"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 27 febbraio 2011, VIII Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 6,24-34.
Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.
Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?
E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?
E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?
Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?
Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 174 pagina 115.
[...]
La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore di Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana? Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “Il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena di aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire. Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odierà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.
Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro — perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto — tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.
Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore. Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò”, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…”.
(E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35ª riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

12 agosto 1944.
Dice Gesù: “Guarda e scrivi. È Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione”.
Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita. La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, ad oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolio azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade — perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche diamante rugiadoso sperso fra i suoi steli — paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: “Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…”.
Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. È serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle.
“Fate largo, plebei”, grida una iraconda voce d’uomo. “Fate largo alla bellezza che passa”… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedile Maria di Magdala, gran peccatrice ancora.
E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo. Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla.
“Ecco accontentata la dea”, dice il romano. “Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi”.
Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
È bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: “Rispetto al mio candore”, il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.
Gesù riprende:
“Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo. Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno — il cuore — l’impurità.
Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla Terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda?
Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore. Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…”.
Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che, senza guardarla, Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.
Non vedo altro. Ma Gesù dice: “Vedrai ancora”.

[29 maggio 1945.]
Gesù riprende: “Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio”.
La folla grida: “Sì, sì. Con Te”, e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
“Ma… ce ne andiamo proprio?”.
“Sì”.
“Perché è venuta lei?…”.
“Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani…”.
“Capisco, capisco…”.
“Allora però capisci anche un’altra cosa”.
“Quale, Maestro?”.
“La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti”.
“Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…”.
“E per altri ancora”.
“Pensi che ce ne saranno oggi?”.
“Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto”.
Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.
L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. “Mi vuoi, Maestro?”, chiede.
“Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni”.
“Non ho fame. E neppure Tu”.
“Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?”.
“No, Maestro. Stanco…”.
“Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…”.
Giuda si rianima. “Vieni proprio con me solo?”.
“Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male”.
“Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. È peccato aver bisogno di dormire?”.
“No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera”.
“Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore”.
“Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone”.
Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di “non aver fame e di essere stanco”, corre dai compagni ridendo allegro e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
Gesù lo guarda con compassione e poi si avvia verso gli apostoli.
“Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te””.
“Ma Pietro!”.
“No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene”.
Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: “E tu? Le ulive?”.
“Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse”.
“A chi?”.
“A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi”.
“Ma benissimo!”.
“Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese”.
Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
“Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case”, dice Bartolomeo.
“È vero! È venerdì!”, dicono in diversi.
“Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro”.
Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
“Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via”.
Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.
Gesù sorride e comincia a parlare.
“Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato”.
Cosa è l’adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo ed ha inizio la discesa nel peccato.
Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo càvatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. È vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.
Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio”. Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla Terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge. Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio”. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione. Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio.
Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora”.
Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena”.
La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.
Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!
Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi”.
Ma la folla urla: “Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!”. E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao.
La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita.
(Gesù dice: “Basta per oggi. Domani…”).
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 20 febbraio 2011, VII Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5, 38-48.
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente;
ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guanciadestra, tu porgigli anche l'altra;
e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.
E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico;
ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 171 pagina 89.
[...]
Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amo-re di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica. Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.
Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.
Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate”, perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio.
Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.
Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione.
Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.
Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò”.
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”.
“Ma chi è? Quel romano forse?”.
“No. Un disgraziato”.
“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro.
“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”.
“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”.
“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 13 febbraio 2011, VI Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5, 17-37.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: " Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.
In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.
Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,
lascia lì il tuo dono davanti all'altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.
In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio;
ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gia commesso adulterio con lei nel suo cuore.
Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.
E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio;
ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti;
ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio;
né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re.
Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.
Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 171 pagina 89.
Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.
E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.
“Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo. Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino. Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l’ha data? Con la sua Parola. Perché l’ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.
Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.
Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. È giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.
Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere. Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione.
Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.
L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.
Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amo-re di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica. Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.
Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.
Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate”, perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio.
Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.
Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione.
Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.
Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò”.
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”.
“Ma chi è? Quel romano forse?”.
“No. Un disgraziato”.
“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro.
“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”.
“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”.
“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 6 febbraio 2011, V Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5, 13-16.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: " Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,
né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 169 pagina 70.
