"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
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Domenica 29 luglio 2018, XVII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,1-15.
In quel tempo, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade,
e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.
Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
«C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?».
Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.
E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto».
Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!».
Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 273 pagina 329.
1Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E, sotto questo fogliame denso, già la luce è molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cade con le pompe finali del giorno.
Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti. «Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».
«Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».
«Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».
«Portatemeli».
«Andrea, va’ a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa. Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

2Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.
«Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».
Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù.

3Portano questi cibi al Maestro.
«Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciassette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…». Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».
«Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».
«Dài del mio. Te lo concedo».
«Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre le donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».
«Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».
«Oh! allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».
«Fàtti dare allora una cesta tu pure».
Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.
«Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».
E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice. Lo scriba non lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce - un pezzettino ben meschino – in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.
«E ora prendete e date a sazietà. Andate.

4Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».
«Uh! come è peso!» dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.
Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti... Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima!». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.
Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E dànno, dànno, dànno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù, che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.
La distribuzione è lunga ed abbondante… e l’unico che non mostra stupore è Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo: «Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…» e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.
Pian piano tornano gli apostoli ed i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.
«Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».
Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

5Intanto la gente satolla si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.
«Maestro» chiede lo scriba «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo parco… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».
«Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo» dice Giovanni.
«Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato» dice Mannaen.
«Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai» dice Bartolomeo.
«Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesci!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Va’ a distribuirli con fede e vedrai!”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato a riluttanza… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!» dice Tommaso.
«No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».
«Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”» dice l’Iscariota. «Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».
«Molto più di Tommaso tu sei “mondo”».
«Ma pure ho pensato di fare elemosina per essere Cielo! Erano denari miei privati…».
«Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio. Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».
Giuda china il capo e tace.
«Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può essere più nutriente di un banchetto» dice Simone Zelote.
«E voi che pensavate?» chiede Pietro ai cugini di Gesù.
«Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo» dice serio Giuda.
«E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».
«No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto a me… È così o sbaglio?».
Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

6Lo scriba conserva una crosta tra le dita.
«Che ne fai?».
«Un… ricordo».
«Lo tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa» dice Pietro.
«Io la porterò alla madre nostra» dice Giovanni.
«E noi? Abbiamo mangiato tutto…» dicono mortificati gli altri.
«Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».
Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.
«Va bene. Andate pure».
Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi, o si cerca un posto per dormire fra gli alti ed asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

7Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormienti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto sul lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il monticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 22 luglio 2015, XVI Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 271 pagina 319.
1È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie e i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua e là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

2Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!» dice facendo un sobbalzo.
Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
«Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
«Là, Maestro. Dorme…».
«Lascialo dormire» dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
«No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
«Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
«E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga».
«Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola, si vedono meglio le alterazioni dei loro visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
«Il bambino ha mangiato prima» spiega Simone.
«È meglio lasciarlo dormire, allora» dice Gesù.
E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

3«Ditemi ora che avete fatto…» incoraggia Gesù.
«Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato» dice Pietro.
«Veramente è stato Simone che lo ha guarito» dice Filippo, che non vuole prendersi una gloria non sua.
«Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivevere insomma, ho avuto quasi paura».
Gesù gli posa la mano sul capo, senza parlare.
«Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me» dice Tommaso.
«Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto» dice Matteo.
«Allora anche Andrea» dice Giacomo d’Alfeo.
«Invece Simone Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”» dice Bartolomeo.
«Hai detto bene, Simone. E voi due?» chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
«Oh! Io non ho fatto nulla» dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
«E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?» chiede Pietro.
«So essere umile anche io» risponde l’Iscariota.
«E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
Giuda assente senza parlare.
«Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
«Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
«Non puoi averne un’altra?».
«Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
«Va’. E appena fatto torna. E non dare molte spiegazioni».
I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli.


4Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
«Maestro, vai lontano?».
«Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure. Conto di andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
«Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
«Forse tutta la settimana e non oltre».
«Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
«Quale, Mannaen?».
«Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…»
«No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dell’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli apostoli che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
«È fatto, Maestro. Possiamo andare».
«Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
Pietro si curva a svegliare Marziam.
«No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io» dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.

5Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori. Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
«Dove, Maestro?» chiede Pietro.
«A Tarichea. Dove sbarcammo dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
«A chi parli, Simone?» chiede Bartolomeo.
«Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa? Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
«Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
«Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
«Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremmo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
«Va bene. Faremo così…»
«Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
«Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
«Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce, e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 15 luglio 2018, XV Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,7-13.
Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 265 pagina 267.
1Gesù con gli apostoli - e ci sono tutti, segno che Giuda Iscariota, compita la sua opera, ha raggiunto i compagni - sono seduti a tavola nella casa di Cafarnao. È sera. La luce del giorno morente entra dalla porta e dalle finestre spalancate, e queste lasciano vedere il mutarsi della porpora del tramonto in un rosso paonazzo irreale, il quale agli orli si sfrangia in accartocciamenti di un color viola ardesia che finisce in grigio. Mi fa pensare ad un foglio di carta gettato sul fuoco, che si accende come il carbone sul quale è stato gettato, ma agli orli, dopo la vampa, si accartoccia e si spegne in un color piombo bluastro che finisce in un grigio perlaceo quasi bianco.«Caldo» sentenzia Pietro, accennando il nuvolone che copre l’occidente di quei colori. «Caldo. Non acqua. Quella è nebbia, non nuvola. Io questa notte dormo nella barca per avere più fresco».«No. Questa notte andiamo fra gli uliveti. Ho bisogno di parlarvi. Ormai Giuda è tornato. È tempo di parlare. Conosco un posto ventilato. Vi staremo bene. Alzatevi e andiamo».«È lontano?» chiedono prendendo i mantelli.«No. Molto vicino. A un trar di frombola dall’ultima casa. Potete lasciare i mantelli. Però prendete esca e acciarino per vederci nel rientrare».Escono dalla stanza alta e scendono la scaletta dopo avere salutato il padrone e la moglie che frescheggiano sul terrazzo. Gesù volta risolutamente le spalle al lago e, traversato il paese, fa un duecento o trecento metri fra gli ulivi di una prima collinetta che è alle spalle del paese. Si ferma su un ciglio che, per la sua posizione sporgente e libera da ostacoli, gode di tutta l’aria possibile a godersi in quella notte d’afa.
2«Sediamo e prestatemi attenzione. È venuta l’ora della vostra evangelizzazione. Sono a metà circa della mia vita pubblica per preparare i cuori al mio Regno. Ora è tempo che anche i miei apostoli prendano parte alla preparazione di questo Regno. I re fanno così quando hanno deciso la conquista di un regno. Prima indagano e avvicinano persone per sentire le reazioni e lavorarle all’idea che perseguono. Poi estendono l’opera preparatoria con messi fidati, mandati nel paese da conquistare. E sempre più ne mandano finché tutto il paese è noto nelle sue particolarità geografiche e morali. Poi, fatto questo, il re porta a compimento l’opera proclamandosi re di quel luogo e incoronandosi tale. E sangue scorre per fare questo. Perché le vittorie costano sempre del sangue…».«Noi siamo pronti a combattere per Te e a versare il nostro sangue» promettono unanimemente gli apostoli.«Io non verserò altro sangue che quello del Santo dei santi».«Vuoi iniziare dal Tempio la conquista, irrompendo nell’ora dei sacrifici?…».«Non divaghiamo, amici. Il futuro lo saprete a suo tempo. Ma non fremete d’orrore. Vi assicuro che non sconvolgerò le cerimonie con la violenza di una irruzione. Eppure saranno sconvolte e vi sarà una sera in cui il terrore impedirà la preghiera rituale. Il terrore dei peccatori. Ma Io, quella sera, sarò in pace. In pace collo spirito mio e col mio corpo. Una pace totale, beata…».Gesù guarda uno per uno i suoi dodici, ed è come se guardasse la stessa pagina per dodici volte e vi leggesse per dodici volte la parola che vi è scritta: incomprensione. Sorride e prosegue.
