"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 27 marzo 2011, III Domenica di Quaresima - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 4,5-42.
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio:
qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».
I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi.
Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.
Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?».
Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete;
ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
«Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
Le disse: «Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito";
infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta.
I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.
Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori.
Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa».
Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?».
La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente:
«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».
Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia».
Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete».
E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?».
Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che gia biondeggiano per la mietitura.
E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete.
Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete.
Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».
E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni.
Molti di più credettero per la sua parola
e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 2 Capitolo 143 pagina 425.
"Io mi fermo qui. Andate nella città, comperate quanto occorre per il pasto. Qui mangeremo."
"Tutti andiamo?"
"Sì, Giovanni. E' bene siate in gruppo".
"E Tu? Resti solo... Sono samaritani..."
"Non saranno i peggiori tra i nemici del Cristo. Andate, andate. Io prego mentre vi attendo. Per voi e per questi."
I discepoli se ne vanno a malincuore, e per tre o quattro volte si volgono a guardare Gesù, che si è seduto su un basso muretto soleggiato che è presso il basso e largo bordo di un pozzo. Un grande pozzo, quasi una cisterna tanto è largo. D'estate deve essere ombreggiato da grandi alberi, ora spogli. L'acqua non si vede, ma il terreno, presso il pozzo, mostra chiari segni di acque attinte, con piccole pozze o con cerchi lasciati dalle brocche umide.
Gesù si siede e medita, nella sua solita posa, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani congiunte in avanti, il corpo lievemente piegato e il capo curvo verso terra. Poi sente il bel solicello scardarlo e si fa cadere il mantello dal capo e dalle spalle, tenendolo però ancora raccolto in grembo.
Alza il capo per sorridere a uno stormo di passeri rissosi che si litigano una grossa mollica perduta da qualche persona presso il pozzo. Ma i passeri fuggono per il sopraggiungere di una donna che viene al pozzo con un'anfora vuota tenuta per un manico con la mano sinistra, mentre la destra scosta con un atto di sorpresa il velo per vedere chi è l'uomo là seduto.
Gesù sorride a questa donna sui 35-40 anni, alta, dai tratti fortemente marcati, ma belli. Un tipo che noi diremmo quasi spagnolo per il colorito di un pallore olivastro, le labbra molto accese e piuttosto tumide, gli occhioni fino smisuratamente grandi e neri sotto sopracciglia foltissime, e le trecce corvine che traspaiono dal velo leggero. Anche le forme, tendenti al formoso, hanno un marcato tipo orientale lievemente molle come quello delle donne arabe. E' vestita di una stoffa a righe multicolori, ben stretta alla cintura, tesa sui fianchi e sul petto grassocci, e pendente poi, in una specie di balza ondulante, fino a terra. Molti anelli e bracciali alle mani grassottelle e brunette e ai polsi che appaiono dalle sottomaniche di lino. Al collo una collana pesante da cui pendono delle medaglie, direi degli amuleti perché ce ne sono di tutte le forme. Pesanti orecchini scendono fin verso il collo e brillano sotto il velo.
"La pace sia con te, donna. Mi dai da bere? Ho molto camminato e ho sete:"
"Ma non sei Tu giudeo? E chiedi da bere a me, samaritana? Che è avvenuto dunque? Siamo riabilitati oppure siete disfatti? Certo  un grande avvenimento è avvenuto se un giudeo parla cortese con una samaritana. Dovrei dirti però: 'Non ti do nulla per punire in Te tutte le ingiurie che i giudei da secoli ci dànno."
"Hai detto bene. Un grande avvenimento è avvenuto. E per esso molte cose sono cambiate e più ne cambieranno. Dio ha fatto un grande dono al mondo e per esso molte cose sono cambiate. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: 'Dammi da bere, forse tu stessa gli avresti chiesto da bere, ed Egli ti avrebbe dato acqua viva".
"L'acqua viva è nelle vene della terra. Questo pozzo ce l'ha. Ma è nostro". La donna è beffarda e prepotente.
"L'acqua è di Dio. Come la bontà è di Dio. Come la vita è di Dio. Tutto è di un unico Dio, donna. E tutti gli uomini vengono da Dio, samaritani come giudei. Questo pozzo non è quello di Giacobbe? E Giacobbe non è il capo della stirpe nostra? Se poi un errore ci ha divisi , ciò non cambia l'origine."