Gesù va solo e svelto per una via maestra. Diretto verso un monte che è bene spiegare come è fatto, perché col grafico credo che non riuscirò.
Dunque questo monte, che si alza presso la via maestra che dal lago va a ovest, dopo qualche tempo dà inizio di sé con una dolce e bassa elevazione che si prolunga per molto spazio, un pianoro da cui si vede tutto il lago con la città di Tiberiade verso il sud e le altre, meno belle, che salgono verso il nord. Poi il monte ha un altro balzo in altezza e sale con una salita piuttosto accentuata fino ad un picco, che poi si abbassa per rialzarsi di nuovo con un picco simile, in una bizzarra forma di sella.
Gesù intraprende la salita al pianoro per una mulattiera ancora abbastanza bella e raggiunge un paesetto, i cui abitanti certo sono lavoratori di questa pianura sopraelevata dove già il grano tende a spighire. Traversa il paese e procede fra i campi e i prati tutti sparsi di fiori e tutti fruscianti di messi. Il giorno è sereno e mostra tutte le bellezze della natura circostante.
Oltre la solitaria montagnola, alla quale si dirige Gesù, vi è al nord la vetta imponente dell’Hermon, la cui sommità pare un’enorme perla posata su una base di smeraldi, tanto è candida la cima incappucciata di neve mentre è verde la pendice per i boschi che la coprono. Oltre il lago, ma fra questo e l’Hermon, la pianura verde dove è il lago di Meron, che però da qui non si vede, e poi altri monti che vanno verso il lago di Tiberiade nel lato nord occidentale e, oltre il lago, monti ancora, in lontananze che li ammorbidiscono, e altre dolci pianure. A sud, oltre la via maestra, le colline che credo celino Nazaret. Più si sale e più la vista spazia. Non vedo ciò che è ad occidente perché il monte fa da parete.
Gesù incontra per primo l’apostolo Filippo, che pare messo di sentinella in quel posto. “Come, Maestro? Tu qui? Ti attendevamo sulla via. Io sono qua ad attendere i compagni andati in cerca di latte presso dei pastori che pasturano su queste cime. In basso, alla via, è Simone con Giuda di Simone e con loro sono Isacco e… Oh! ecco. Venite! Venite! È qui il Maestro!”.
Gli apostoli, che stanno scendendo con fiaschette e borracce, si danno a correre e i più giovani arrivano naturalmente per primi. La loro festa al Maestro è commovente. Infine si sono riuniti e mentre Gesù sorride vogliono tutti parlare, raccontare…
“Ma ti aspettavamo sulla via!”.
“Avevamo pensato che non venissi neppure per oggi”.
“C’è tanta gente, sai?”.
“Oh! ma eravamo molto impicciati perché ci sono scribi e persino dei discepoli di Gamaliele…”.
“Ma sì, Signore! Ci hai lasciati proprio sul momento buono! Non ho mai avuto tanta paura come in quel momento. Non me lo fare più uno scherzo così!”.
Pietro si lamenta e Gesù sorride e chiede: “Ma vi è accaduto del male?”.
“Oh! no! Anzi… Oh! mio Maestro! Ma non sai che Giovanni ha parlato?… Pareva che Tu parlassi in lui. Io… noi eravamo sbalorditi… Questo ragazzo, che solo un anno fa era capace solo di gettare la rete… oh!”. Pietro è ancora ammirato e si scrolla il ridente Giovanni che tace. “Guardate se pare possibile che questo fanciullo abbia detto con questa bocca ridente quelle parole! Pareva Salomone”.
“Anche Simone ha parlato bene, mio Signore. È stato proprio il “capo””, dice Giovanni.
“Sfido io! Mi ha preso e messo lì! Mah!… Dicono che ho parlato bene. Sarà. Io non lo so… perché tra lo stupore per le parole di Giovanni e la paura di parlare in mezzo a tanti e di farti fare una brutta figura, ero sbalordito…”.
“Di farmi fare? A Me? Ma eri tu che parlavi e la brutta figura l’avresti fatta tu, Simone”, lo stuzzica Gesù.
“Oh! per me… Non mi importava niente di me. Non volevo che ti schernissero come stolto per avere preso un ebete per tuo apostolo”.