3«Dunque ho deciso di mandarvi per penetrare più avanti e più ampiamente di quanto possa fare Io da solo. Però fra il mio modo di evangelizzare e il vostro vi saranno differenze prudenziali che Io metto per non portarvi a difficoltà troppo forti, in pericoli troppo seri per la vostra anima e anche per il vostro corpo, e per non nuocere all’opera mia. Voi non siete ancora formati al punto da poter avvicinare chicchessia senza averne danno o senza fargli danno, e tanto meno siete eroici al punto di sfidare il mondo per l’Idea andando incontro alle vendette del mondo. Perciò, andando a predicarmi non andate fra i gentili e non entrate nelle città dei samaritani, ma andate dalle pecorelle sperdute della casa d’Israele. Vi è tanto da fare anche fra queste, perché in verità vi dico che le turbe che vi paiono tante, intorno a me, sono la centesima parte di quelle che in Israele ancora attendono il Messia e non lo conoscono né sanno che è vivente. Portate a queste la fede e la conoscenza di Me.Nel vostro cammino predicate dicendo: “Il Regno di Cieli è vicino”. Sia questo l’annuncio base. Su questo appoggiate tutta la vostra predicazione. Tanto avete sentito parlare del Regno da Me! Non avete che a ripetere ciò che Io vi ho detto. Ma l’uomo, per essere attirato e convinto sulle verità spirituali, ha bisogno di dolcezze materiali, come fosse un eterno bambino che non studia una lezione e non impara un mestiere se non è allettato da un dolce della mamma o un premio del maestro di scuola o del maestro del mestiere. Io, perché voi abbiate il mezzo per essere creduti e cercati, vi concedo il dono del miracolo...».Gli apostoli scattano in piedi, meno Giacomo d’Alfeo e Giovanni, urlando, protestando, esaltandosi, ognuno a seconda del temperamento. Veramente, che si pavoneggi nell’idea del miracolo da fare non c’è che l’Iscariota che, con quel po’ po’ di conto che ha sull’anima di un’accusa falsa e interessata, esclama: «Era ora che noi pure si facesse questo per avere un minimo di autorità sulle turbe!».Gesù lo guarda ma non dice nulla. Pietro e lo Zelote che stanno dicendo: «No, Signore! Noi non siamo degni di tanto! Ciò spetta ai santi», dànno sulla voce a Giuda, dicendo lo Zelote: «Come ti permetti di fare rimprovero al Maestro, uomo stolto ed orgoglioso?», e Pietro: «Il minimo? E che vuoi fare di più del miracolo? Diventare Dio tu pure? Hai lo stesso prurito di Lucifero?».«Silenzio!» intima Gesù. E prosegue: «Vi è una cosa che è ancor più del miracolo e che convince ugualmente le folle e con maggiore profondità e durata: una vita santa. Ma da questa voi siete ancora lontani, e tu, Giuda, più lontano degli altri. Ma lasciatemi parlare perché è una lunga istruzione.
