettere i peccati. Ma non sapete rispondere quale è la più grande cosa, perché costui, perduto in tutto il corpo, ha speso sostanze senza poter essere sanato. Non lo può se non da Dio. Or perché sappiate che tutto Io posso, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere sulla carne e sull’anima, sulla terra e nel Cielo, Io dico a costui: ‘Alzati. Prendi il tuo letto e cammina. Va’ a casa tua e sii santo’ ”. L’uomo ha una scossa, un grido, si alza in piedi, si getta ai piedi di Gesù, li bacia e carezza, piange e ride e con lui i parenti e la folla, che poi si divide per farlo passare come in trionfo e lo segue festante. La folla, non i cinque astiosi che se ne vanno tronfi e duri come pioli.Così può entrare la madre col piccino: un bambino ancora lattante, scheletrito. Lo tende, dice solo: “Gesù, Tu li ami, questi. Lo hai detto. Per questo amore e per tua Madre!...” e piange.Gesù prende il poppante, proprio moribondo, se lo pone contro il cuore, se lo tiene un momento col visuccio cereo dalle labbruzze violacee e le palpebre già calate, contro la bocca. Un momento lo tiene così... e quando lo stacca dalla sua barba bionda, il visetto è roseo, la bocchina fa un incerto sorriso d’infante, gli occhietti guardano intorno vispi e curiosi, le manine, prima serrate e abbandonate, annaspano fra i capelli e la barba di Gesù. che ride. “Oh! figlio mio!” grida la mamma beata. “Prendi, donna. Sii felice e buona.” E la donna prende il rinato e se lo stringe al seno, e il piccolo reclama subito i suoi diritti di cibo, fruga, apre, trova e poppa, poppa, poppa, avido e felice.Gesù benedice e passa. Va sulla soglia dove è il malato di gran febbre. “Maestro! Sii buono!” “E tu pure. Usa la salute nella giustizia.” Lo carezza ed esce. Torna sulla riva, seguito, preceduto, benedetto da molti che supplicano: “Noi non ti abbiamo udito. Non potevamo entrare. Parla a noi pure.” Gesù fa cenno di sì e, siccome la folla lo stringe sino a soffocarlo, monta sulla barca di Pietro. Non basta. L’assedio è incalzante. “Metti la barca in mare e scostati alquanto”. La visione cessa qui.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 12 Febbraio 2012, VI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,40-45.
Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 63 pagina 386.
Con una precisione da fotografia perfetta ho davanti alla vista spirituale, da stamane prima ancora che fosse l’alba, un povero lebbroso. Questo è veramente un rudere di uomo. Non saprei dire che età ha, tanto è devastato dal male. Scheletrito, seminudo, mostra il suo corpo ridotto ad uno stato da mummia corrosa, dalle mani e dai piedi contorti e mancanti di parti, di modo che quelle povere estremità non paiono più neppur di uomo. Le mani, artigliate e contorte, hanno della zampa di qualche mostro alato, i piedi paiono quasi zoccoli di bove, tanto sono mozzi e sfigurati. La testa poi!... Io credo che uno rimasto insepolto, e che divenga mummificato dal sole e dal vento, sia simile nel capo a questo capo. Pochi superstiti ciuffetti di capelli, sparsi qua e là, appiccicati alla cute giallastra e crostosa come per polvere seccata su un teschio, occhi appena socchiusi e incavatissimi, labbra e naso sbocconcellati dal male mostrano già le cartilagini e le gengive, le orecchie sono due embrionali ruderi di padiglione, e su tutto è stesa una pelle incartapecorita, gialla