"Errore nostro, vero?" chiede aggressiva la donna.
"Non nostro né vostro. Errore di uno che aveva perso di vista carità e giustizia. Io non ti offendo e non offendo la tua razza. Perché vuoi essere tu offensiva?"
"Sei il primo giudeo che odo parlare così. Gli altri... Ma, riguardo al pozzo, sì, è quello di Giacobbe e ha un'acqua così abbondante e chiara che noi di Sicar lo preferiamo alle altre fontane. Ma è molto profondo. Tu non hai anfora né otre. Come potresti dunque attingere per me acqua viva? Sei da più di Giacobbe, il santo patriarca nostro, che ha trovato questa abbondante vena per lui, per i suoi figli e i suoi armenti, e ce l'ha lasciata a suo ricordo e dono?"
"Tu lo hai detto. Ma chi beve di quest'acqua avrà ancora sete. Io invece ho un'acqua che chi l'ha bevuta non sentirà più sete. Ma è solo mia. Ed Io la darò a chi me la chiede. Ed in verità ti dico che chi avrà l'acqua che Io gli darò, diverrà per sempre irrorato e non avrà più sete, perché l'acqua mia diventerà in lui sorgente sicura, eterna."
"Come? Io non capisco. Sei un mago? Come può un uomo divenire un pozzo? Il cammello beve e fa scorta d'acqua nel capace ventre. Ma poi la consuma e non gli dura per tutta la sua vita. E Tu dici che la tua acqua dura per tutta la vita?"
"Più ancora: zampillerà fino alla vita eterna. Sarà in chi la beve zampillante fino alla vita eterna e darà germi di vita eterna. Perché è sorgente di salute."
"Dàmmi di quest'acqua, se è vero che la possiedi. Io mi stanco a venire fin qui. L'avrò e non avrò più sete, e non diverrò mai malata né vecchia".
"Di questo solo ti stanchi? Non di altro? E non senti bisogno che di attingere per bere, per il tuo misero corpo? Pensaci. Vi è qualcosa da più del corpo. Ed è l'anima. Giacobbe non dette solo l'acqua del suolo a sé e ai suoi. Ma si preoccupò di darsi e di dare la santità, l'acqua di Dio."
"Ci dite pagani, voi... Se è vero ciò che voi dite, noi non possiamo essere santi..." La donna ha perduto il tono petulante e ironico ed è sottomessa e lievemente confusa.
"Anche un pagano può essere virtuoso. E Dio, che è giusto, lo premierà per il bene fatto. Non sarà un premio completo, ma, Io te lo dico, fra un fedele in colpa grave e un pagano senza colpa Dio guarda con meno rigore il pagano. E perché, se sapete d'esser tali, non venite al vero Dio? Come ti chiami?"
"Fotinai"
"Ebbene, rispondi a Me, Fotinai. Te ne duoli di non potere aspirare alla santità perché sei pagana, come tu dici, perché sei nelle nebbie di un antico errore, come dico Io?"
"Sì, che me ne dolgo."
"E allora perché non vivi almeno da virtuosa pagana?"
"Signore!..."
"Sì. Puoi negarlo? Va' a chiamare tuo marito e torna qua con lui."
"Non ho marito..." La confusione della donna cresce.
"Hai detto bene. Non hai marito. Hai avuto cinque uomini ed ora hai teco uno che non ti è marito. Era necessario questo? Anche la tua religione non consiglia l'impudicizia. Il Decalogo lo avete voi pure. Perché allora, Fotinai, tu vivi così? Non ti senti stanca di questa fatica di essere carne di tanti e non l'onesta moglie di uno solo? Non ti fa paura la tua sera, quando ti troverai sola coi ricordi? Con i rimpianti? Con le paure? Sì. Anche quelle. Paura di Dio e degli spettri. Dove sono le tue creature?"
La donna abbassa del tutto il capo e non parla.
"Non le hai sulla terra, Ma le loro piccole anime, alle quali tu hai impedito di conoscere il giorno della luce, ti rimproverano. Sempre. Gioielli... belle vesti... casa ricca... nutrita mensa... Sì. Ma vuoto, e lacrime, e miseria interiore. Sei una derelitta, Fotinai. E solo con un pentimento sincero, attraverso il perdono di Dio, e per conseguenza il perdono delle tue creature, puoi tornare ricca."
"Signore vedo che Tu sei profeta. E ne ho vergogna..."