4Andate perciò guarendo gli infermi, mondando i lebbrosi, risuscitando i morti del corpo o dello spirito, perché corpo e spirito possono essere ugualmente infermi, lebbrosi, morti. E voi anche sapete come si fa ad operare miracolo: con una vita di penitenza, una preghiera fervente, un sincero desiderio di far brillare la potenza di Dio, un’umiltà profonda, una viva carità, una accesa fede, una speranza che non si turba per difficoltà di sorta. In verità vi dico che tutto è possibile a chi ha in sé questi elementi. Anche i demoni fuggiranno di fronte al Nome del Signore detto da voi, avendo in voi quanto ho detto. Questo potere vi viene dato da Me e dal Padre nostro. Non si compera con nessuna moneta. Solo il nostro volere lo concede e solo la vita giusta lo mantiene. Ma, come vi è stato dato gratis, così gratuitamente datelo agli altri, ai bisognosi di esso. Guai a voi se avvilirete in dono di Dio facendolo servire per impinguare la vostra borsa. Non è vostra potenza, è potenza di Dio. Usatela, ma non ve ne appropriate dicendo: “È mia”. Come vi viene data, così vi può essere tolta. Simone di Giona poco fa a detto a Giuda di Simone: “Hai tu lo stesso prurito di Lucifero?”. Ha detto una giusta definizione. Dire: “Io faccio ciò che fa Dio perché io sono come Dio” è imitare Lucifero. E il suo castigo è noto. Come noto è ciò che avvenne ai due che nel paradiso terrestre mangiarono il frutto proibito, per istigazione dell’Invidioso, che voleva mettere altri infelici nel suo Inferno, oltre ai ribelli angelici che già vi erano, ma anche per prurito loro proprio di superbia perfetta. Unico frutto che vi è lecito prendere da ciò che fate sono le anime che col miracolo conquisterete al Signore e che al Signore vanno date. Ecco le vostre monete. Non altre. Nell’altra vita ne godrete il tesoro.
5Andate senza ricchezze. Non portate con voi né oro, né argento, né monete nelle vostre cinture, non sacca da viaggio con due o più vesti e doppi calzari, né bastone da pellegrino, né armi da uomo. Perché le vostre visite apostoliche per ora saranno corte, ed ogni vigilia di sabato ci ritroveremo e potrete deporre le vesti sudate senza avere bisogno di portarvi dietro il ricambio. Non occorre il bastone perché qui dolce è il cammino, e ciò che serve su colli e pianure è ben diverso da ciò che serve nei deserti e sui monti alti. Non occorrono armi. Queste sono buone per l’uomo che non conosce la santa povertà e ignora il divino perdono. Ma voi non avete tesori da tutelare e difendere dai ladroni. Unico da temere, unico ladrone per voi è Satana. Ed esso si vince con la costanza e la preghiera, non con spade e pugnali. A chi vi offende perdonate. Se vi spogliassero del mantello, date anche la veste. Rimaneste anche nudi affatto per mitezza e distacco dalle ricchezze, non scandalizzerete gli angeli del Signore e neppure l’infinita Castità di Dio, perché la vostra carità vestirebbe di oro il vostro corpo nudo, e la mitezza vi farebbe ornata cintura, e di perdono verso il ladrone vi darebbe manto e corona regale. Sareste perciò vestiti meglio di un re. E non di stoffe corruttibili, ma di materie incorruttibili.Non abbiate preoccupazioni per il vostro nutrimento. Avrete sempre quanto è appropriato alla vostra condizione e al vostro ministero, perché l’operaio è degno del nutrimento che gli viene porto. Sempre. E se gli uomini non provvedessero, Dio provvederebbe al suo operaio. Già vi ho mostrato che per vivere e per predicare non è necessario avere i ventri colmi del cibo ingurgitato. Ciò serve agli animali immondi, la cui missione è quella di ingrassare, per essere uccisi per ingrassare gli uomini. Ma voi non dovete che impinguare lo spirito vostro e altrui di cibi sapienziali. E la Sapienza si illumina ad una mente che la crapula non rende ottusa e ad un cuore che si nutre di cose soprannaturali. Voi non siete mai stati tanto eloquenti come dopo il ritiro sul monte. E allora mangiaste solo quanto era necessario per non morire. Eppure al termine del ritiro eravate forti e ilari come non mai. Non è forse vero?