come certi caolini, sotto la quale sbucano le ossa. Pare abbia ufficio di tenere radunate queste povere ossa entro il suo lurido sacco, tutto frinzelli di cicatrici o lacerazioni di piaghe putride. Una rovina! Penso proprio ad una Morte che sia vagante per la terra e ricoperta da una pelle incartapecorita sullo scheletro, avvolta in un lurido manto tutto a brandelli, e avente in mano non la falce, ma un nodoso bastone, certo strappato a qualche albero. E’ sulla soglia di una spelonca fuori mano, una vera spelonca, tanto diruta che non posso dire se in origine era un sepolcro, o un capanno per boscaioli, o l’avanzo di qualche casa distrutta. Guarda verso la via, lontana un cento e più metri dal suo antro, una via maestra, polverosa e ancora piena di sole. Nessuno è sulla via. A perdita d’occhio, sole, polvere e solitudine sulla via. Molto più su, a nord-ovest, vi deve essere un paese o città. Vedo le prime case. Sarà lontana almeno un chilometro. Il lebbroso guarda e sospira. Poi prende una ciotola sbocconcellata e la riempie ad un rigagnolo. Beve. Si addentra in un groviglio di rovi, dietro all’antro, si curva, strappa al suolo dei radicchi selvatici. Torna al rigagnolo, li monda dalla polvere più grossa con l’acqua scarsa del rio e se li mangia piano, portandoli a fatica alla bocca con le mani rovinate. Devono esser duri come stecchi. Tenta a masticarli e molti li sputa senza poterli inghiottire, nonostante cerchi di aiutarsi bevendo sorsi d’acqua. “Dove sei, Abele?” grida una voce. Il lebbroso si scuote, ha un che sulle labbra che potrebbe essere un sorriso. Ma sono così mal ridotte, quelle labbra, che è informe anche questa larva di sorriso. Risponde con una voce stana, stridula (mi fa pensare al grido di certi pennuti di cui ignoro l’esatto nome): “Qui sono! Non credevo più che tu venissi. Pensavo ti fosse accaduto del male, ero triste... Se mi manchi anche tu, cosa resta al povero Abele?”. Nel dire così cammina verso la via, finché può secondo la Legge, si vede, perché a mezza distanza si ferma. Sulla via viene avanti un uomo che quasi corre, tanto va lesto. “Ma sei proprio tu, Samuele? Oh! se non sei tu che attendo, chiunque tu sia, non farmi del male!” “Sono io, Abele, proprio io. E sano. Guarda come corro. Sono in ritardo, lo so. E ne avevo pena per te. Ma quando saprai... oh! tu sarai felice. E qui ho non solo i soliti tozzi di pane. Ma una intera pagnotta fresca e buona, tutta per te, e ho anche del buon pesce e un formaggio. Tutto per te. Voglio tu faccia festa, mio povero amico, per prepararti alla festa più grande.” “Ma come sei tanto ricco? Io non capisco..” “Ora ti dirò.” “E sano. Non sembri più tu.” “Senti, dunque. Ho saputo che a Cafarnao era quel Rabbi che è santo, e sono andato...” “Fermati, fermati! Sono infetto!” “Oh! non importa! Non ho più paura di niente.” L’uomo, che non è altro che il povero rattratto guarito e beneficato da Gesù nell'orto di Pietro, è infatti giunto col suo passo veloce a pochi passi dal lebbroso. Ha parlato camminando e ridendo felice. Ma il lebbroso dice ancora: “Fermati, in nome di Dio. Se ti vede qualcuno...” “Mi fermo. Guarda: metto qui le provviste. Mangia mentre io parlo.” Pone su un grosso sasso un fagottello e lo apre. Poi si ritrae di qualche passo, mentre il lebbroso si avanza e si getta sul cibo inusitato. “Oh! quanto è che non mangiavo così! Come è buono! E