Gesù sfavilla di gioia per l’umiltà e l’amore di Pietro. Ma non chiede che: “E gli altri?”.
“Anche lo Zelote ha parlato bene. Ma lui… si sa. Questo è stato la sorpresa! Ma già, da quando siamo stati in orazione, il ragazzo pare sempre coll’anima in Cielo”.
“È vero! È vero!”. Tutti confermano le parole di Pietro. E poi continuano a narrare.
“E sai? Fra i discepoli ora ci sono due che, a detta di Giuda di Simone, sono molto importanti. Giuda si dà molto da fare. Eh! già! Lui conosce molti di quelli… in su, e li sa trattare. E gli piace parlare… Parla bene. Ma la gente preferisce sentire Simone, i tuoi fratelli e soprattutto questo ragazzo. Ieri un uomo mi ha detto: “Parla bene quel giovane (era di Giuda che parlava) ma preferisco te a lui”. Oh! poveretto! Preferire me che non so che dire quattro parole!… Ma perché sei venuto qui? Il luogo di incontro era sulla via, e là siamo stati”.
“Perché sapevo che vi avrei trovati qui. Ora udite. Scendete e dite agli altri di venire. Anche ai discepoli noti. E che la gente non venga per oggi. Voglio parlare a voi soli”.
“Allora è meglio attendere a sera. Quando ha inizio il tramonto la gente si sparge per le borgate vicine e torna al mattino attendendo Te. Se no… chi li tiene?”.
“Va bene. Fate così. Vi attendo là, sulla cima. La notte è ormai mite. Possiamo dormire anche all’aperto”.
“Dove vuoi, Maestro. Basta Tu sia con noi”.
I discepoli vanno e Gesù riprende a salire fino alla cima, che è quella già vista nella visione dello scorso anno per la fine del discorso del Monte e per il primo incontro con la Maddalena. Ancora più ampio è il panorama che si sta facendo acceso per il tramonto che si inizia.
Gesù si siede su un masso e si raccoglie in meditazione. E così sta finché lo scalpiccio dei passi sul sentiero non lo fa avvertito che gli apostoli sono di ritorno. La sera si fa vicina. Ma su quell’altura ancora il sole persiste traendo odore da ogni erba e fioretto. Dei mughetti selvaggi odorano forte e gli alti steli dei narcisi scuotono le loro stelle e i loro bocci come per chiamare le rugiade.
Gesù si alza in piedi e saluta col suo: “La pace sia con voi”.
Sono molti i discepoli che salgono con gli apostoli. Isacco li capitana col suo sorriso d’asceta sul volto sottile. Si affollano tutti intorno a Gesù che sta salutando particolarmente Giuda Iscariota e Simone lo Zelote.
“Vi ho voluti tutti con Me, per stare qualche ora con voi soli e per parlare a voi soli. Ho qualcosa da dirvi per prepararvi sempre più alla missione. Prendiamo il cibo e poi parleremo, e nel sonno l’anima continuerà ad assaporare la dottrina”.
Consumano la parca cena e poi si stringono a cerchio intorno a Gesù seduto su un pietrone. Sono un centinaio circa, forse più, fra discepoli e apostoli. Una corona di volti attenti che la fiamma di due fuochi rischiara bizzarramente.
Gesù parla piano, gestendo pacato, col viso che pare più bianco, emergente come è dall’abito azzurro cupo e al raggio della luna novella che scende proprio dove è Lui, una piccola virgola di luna nel cielo, una lama di luce che carezza il Padrone del Cielo e della Terra.
“Vi ho voluti qui, in disparte, perché siete i miei amici. Vi ho chiamati dopo la prima prova fatta dai dodici, e per allargare il cerchio dei miei discepoli operanti e per udire da voi le prime reazioni dell’essere diretti da coloro che Io do a voi come miei continuatori. So che tutto è andato bene. Io sorreggevo con la preghiera le anime degli apostoli usciti dall’orazione con una forza nuova nella mente e nel cuore. Una forza che non viene da studio umano ma da completo abbandono in Dio.
Coloro che più hanno dato sono coloro che più si sono dimenticati.