6In qualunque città o luogo entrerete, informatevi che vi sia chi meriti di accogliervi. Non perché siete Simone, o Giuda, o Bartolomeo, o Giacomo, o Giovanni, e così via. Ma perché siete i messi del Signore. Foste anche stati dei rifiuti, degli assassini, dei ladri, dei pubblicani, pentiti ora e al mio servizio, meritate rispetto perché miei messi. Dico più ancora. Dico: guai a voi se avete l’apparenza di miei messi e nell’interno siete abbietti e insatanassati. Guai a voi! L’inferno è ancor poco per quello che meritate per il vostro inganno. Ma anche foste contemporaneamente messi di Dio in palese, e rifiuti, pubblicani, ladri, assassini in occulto, o anche un sospetto fosse nei cuori verso di voi, una quasi certezza, vi va dato ancora onore e rispetto perché siete miei messi. L’occhio dell’uomo deve sorpassare il mezzo e vedere il messo e il fine, vedere Dio e la sua opera al di là del mezzo troppo spesso manchevole. Solo in casi di colpa grave, ledente la fede dei cuori, Io per ora, poi chi mi succederà, provvederanno a recidere il membro guasto. Perché non è lecito che per un sacerdote demonio si perdano anime di fedeli. Non sarà mai lecito, per nascondere le piaghe nate nel corpo apostolico, permettere sopravvivenza in esso di corpi incancreniti che col loro aspetto ripugnante allontanano e col loro fetore demoniaco avvelenano.Voi dunque vi informerete quale è la famiglia di vita più retta, là dove le donne sanno stare ritirate e i costumi sono castigati. E là entrerete e dimorerete finché non partiate dal luogo. Non imitate i fuchi che, dopo aver succhiato un fiore, passano ad altro più nutriente. Voi, sia che siate capitati tra persone di buon letto e ricca mensa, o sia che siate capitati in umile famiglia ricca solo di virtù, rimanete dove siete. Non cercate mai il “meglio” per il corpo che perisce. Ma, anzi, date ad esso sempre il peggio, riserbando tutti i diritti allo spirito. E, ve lo dico perché è bene lo facciate, date, sol che lo possiate fare, la preferenza ai poveri per la vostra sosta. Per non umiliarli, per ricordo di Me che sono e resto povero e di esser povero me ne vanto, e anche perché i poveri sono sovente migliori dei ricchi. Troverete sempre poveri giusti, mentre raro sarà trovare un ricco senza ingiustizia. Non avete perciò la scusa di dire: “Non ho trovato bontà altro che nei ricchi” per giustificare la vostra smania di benessere.Nell’atto di entrare nella casa salutate col mio saluto, che è il più dolce che vi sia. Dite: “La pace sia con voi. La pace sia in questa casa”, oppure “la pace venga in questa casa”. Infatti voi, messi di Gesù e della Buona Novella, portate con voi la pace, e la vostra venuta in un luogo è far venire la pace in esso. Se la casa ne è degna, la pace verrà e permarrà in essa; se non ne è degna, la pace tornerà a voi. Però badate di essere voi pacifici onde avere Dio come vostro Padre. Un padre aiuta sempre. E voi, aiutati da Dio, farete tutto, e tutto bene.Può darsi anche, anzi certo avverrà, che vi sarà città o casa che non vi ricevono e non vogliono ascoltare le vostre parole cacciandovi o deridendovi, o anche inseguendovi a colpi di pietra come profeti noiosi. E qui avrete più che mai bisogno di essere pacifici, umili, miti per abito di vita. Perché altrimenti l’ira prenderà il sopravvento e voi peccherete scandalizzando e aumentando l’incredulità dei convertendi. Mentre, se riceverete l’offesa di essere cacciati, derisi, inseguiti con pace, voi convertirete con la predica più bella: quella silenziosa della virtù vera. Ritroverete un giorno i nemici di oggi sul vostro cammino e vi diranno: “Vi abbiamo cercato perché il vostro modo di agire ci ha fatti persuasi della Verità che annunciate. Vogliate perdonarci e accoglierci per discepoli. Perché noi non vi conoscevamo, ma ora vi conosciamo per santi. Perciò, se santi siete, dovete essere i messi di un santo, e noi crediamo ora in Lui”. Ma, nell’uscire dalla città o casa dove non siete stati accolti, scuotete da voi anche la polvere dei vostri calzari, acciò la superbia e la durezza di quel luogo non si apprenda neppure alle vostre suole. In verità vi dico: nel giorno del Giudizio, Sodoma e Gomorra saranno trattate meno duramente di quella città.