pensare che sarei andato al riposo a stomaco vuoto. Non un pietoso, oggi... e tu neppure... Mi ero masticato dei radicchi....” “Povero Abele! Lo pensavo. Ma dicevo: ‘Bene. Ora sarà triste. Ma poi sarà felice!” “Felice, sì, per questo buon cibo. Ma poi...” “No! Sarai felice per sempre.” Il lebbroso scuote il capo. “Senti, Abele. Se tu puoi avere fede, sarai felice.” “Ma fede in chi?” “Nel Rabbi. Nel Rabbi che ha guarito me.” “Ma io sono lebbroso e all’ultimo punto! Come può guarirmi?” “Oh! lo può. E’ santo.” “Sì, anche Eliseo guarì Naaman il lebbroso... Lo so... Ma io... Io non posso andare al Giordano.” “Tu sarai guarito senza bisogno d’acqua. Ascolta: questo Rabbi è il Messia, capisci? Il Messia! Il Figlio di Dio, è. E guarisce tutti quelli che hanno fede. Dice: ‘Voglio’ e i demoni scappano, e le membra si raddrizzano, e gli occhi ciechi vedono.” “Oh! se avrei fede io! Ma come posso vedere il Messia?” “Ecco... sono venuto per questo. Egli è là, in quel paese. So dove è questa sera. Se vuoi... Io ho detto: ‘Lo dico ad Abele, e se Abele sente di aver fede lo conduco al Maestro’.” “Sei pazzo, Samuele? Se mi avvicino alle case sarò lapidato”. “Non nelle case. La sera sta per scendere. Ti condurrò sino a quel boschetto, e poi andrò a chiamare il Maestro. Te lo condurrò...” “Va’, va’ subito! Vengo da me sino a quel punto. Camminerò nel fossato, fra la siepe, ma tu va’, va’!... Oh!, amico buono! Se sapessi cosa è avere questo male. E cosa è sperare di guarire!...” Il lebbroso non si cura neppur più del cibo. Piange e gestisce implorando l’amico. “Vado, e tu vieni.” L’ex rattratto va via di corsa. Abele scende a fatica nel fosso che costeggia la via, tutto pieno di cespugli cresciuti nel fondo asciutto. Vi è appena al centro un filo d’acqua. La sera scende mentre l’infelice scivola fra le macchie dei cespugli, sempre all’erta se ode un passo. Due volte si appiatta sul fondo: la prima per un cavaliere che percorre al trotto la via, la seconda per tre uomini, carichi di fieno, diretti al paese. Poi prosegue. Ma prima di lui giunge al boschetto Gesù con Samuele. “Fra poco sarà qui. Va lento per le piaghe. Abbi pazienza.” “Non ho fretta.” “Lo guarirai?” “Ha fede?” “Oh! moriva di fame, vedeva quel cibo dopo anni di astinenza, eppure ha lasciato tutto dopo pochi bocconi per correre qui.” “Come lo hai conosciuto?” “Sai... vivevo di elemosina dopo la mia sventura e percorrevo le vie per andare da un luogo all’altro. Di qui passavo ogni sette giorni e avevo conosciuto quel poverello... un giorno in cui, costretto dalla fame, si era spinto, sotto un temporale da mettere in fuga i lupi, sin sulla via del paese, in cerca di qualcosa. Frugava fra le immondizie come un cane. Io avevo del pane secco nella bisaccia, obolo di persone buone, e ho fatto a mezzo con lui. Da allora siamo amici e ogni settimana lo rifornisco. Con quel che ho... Se ho molto, molto; se poco, poco. Faccio quel che posso come mi fosse un fratello. E’ dalla sera che mi hai guarito, benedetto Tu sia, che penso a lui... e a Te.” “Sei buono, Samuele, per questo la grazia ti ha visitato. Chi ama merita tutto da Dio. Ma ecco là qualcosa fra le frasche...” “Sei tu, Abele?”