"E del Padre che è nei Cieli non ne avevi vergogna quando facevi il male? Non piangere di avvilimento davanti all'Uomo...Vieni qui, Fotinai. Vicino a Me. Io ti parlerò di Dio. Forse non lo conoscevi bene. E per questo, certo per questo, tu hai tanto errato. Se vessi conosciuto bene il vero Dio non ti saresti avvilita così. Egli ti avrebbe parlato e sorretto..."
"Signore, i nostri padri hanno adorato su questo monte. Voi dite che solo in Gerusalemme si deve adorare. Ma, Tu lo dici, Dio è uno solo. Aiutami a vedere dove e come devo fare..."
"Donna, credi a Me. Fra poco viene l'ora in cui né sul monte di Samaria né in Gerusalemme sarà adorato il Padre. Voi adorate Colui che non conoscete. Noi adoriamo Colui che conosciamo, perché la salute viene dai giudei. Ti ricordo i Profeti. Ma viene l'ora, anzi ha già inizio, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, non più col rito antico ma col nuovo rito in cui non saranno sacrifici e ostie di animali consumati col fuoco. Ma il sacrificio eterno dell'Ostia immacolata arsa dal Fuoco della Carità. Culto spirituale nel Regno spirituale. E sarà compreso da coloro che sapranno adorare in spirito e verità. Iddio è Spirito. Quelli che lo adorano lo devono adorare spiritualmente."
"Tu hai sante parole. Io so, perché anche noi qualcosa sappiamo, che il Messia sta per venire, il Messia, Colui che si chiama anche 'il Cristo'. Quando sarà venuto ci insegnerà ogni cosa. Qui presso c'è anche quello che dicono il suo Precursore. E molti vanno a sentirlo. Ma è tanto severo!... Tu sei buono... e le povere anime non hanno paura di Te. Penso che il Cristo sarà buono. Lo dicono Re della Pace. Starà molto a venire?"
"Ti ho detto che il suo tempo è già presente."
"Come lo sai? Sei forse un suo discepolo? Il Precursore ha molti discepoli. Anche il Cristo li avrà"
"Sono io che ti parlo il Cristo Gesù."
"Tu!...Oh!...". La donna, che si era seduta presso Gesù, si alza e fa per fuggire.
"Perché fuggi, donna?"
"Perché ho orrore di mettere me presso a Te. Sei santo..."
"Sono il Salvatore. Sono venuto qui - non era necessario - perché lo sapevo che la tua anima era stanca di essere errante. Ti sei nauseata del tuo cibo... Sono venuto a darti un nuovo cibo e che ti leverà nausea e stanchezza... Ecco i miei discepoli che tornano col mio pane. Ma già Io sono nutrito dall'avere dato a te le briciole iniziali della tua redenzione."
I discepoli sbirciano, più o meno prudentemente, la donna, ma nessuno parla. Lei se ne va senza più pensare all'acqua e all'anfora.
"Ecco, Maestro" dice Pietro "Ci hanno trattato bene. Qui vi è cacio, pane fresco, ulive e mele. Prendi ciò che vuoi. Quella donna ha fatto bene a lasciare l'anfora. Faremo più presto che con le nostre piccole vesciche. Berremo e le faremo piene. Senza avere da chiedere altro ai samaritani. Neppure di avvicinarsi alle loro fontane. Non mangi? Volevo trovarti del pesce, ma non ce n'è. Forse ti piaceva di più. Sei stanco e pallido."
"Ho un cibo che voi non conoscete. Mangerò di quello. Mi ristorerà molto."
I discepoli si guardano fra loro interrogativamente.