7Ecco: Io vi mando come pecore fra i lupi. Siate dunque prudenti come le serpi e semplici come le colombe. Perché voi sapete come il mondo, che in verità è più di lupi che di pecore, usa anche con Me che sono il Cristo. Io posso difendermi col mio potere e lo farò finché non è l’ora del trionfo temporaneo del mondo. Ma voi non avete questo potere e vi necessita maggior prudenza e semplicità. Maggiore accortezza, perciò, per evitare per ora carceri e flagellazioni. In verità voi, per ora, nonostante le vostre proteste di voler dare il sangue per Me, non sopportate neppure uno sguardo ironico o iracondo. Poi verrà un tempo in cui sarete forti come eroi contro tutte le persecuzioni, forti più di eroi, di un eroismo inconcepibile secondo il mondo, inspiegabile, e verrà detto “follia”. No, che follia non sarà! Sarà l’immedesimazione per forza di amore dell’uomo con l’Uomo Dio, e voi saprete fare ciò che Io avrò già fatto. Per capire questo eroismo occorrerà vederlo, studiarlo e giudicarlo da piani ultraterreni. Perché è cosa soprannaturale che esula da tutte le restrizioni della natura umana. I re, i re dello spirito saranno i miei eroi, in eterno re ed eroi….In quel tempo vi arresteranno mettendovi le mani addosso, trascinandovi davanti ai tribunali, davanti ai presidi ed ai re, onde vi giudichino e vi condannino per il grande peccato, agli occhi del mondo, di essere i servi di Dio, ministri e tutori del Bene, i maestri delle virtù. E per essere questo sarete flagellati e in mille guise puniti, fino ad essere uccisi. E voi renderete testimonianza di Me ai re, ai presidi, alle nazioni, confessando col sangue che voi amate Cristo, il Figlio vero di Dio Vero.Quando sarete nelle loro mani, non vi mettete in pena su ciò che avete a rispondere e di quanto avrete a dire. Nessuna pena abbiate allora che non sia quella dell’afflizione verso i giudici e gli accusatori che Satana travia al punto da renderli ciechi alla Verità. Le parole da dire vi saranno date in quel momento. Il Padre vostro ve le metterà sulle labbra, perché allora non sarete voi che parlerete per convertire alla Fede e professare la Verità, ma sarà lo Spirito del Padre vostro quello che parlerà in voi.
8Allora il fratello darà la morte al fratello, il padre al figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. No, non tramortite e non vi scandalizzate! Rispondete a Me. Per voi è più grande delitto uccidere un padre, un fratello, un figlio, o Dio stesso?».«Dio non si può uccidere» dice secco Giuda Iscariota«È vero. È Spirito imprendibile» conferma Bartolomeo. E gli altri, pur tacendo, sono dello stesso parere.«Io sono Dio, e Carne sono» dice calmo Gesù.«Nessuno pensa ad ucciderti» ribatte l’Iscariota.«Vi prego: rispondete alla mia domanda».«Ma è più grave uccidere Dio! Si intende!».«Ebbene: Dio sarà ucciso dall’uomo, nella Carne dell’Uomo Dio e nell’anima degli uccisori dell’Uomo Dio. Dunque, come si giungerà a questo delitto senza orrore in chi lo compie, parimenti si giungerà al delitto dei padri, dei fratelli, dei figli, contro i figli, i fratelli, i padri.
9Sarete odiati da tutti a causa del mio Nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvo. E quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra. Non per viltà, ma per dare tempo alla neonata Chiesa di Cristo di giungere ad età non più di lattante debole e inetto, ma ad una età maggiore in cui sarà capace di affrontare la vita e la morte senza temere Morte. Quelli che lo Spirito consiglierà a fuggire, fuggano. Come Io sono fuggito quando ero pargolo. In verità, nella vita della mia Chiesa si ripeteranno tutte le vicende della mia vita d’uomo. Tutte. Dal mistero del suo formarsi all’umiltà dei primi tempi, ai turbamenti e insidie date dai feroci, alla necessità di fuggire per continuare a esistere, dalla povertà e dal lavoro indefesso fino a molte altre cose che Io vivo attualmente, che patirò in seguito, prima di giungere al trionfo eterno. Quelli invece che lo Spirito consiglia di rimanere, restino. Perché, anche se cadranno uccisi, essi vivranno e saranno utili alla Chiesa. Perché è sempre bene ciò che lo Spirito di Dio consiglia.