“Sono io.” “Vieni. Il Maestro ti attende qui, sotto il noce.” Il lebbroso emerge dal fossato e monta sulla sponda, la valica, si addentra nel prato. Gesù, col dorso addossato ad un altissimo noce, lo attende. “Maestro. Messia, Santo, pietà di me!” e si butta tutto fra l’erba, ai piedi di Gesù. Col volto al suolo dice ancora: “O Signore mio! Se Tu vuoi, Tu puoi mondarmi!” E osa poi alzarsi sui ginocchi e tende le braccia scheletrite, dalle mani contorte, e tende il volto ossuto, devastato... Le lacrime scendono dalle orbite malate alle labbra corrose. Gesù lo guarda con tanta pietà. Guarda questa larva d’uomo che il male orrendo divora, e che solo una vera carità può sopportare tanto vicino, tanto è ripugnante e maleodorante. Eppure ecco che Gesù tende una mano, la sua bella, sana mano destra, come per carezzare quel poveretto. Questo, senza alzarsi, si butta però indietro, sui calcagni, e grida: ‘Non mi toccare! Pietà di Te!” Ma Gesù fa un passo avanti. Solenne, buono, soave, posa le sue dita sulla testa mangiata dalla lebbra e dice, con voce piana, tutta amore eppure piena di imperio: “Lo voglio! Sii mondato!” La mano rimane ancora per qualche minuto sulla povera testa. “Alzati. Vai dal sacerdote. Compi quanto la Legge prescrive. E non dire quanto ti ho fatto. Ma solo sii buono. Non peccare mai più. Ti benedico.” “Oh! Signore! Abele! Ma tu sei tutto sano!”. Samuele, che vede la metamorfosi dell’amico, grida di gioia. “Sì. E' sano. La ha meritato per la sua fede. Addio. La pace sia con te.” “Maestro! Maestro! Maestro! Io non ti lascio! Io non ti posso più lasciare!” “Fai quanto vuole la Legge. Poi ci vedremo ancora. Per la seconda volta sia su di te la mia benedizione.” Gesù si avvia facendo cenno a Samuele di restare. E i due amici piangono di gioia, mentre alla luce di un quarto di luna tornano alla spelonca per l’ultima sosta in quella tana di sventura. La visione cessa così.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 5 Febbraio 2012, V Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,29-39.
E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 60 pagina 371.
Pietro parla a Gesù. Dice: “Maestro, io ti vorrei pregare di venire nella mia casa. Non ho osato dirlo lo scorso sabato. Ma... vorrei che Tu venissi.” “A Betsaida?” “No, qui... in casa di mia moglie, la casa natia, voglio dire.” “Perché questo desiderio, Pietro?” “Eh!... per molte ragioni... e poi, oggi mi è stato detto che mia suocera è malata. Se Tu venissi a guarirla, forse ti...” “Finisci, Simone.” “Volevo dire... se Tu la avvicinassi, lei finirebbe... sì, insomma, sai, altro è sentir parlare di uno e altro è vederlo e udirlo, e se quest’uno, poi, guarisce, allora...” “Allora anche l’astio cade, vuoi dire.” “No, astio no. Ma sai... il paese è diviso in molti pareri, e lei... non sa a chi dare retta. Vieni, Gesù.” “Vengo. Andiamo. Avvertirete quelli che attendono che parlerò loro dalla tua casa.” Vanno sino ad una casa bassa, più bassa ancora di quella di Pietro a Betsaida, e ancor più prossima al lago. E’ separata da questo da una striscia del greto e credo che nelle burrasche le onde vengano a morire contro le mura della casa, che, se è bassa, è in compenso molto larga, come fosse abitata da più persone.Nell’orto, che si apre sul davanti della casa, verso il lago, non vi è che una vite vecchia e nodosa, stesa su una rustica pergola, e un vecchio fico che i venti del lago hanno tutto piegato verso la casa. La chioma spettinata della pianta sfiora i muri di essa e bussa contro le impannate delle finestrelle, chiuse a riparo del vivo sole che batte sulla casetta. Non c’è che questo fico e questa vite, e un pozzo basso e dal muretto verdastro.