Dimenticare se stessi è ardua cosa. L’uomo è fatto di ricordi, e quelli che più hanno voce sono i ricordi del proprio io. Bisogna distinguere fra l’io e l’io. Vi è lo spirituale io dato dal-l’anima che si ricorda di Dio e della sua origine da Dio, e vi è l’io inferiore della carne che si ricorda di mille esigenze che tutto abbracciano di se stessa e delle passioni e che — poiché sono tante voci da fare un coro — e che soverchiano, se lo spirito non è ben robusto, la voce solitaria dello spirito che ricorda la sua nobiltà di figlio di Dio. Perciò — meno che per questo ricordo santo che bisognerebbe sempre più aizzare e tenere vivo e forte — perciò per essere perfetti come discepoli bisogna sapere dimenticare se stessi, in tutti i ricordi, le esigenze, le pavide riflessioni dell’io umano.
In questa prima prova, fra i miei dodici, coloro che hanno più dato sono coloro che più si sono dimenticati. Dimenticati non solo per il loro passato, ma anche nella loro limitata personalità. Sono coloro che non si sono più ricordati di ciò che erano e si sono talmente fusi a Dio da non temere. Di nulla.
Perché le sostenutezze di alcuni? Perché si sono ricordati i loro scrupoli abituali, le loro abituali considerazioni, le loro abituali prevenzioni. Perché le laconicità di altri? Perché si sono ricordati le loro incapacità dottrinali e hanno temuto di fare brutte figure o di farmele fare. Perché le vistose esibizioni di altri ancora? Perché questi si sono ricordati le loro abituali superbie, i desideri di mettersi in vista, di essere applauditi, di emergere, di essere “qualcosa”. Infine, perché l’improvviso svelarsi di altri in una rabbinica oratoria sicura, persuasiva, trion-fale? Perché questi, e questi soli — così come quelli che fino allora umili e cercanti di passare inosservati e che al momento buono hanno saputo di colpo assumere la dignità di primato a loro conferita e non mai voluta esercitare per tema di troppo presumere — hanno saputo ricordarsi di Dio. Le prime tre categorie si sono ricordate dell’io inferiore. L’altra, la quarta, del-l’io superiore, e non hanno temuto. Sentivano Dio con sé, Dio in sé, e non hanno temuto. Oh! santo ardimento che viene dall’essere con Dio!
Or dunque ascoltate, e voi e voi, apostoli e discepoli. Voi apostoli avete già sentito questi concetti. Ma ora li capirete con più profondità. Voi discepoli non li avete ancora uditi o ne avete udito frammenti. E vi necessita di scolpirveli nel cuore. Perché Io sempre più vi userò, dato che sempre più cresce il gregge di Cristo. Perché il mondo sempre più vi assalirà, crescendo in esso i lupi contro Me Pastore e contro il mio gregge, ed Io voglio mettervi in mano le armi di difesa della Dottrina e del gregge mio. Quanto basta al gregge non basta a voi, piccoli pastori. Se è lecito alle pecore di commettere errori, brucando erbe che fanno amaro il sangue o folle il desiderio, non è lecito che voi commettiate gli stessi errori, portando molto gregge a rovina. Perché pensate che là dove è un pastore idolo periscono per veleno le pecore o per assalto di lupi.
Voi siete il sale della Terra e la luce del mondo. Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l’ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell’umanità, addolcendolo con il corrotto dolciore del senso, mescolando al puro sale di Dio detriti e detriti di superbia, avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, di modo che risulta un granello di sale ogni sette volte sette granelli di ogni singolo vizio. Il vostro sale allora non è che una mescolanza di pietre in cui si sperde il misero granello sperduto, di pietre che stridono sotto il dente, che lasciano in bocca sapore di terra e fanno ripugnante e sgradito il cibo. Neppur più per usi inferiori è buono, ché farebbe nocumento anche alle missioni umane un sapere infuso nei sette vizi. E allora il sale non serve che ad essere sparso e calpestato sotto i piedi incuranti del popolo. Quanto, quanto popolo potrà calpestare così gli uomini di Dio! Perché questi vocati avranno permesso al popolo di calpestarli incurante, dato che non sono più sostanza alla quale si accorre per avere sapore di elette, di celesti cose, ma saranno unicamente detriti.