Gesù risponde alle loro mute interrogazioni. "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a termine l'opera che è suo desiderio Io compia. Quando un seminatore getta il seme, può forse dire di avere già tutto fatto per dire che ha raccolto? No, davvero. Quanto ancora ha da fare per dire: 'Ecco che la mia opera è compiuta'! E fino a quell'ora non può riposare. Guardate questi campicelli sotto il lieto sole dell'ora di sesta. Solo un mese fa, anche meno di un mese, la terra era nuda, scura per essere bagnata dalle piogge. Ora guardate. Steli e steli di grano, appena spuntati, di un verde tenuissimo, che nella gran luce pare anche più chiaro, la fanno come coperta di un tenue velo biancheggiante. Questa è la messe futura e voi vedendola dite: 'Fra quattro mesi è il raccolto. I seminatori prenderanno i mietitori, perché se uno è sufficiente a seminare il suo campo, molti necessitano per mieterlo. E ambi sono contenti. Tanto colui che ha seminato un piccolo sacchetto di grano, e ora deve preparare granai a riceverlo, come coloro che in pochi giorni guadagnano di che vivere per qualche mese.' Anche nel campo dello spirito coloro che mieteranno ciò che Io ho seminato si rallegreranno con Me, e come Me, perché Io darò loro il mio salario e il frutto debito. Darò di che vivere nel mio Regno eterno. Voi non avete che da mietere. Il più duro lavoro Io l'ho fatto. Eppure vi dico: 'Venite. Mietete nel mio campo. Io sono lieto che voi vi carichiate dei manipoli del mio grano. Quando tutto il mio grano che Io avrò seminato, instancabile, ovunque, sarà da voi raccolto, allora sarà compiuta la volontà di Dio ed Io mi siederò al banchetto della celeste Gerusalemme'. Ecco che vengono i samaritani con Fotinai. Usate carità con essi. Sono anime che vengono a Dio".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 20 marzo 2011, II Domenica di Quaresima - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 17,1-9.
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.
E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».
Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».
All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.
Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete».
Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 349 pagina 354.
Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risveglia ta da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa - dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si dischiudono, co me bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata; all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzio ne di polvere, fumo e sentore di corpi umani -vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo. Vanno in direzione sud est, valicando i colli che fanno coro na a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est. Questi monti sono preceduti dal cono semitronco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri ca rabinieri vista di profilo.Lo raggiungono. Gesù si ferma e dice: «Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Naza ret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo». E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sul la cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare là?».«Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!». «Oh! mio Signore! Non potremmo andare un poco più ada gio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?». «Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza, Simon Pietro! Lassù vi farò riposare». E riprende a salire...
(Dice Gesù: «Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P. M. copierà ciò che ti mostro ora»).
5 agosto 1944.
Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fino nelle lontananze. Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci tro viamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un lar go raggio. Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incasto narsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da sme raldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si incre spa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbia ni, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di un azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli al beri che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umo re. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pia nura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le di verse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più pre coci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud. Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palese mente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa. «Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limi te d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli. Pietro si leva i sandali e ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col ca po su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le pal pebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.6Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi. Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Natu ralmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la lumino sità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile. Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eri ga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vede re più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si ve de talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, in candescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima. Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. «Mae stro, Maestro», chiamano piano ma con ansia. Egli non sente. «È in estasi» dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?». I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano. La Luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e lumi nosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e seve rità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva. I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo nep pure una delle parole dette.I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfran ca e dice: «È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi fac ciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi...». Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda an che Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro oc chi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sem brano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba. «Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compia ciuto. Ascoltatelo». Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a sve nire: «Il Signore parla!». Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto so lo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa. Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome. «Alzatevi. Sono Io. Non temete» dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuoi mostrarli all’Altissimo. «Levatevi, dunque. Ve lo comando» ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride. «Oh! Maestro, Dio mio!» esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come fare mo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che ab biamo udito la voce di Dio?». «Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allo ra parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno». «Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così». «Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rive lazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Fi glio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.
[3 dicembre 1945]. ...Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”.; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia... Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tut ti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella di spensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni so no, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti... e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo... e dopo!... La paura delle paure! La voce di Dio!... Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!». Tu. E ti ha proclamato “suo Fi glio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!... a noi!... Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!... Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo... Ma come ha fatto tua Madre a vedere... a sentire... a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?». «Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi, che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria» dice dolcemente Gesù. «Che cosa! Che cosa!... Ma dopo Tu hai parlato di morte... E ogni gioia è finita... Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?». «Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha vo luto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo... Avete capito?». «Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”». Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.«Non li troveremo» dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti». «Vieni e non crearti stolti pensieri».Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte. «Ohimè! Scribi!... E disputano già!» dice Pietro accennando li. E scende gli ultimi metri a malincuore.Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando: «Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuti in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato». «Di che disputavate fra voi?».«Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è messo Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pre garti. Ascoltalo». Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò. «Maestro» gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché Tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli là si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o ri schia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo!». Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare?». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi. Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio». L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte ros seggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi ma gnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica. Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e di ce: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano». E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo as sale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto acciecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, co me credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici».«Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede».«Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a suffi cienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo» dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il fi glio più che mai in convulsione. Gesù si raddrizza, si tira indietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte: «Spirito ma ledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non rientrarvi mai più!». Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.«È morto!» gridano in molti. «Povero fanciullo!», «Povero padre!» compiangono i migliori. E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno!», oppure: «Maestro, come è? Questa volta Belzebù ti ha fatto fare brutta figura...», e ridono veleno samente. Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha ri voltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, men tre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla...«E ora andiamo» dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via già fatta al mattino.