“Entra, Maestro.” Delle donne sono nella cucina, intente chi a rattoppare le reti, chi a preparare il cibo. Salutano Pietro e poi si inchinano confuse davanti a Gesù, e lo sbirciano, intanto, con curiosità.“La pace sia a questa casa. Come sta la malata?” “Parla tu che sei la nuora più vecchia” dicono le tre donne ad una che si sta asciugando le mani col lembo della veste.“La febbre è forte, molto forte. L’abbiamo mostrata al medico, ma dice che è vecchia per guarire e che quando quel male dalle ossa va al cuore e dà febbre, specie a quell’età, si muore. Non mangia più... Io cerco di farle cibi buoni, anche ora, vedi, Simone? Le preparavo quella zuppa che le piaceva tanto. Ho scelto il pesce migliore, preso dai cognati. Ma non credo possa mangiarla. E poi... è così inquieta! Si lamenta, urla, piange, impreca...” “Abbiate pazienza come vi fosse madre e ne avrete merito da Dio. Conducetemi da lei.” “Rabbi... Rabbi... io non so se lei ti vorrà vedere. Non vuole vedere nessuno. Io non oso dirle : “Ora ti conduco il Rabbi”. Gesù sorride senza perdere la calma. Si volge a Pietro: “Tocca a te, Simone. Sei uomo e il più vecchio dei generi, mi hai detto. Va'.” Pietro fa una smorfia significativa e ubbidisce. Traversa la cucina, entra in una stanza, e attraverso la porta, chiusa dietro lui, lo sento confabulare con una donna. Mette fuori il capo e una mano e dice: “Vieni, Maestro. Fa' presto.” E aggiunge più piano, appena intelligibilmente: “Prima che cambi idea.” Gesù traversa lesto la cucina e spalanca la porta. Ritto sulla soglia, dice il suo dolce e solenne saluto: “ La pace sia con te.” Entra nonostante non gli sia risposto. Va presso ad un giaciglio basso su cui è stesa una donnetta tutta grigia, scarna, affannante per la forte febbre che le fa rosso il viso consumato.Gesù si china sul lettuccio, sorride alla vecchietta: “Hai male?” “Muoio!” “No. Non muori. Puoi credere che Io ti posso guarire?” “E perché lo faresti? Non mi conosci.” “Per Simone che me ne ha pregato,... e anche per te, per dare tempo alla tua anima di vedere e amare la Luce.” “Simone? Farebbe meglio a... Come mai Simone ha pensato a me?” “Perché è migliore di quanto tu credi. Io lo conosco e so. Lo conosco e sono lieto di esaudirlo.” “Mi guariresti, allora? Non morirò più?” “No, donna. Per ora non morrai. Puoi credere in Me?” “Credo, credo. Mi basta non morire!” Gesù sorride ancora. La prende per mano. La mano rugosa e dalle vene gonfie sparisce nella mano giovanile di Gesù, che si raddrizza e prende il suo aspetto di quando fa miracolo e grida: “Sii guarita! Lo voglio! Alzati!” e le lascia andare la mano. Che ricade senza che la vecchia si lamenti, mentre prima, nonostante Gesù gliela avesse presa con molta delicatezza, l’averla mossa era costato un lamento all’inferma.Un breve tempo di silenzio. Poi la vecchia esclama forte: “Oh! Dio dei nostri Padri! Ma io non ho più nulla! Ma sono guarita! Venite! Venite!” Accorrono le nuore. “Ma guardate!” dice la vecchia. “Mi muovo e non sento più dolore! E non ho più febbre! Sentite come sono fresca. E il cuore non sembra più il martello del fabbro. Ah! non muoio più!” Non una parola per il Signore!Ma Gesù non se la prende. Dice alla più anziana delle nuore: “Vestitela, che si alzi. Lo può fare.” E si avvia