Voi siete la luce del mondo. Voi siete come questo culmine che fu l’ultimo a perdere il sole ed è il primo a inargentarsi di luna. Chi è posto in alto brilla ed è visto perché l’occhio anche più svagato si posa qualche volta sulle alture. Direi che l’occhio materiale, che viene detto specchio dell’anima, riflette l’anelito dell’anima, l’anelito inavvertito spesso ma sempre vivente finché l’uomo non è un demone, l’anelito dell’alto, dell’alto dove la istintiva ragione colloca l’Altissimo. E cercando i Cieli alza, almeno qualche volta nella vita, l’occhio alle altezze.
Vi prego di ricordarvi di ciò che facciamo tutti, fin dalla fanciullezza, entrando in Gerusalemme. Dove corrono gli sguardi? Al monte Moria, incoronato dal trionfo di marmo e oro del Tempio. E che, quando siamo nel recinto dello stesso? Di guardare le cupole preziose che splendono al sole. Quanto bello è nel sacro recinto, sparso nei suoi atrii, nei suoi portici e cortili! Ma l’occhio corre lassù. Ancora vi prego ricordarvi di quando si è in cammino. Dove va il nostro occhio, quasi per dimenticare la lunghezza del cammino, la monotonia, la stanchezza, il calore o il fango? Alle cime, anche se piccole, anche se lontane. E con che sollievo le vediamo apparire se siamo in una pianura piatta e uniforme! Qui è fango? Là è nitore. Qui è afa? Là è frescura. Qui è limitazione all’occhio? Là è ampiezza. E solo a guardarle ci sembra meno caldo il giorno, meno viscido il fango, meno triste l’andare. Se poi una città splende in cima al monte, ecco che allora non vi è occhio che non l’ammiri. Si direbbe che anche un luogo da poco si abbelli se si posa, quasi aereo, sul culmine di una montagna. Ed è per questo che nella vera e nelle false religioni, sol che si sia potuto, si sono posti i templi in alto e, se un colle od un monte non c’era, si è fatto ad essi un piedestallo di pietre, costruendo a fatica di braccia l’elevazione su cui posare il tempio. Perché si fa questo? Perché si vuole che il tempio sia visto per richiamare con la sua vista il pensiero a Dio.
Ugualmente ho detto che voi siete una luce. Chi accende un lume a sera in una casa dove lo mette? Nel buco sotto il forno? Nella caverna che fa da cantina? O chiuso dentro un cassapanco? O anche semplicemente e solamente lo si opprime col moggio? No. Perché allora sarebbe inutile accenderlo. Ma si pone il lume sull’alto di una mensola, o lo si appende al suo portalume perché essendo alto rischiari tutta la stanza e illumini tutti gli abitanti in essa. Ma appunto perché ciò che è posto in alto ha incarico di ricordare Iddio e di fare luce, deve essere all’altezza del suo compito.
Voi dovete ricordare il Dio vero. Fate allora di non avere in voi il paganesimo settemplice. Altrimenti diverreste alti luoghi profani con boschetti sacri a questo o quel dio e trascinereste nel vostro paganesimo coloro che vi guardano come templi di Dio. Voi dovete portare la luce di Dio. Un lucignolo sporco, un lucignolo non nutrito di olio, fuma e non fa luce, puzza e non illumina. Una lampada nascosta dietro un quarzo sudicio non crea la leggiadria splendida, non crea il fulgido giuoco della luce sul lucido minerale. Ma langue dietro il velo di nero fumo che fa opaco il diamantifero riparo.
La luce di Dio splende là dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, coi suoi contatti, e reazioni, e delusioni, produce. La luce di Dio splende là dove il lucignolo è immerso in abbondante liquido di orazione e di carità. La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene netto il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. Inattaccabile quarzo. Inattaccabile! (Gesù tuona in questa chiusa e la voce rimbomba nell’anfiteatro naturale).
Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali bellezze sul quarzo purissimo. Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della sua missione, tutta e unicamente soprannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, misteriose e sataniche cifre fatte dall’artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe.
Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. Io li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre — udite e ritenete — mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell’uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l’aspetto dalla Terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt’anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli “vita”.
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole. Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure. Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/