Dice Gesù:«E ora qui P M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 (quaderno A 930) cominciando dalle parole: “Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nel la gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».
[5 agosto 1944]. Dice Gesù: «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la Chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltan to a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve aver parte meco nella gioia. Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.Mai superbia. Saresti punita perdendomi.Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfe zione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incene rirvi. Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostra to il Cielo.Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho invitati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho cono sciuto e non conosco riposo. Perché il Male non riposa mai e il Bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del Nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiu to. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamen te, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio con tatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la Rive lazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere i se gni dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cri sto nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’Anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito sopran naturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’Anticristo, la pace or mai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al Nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi delle ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo vostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giusti zia e sarà il Vincitore della Bestia e dei suoi servi e profeti, ri conoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla terra, comune al Cristo, al suo Precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è an cora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della crea tura ancora unita alla carne».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 13 marzo 2011, I Domenica di Quaresima - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 4, 1-11.
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo.
E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.
Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane».
Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo».
Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse:
«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai».
Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto».
Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.
Traduzione liturgica della Bibbia 
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.
Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: “Sei solo?”
Gesù lo guarda e non risponde.
“Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?”
Gesù lo guarda da capo e tace.
“Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò.”
Gesù non alza più neppure gli occhi.
“Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni”.
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
“Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te.”
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
“Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa...”
“Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’.”
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
“Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!”
“ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto”.
“Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!”.
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: “Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!”.
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.


Dice Gesù:
“Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem” e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 6 marzo 2011, IX Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 7,21-27. 
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 174 pagina 115. 
[...]
Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita. La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, ad oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolio azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade — perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche diamante rugiadoso sperso fra i suoi steli — paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: “Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…”.
Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. È serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle.
“Fate largo, plebei”, grida una iraconda voce d’uomo. “Fate largo alla bellezza che passa”… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedile Maria di Magdala, gran peccatrice ancora.
E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo. Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla.
“Ecco accontentata la dea”, dice il romano. “Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi”.
Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
È bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: “Rispetto al mio candore”, il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.
Gesù riprende:
“Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo. Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno — il cuore — l’impurità.
Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla Terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda?
Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore. Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…”.
Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che, senza guardarla, Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.
Non vedo altro. Ma Gesù dice: “Vedrai ancora”.

[29 maggio 1945.]
Gesù riprende: “Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio”.
La folla grida: “Sì, sì. Con Te”, e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
“Ma… ce ne andiamo proprio?”.
“Sì”.
“Perché è venuta lei?…”.
“Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani…”.
“Capisco, capisco…”.
“Allora però capisci anche un’altra cosa”.
“Quale, Maestro?”.
“La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti”.
“Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…”.
“E per altri ancora”.
“Pensi che ce ne saranno oggi?”.
“Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto”.
Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.
L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. “Mi vuoi, Maestro?”, chiede.
“Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni”.
“Non ho fame. E neppure Tu”.
“Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?”.
“No, Maestro. Stanco…”.
“Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…”.
Giuda si rianima. “Vieni proprio con me solo?”.
“Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male”.
“Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. È peccato aver bisogno di dormire?”.
“No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera”.
“Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore”.
“Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone”.
Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di “non aver fame e di essere stanco”, corre dai compagni ridendo allegro e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
Gesù lo guarda con compassione e poi si avvia verso gli apostoli.
“Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te””.
“Ma Pietro!”.
“No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene”.
Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: “E tu? Le ulive?”.
“Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse”.
“A chi?”.
“A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi”.
“Ma benissimo!”.
“Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese”.
Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
“Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case”, dice Bartolomeo.
“È vero! È venerdì!”, dicono in diversi.
“Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro”.
Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
“Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via”.
Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.
Gesù sorride e comincia a parlare.
“Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato”.
Cosa è l’adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo ed ha inizio la discesa nel peccato.
Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo càvatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. È vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.
Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio”. Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla Terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge. Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio”. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione. Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio.
Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora”.
Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena”.
La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.
Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!
Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi”.
Ma la folla urla: “Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!”. E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao.
La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/