per uscire.Simone, mortificato, si volge alla suocera: “Il Maestro ti ha guarita. Non gli dici nulla?” “Certo! Non ci pensavo. Grazie. Che posso fare per dirti grazie?” “Esser buona molto buona. Perché l’Eterno fu buono con te. E se troppo non ti rincresce, lasciami riposare oggi nella tua casa. Ho percorso nella settimana tutti paesi vicini e sono giunto all’alba di questa mattina. Sono stanco.” “Certo! Certo! Resta pure, se ti piace così.” Ma non c’è molto entusiasmo nel dirlo.Gesù, con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, va a sedersi nell’orto.“Maestro!...” “Pietro mio?” “Io sono mortificato.” Gesù fa un gesto come se dicesse: “Lascia perdere.” Poi dice: “ Non è la prima e non sarà l’ultima che non sente riconoscenza immediata. Ma non chiedo riconoscenza. Mi basta dar modo alle anime di salvarsi. Io faccio il mio dovere. A loro fare il loro.” “Ah! ve ne sono stati altri così? Dove?” “Simone curioso! Ma ti voglio accontentare, nonostante non ami le inutili curiosità. A Nazaret. Ricordi la mamma di Sara? Era molto malata quando giungemmo a Nazaret e ci dissero che la bambina piangeva. Per non fare di essa, che è buona e mite, un’orfana e domani una figliastra, sono andato a trovare la donna.... volevo guarirla... Ma non avevo ancora posto piede nella casa, che il marito di lei e un fratello mi cacciarono dicendo: “Via, via! Non vogliamo noie con la sinagoga’’. Per loro, per troppi sono già un ribelle... L’ho guarita lo stesso.... per i suoi bambini. E a Sara che era nell’orto, ho detto accarezzandola: ‘’Guarisco tua madre. Va' a casa. Non piangere più.’’ E la donna è guarita nello stesso momento e la bambina glielo ha detto, e anche al padre e allo zio... E fu castigata per avere parlato con Me. Lo so, perché la bambina m’è corsa dietro mentre lasciavo il paese... Ma non importa.” “Io la facevo tornare malata.” “Pietro!” Gesù è severo. “E’ questo che Io insegno a te e agli altri? Cosa hai sentito sulle mie labbra dalla prima volta che mi hai udito? Di che ho sempre parlato come condizione prima per essere veri miei discepoli?” “E’ vero, Maestro. Sono una vera bestia. Perdonami. Ma... non posso sopportare che non ti amino!” “Oh! Pietro! Vedrai ben altro disamore! Tante sorprese avrai, Pietro! Persone che il mondo cosiddetto ‘santo’ sprezza come pubblicani, e che invece saranno al mondo di esempio, e esempio non seguito da coloro che li disprezzano. Pagani che saranno fra i miei più grandi fedeli. Meretrici che tornano pure, per volontà e penitenza. Peccatori che si emendano...” “Senti: che si emendi un peccatore... può ancora essere. Ma una meretrice e un pubblicano!...” “Tu non lo credi?” “Io no.” “Sei in errore, Simone. Ma ecco tua suocera che viene a noi.” “Maestro... io ti prego di sedere alla mia tavola.” “Grazie, donna. Dio te ne compensi.” Entrano nella cucina e si siedono a tavola, e la vecchia serve gli uomini con larga distribuzione di pesce in zuppa e arrostito. “Non ho altro che questo” si scusa. E, per non perderci l’abitudine, dice a Pietro: “Fin troppo fanno i tuoi cognati, soli come sono rimasti da quando tu sei andato a Betsaida! E almeno fosse servito a far più ricca mia figlia... Ma sento che ben sovente tu sei assente e non peschi.” “Seguo il Maestro. Sono stato con Lui a Gerusalemme e il sabato sto con Lui. Non perdo tempo in gozzoviglie.” “Ma non guadagni, però. Faresti meglio, già che vuoi fare il servo del Profeta, di trasferirti qui di nuovo. Almeno quella povera creatura di mia figlia, mentre tu fai il santo, avrà i parenti che la sfamano.” “Ma non ti vergogni di parlare così davanti a Lui che ti ha guarita?” “Io non critico Lui. Lui fa il suo mestiere. Critico te che fai il fannullone. Tanto, tu non sarai mai un profeta né un sacerdote. Sei un ignorante e un peccatore, un buono a nulla.” “Hai ragione che c’è Lui, se no...” “Simone, tua suocera ti ha dato un ottimo consiglio. Puoi pescare anche da qua. Pescavi anche prima a Cafarnao, a quel che sento. Puoi tornarci anche ora.” “E abitare qui di nuovo? Ma Maestro, Tu non ...” “Buono, Pietro mio. Se tu sarai qui, sarai sul lago o con Me. Perciò che ti è, essere o non essere in questa casa?” Gesù ha messo la mano sulla spalla di Pietro e pare che la calma di Gesù passi nel bollente apostolo.“Hai ragione. Hai sempre ragione. Lo farò. Ma... e questi?” e accenna Giovanni e Giacomo, suoi soci.“Non possono venire loro pure?” “Oh! il padre nostro, e la madre soprattutto, saranno sempre più felici di saperci con Te, che con loro. Non faranno ostacolo.“Forse anche Zebedeo verrà” dice Pietro.“E’ più che probabile. E altri con lui. Verremo, Maestro, senza fallo verremo.” “E’ qui Gesù di Nazaret?” chiede un bambinello che si affaccia all’uscio.“E’ qui. Entra.” Viene avanti un bambino, che riconosco per uno di quelli delle prime visioni di Cafarnao, e precisamente per quello che, ruzzolato fra i piedi di Gesù, ha promesso di esser buono... per mangiare il miele in Paradiso.“Piccolo amico, vieni avanti” dice Gesù.Il bambino, u poco intimorito da tanta gente che lo guarda, si rinfranca e corre da Gesù, che lo abbraccia e se lo pone sulle ginocchia e gli da un pezzetto del suo pesce su una fettina di pane.“Ecco, Gesù. Questo è per Te. Anche oggi quella persona mi ha detto: “E’ sabato. Porta questo al Rabbi di Nazaret e di' al tuo amico che preghi per me.’’ Lo sa che sei il mio amico!...” Il bambino ride felice e mangia il suo pane e pesce.“Bravo piccolo Giacomo! Dirai a quella persona che le mie preghiere salgono al Padre per lui.” “E’ per i poveri?” chiede Pietro.“Sì.” “E’ sempre la solita offerta? Guardiamo.” Gesù consegna la borsa. Pietro rovescia le monete e conta. “Sempre la stessa forte somma! Ma chi è questa persona? Dì, bambino? Chi è?” “Io non lo devo dire e non lo dirò” “Che prepotente! Su, sii buono e ti darò della frutta.” “Io non lo dirò né se mi insulti, né se mi carezzi.” “Ma sentite che lingua!” “Giacomo ha ragione, Pietro. Mantiene la parola data; lascialo in pace.” “Tu, Maestro, sai chi è questa persona?” Gesù non risponde. Si occupa del bambino, a cui dà un altro pezzetto di pesce arrostito, ben mondato dalle spine. Ma Pietro insiste e Gesù deve rispondere. “Io so tutto, Simone.” “E noi non lo possiamo sapere?” “E tu non guarirai mai dal tuo difetto?”. Gesù rimprovera ma sorride. E aggiunge: “Presto lo saprai. Perché se il male occulto vorrebbe essere, e non sempre può rimanere tale, il bene, anche se occulto vuol essere per essere meritorio, viene un giorno scoperto per gloria di Dio, la cui natura risplende in un suo figlio. La natura di Dio: l’amore. E costui l’ha compreso perché ama suo prossimo. Va', Giacomo. Porta a quella persona la mia benedizione.” La visione cessa così.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/