10In verità vi dico che non finirete, voi e chi vi succederà, di percorrere le vie e le città d’Israele prima che venga il Figlio dell’uomo. Perché Israele, per un suo tremendo peccato, sarà disperso come pula investita da un turbine e sparso per tutta la terra, e secoli e millenni, uno dopo un altro uno, e oltre, si succederanno prima che sia di nuovo raccolto sull’aia di Areuna Gebuseo. Tutte le volte che lo tenterà, prima dell’ora segnata, sarà nuovamente preso dal turbine e disperso, perché Israele dovrà piangere il suo peccato per tanti secoli quante sono le stille che pioveranno dalle vene dell’Agnello di Dio immolato per i peccati del mondo. E la Chiesa mia dovrà pure, essa che sarà stata colpita da Israele in Me e nei miei apostoli e discepoli, aprire braccia di madre e cercare di raccogliere Israele sotto il suo manto come una chioccia fa coi pulcini sviati. Quando Israele sarà tutto sotto il manto della Chiesa di Cristo, allora Io verrò.
11Ma queste saranno le cose future. Parliamo delle immediate.Ricordatevi che il discepolo non è da più del Maestro, né il servo da più del Padrone. Perciò basti al discepolo di essere come il Maestro, ed è già immeritato onore; e al servo di essere come il Padrone, ed è già soprannaturale bontà concedervi che ciò sia. Se hanno chiamato Belzebù il Padrone di casa, come chiameranno i suoi servi? E potranno i servi ribellarsi se il Padrone non si ribella, non odia e maledice, ma calmo nella sua giustizia continua la sua opera, trasferendo il giudizio ad altro momento, quando, dopo aver tutto tentato per persuadere, avrà visto in essi l’ostinazione nel Male? No. Non potranno i servi fare ciò che non fa il Padrone, ma bensì imitarlo, pensando che essi sono anche peccatori mentre Egli era senza peccato. Non temete dunque quelli che vi chiameranno: “demoni”. La verità verrà un giorno che sarà nota, e si vedrà allora chi era il “demonio”. Se voi o loro. Non c’è niente di nascosto che non si abbia a rivelare, e niente di segreto che non si abbia a sapere. Quello che ora Io vi dico nelle tenebre e in segreto, perché il mondo non è degno di sapere tutte le parole del Verbo - non è ancora degno di questo, né è ora di dirlo anche agli indegni - voi, quando sarà l’ora che tutto deve essere noto, ditelo nella luce, dall’alto dei tetti gridate ciò che ora Io vi sussurro più all’anima che all’orecchio. Perché allora il mondo sarà stato battezzato dal Sangue, e Satana avrà contro uno stendardo per cui il mondo potrà, volendo, comprendere i segreti di Dio, mentre Satana non potrà nuocere altro che su chi desidera il morso di Satana e lo preferisce al mio bacio. Ma otto parti su dieci del mondo non vorranno comprendere. Solo le minoranze saranno volenterose di sapere tutto per seguire tutto che è mia Dottrina. Non importa. Siccome non si può separare queste due parti sante dalla massa ingiusta, predicate anche dai tetti la mia Dottrina, predicatela dall’alto dei monti, sui mari senza confine, nelle viscere della terra. Se anche gli uomini non l’ascolteranno, raccoglieranno le divine parole gli uccelli e i venti, i pesci e le onde, e ne serberanno l’eco le viscere del suolo per dirlo alle interne sorgenti, ai minerali, ai metalli, e ne gioiranno tutti, perché essi pure sono creati da Dio per essere di sgabello ai miei piedi e di gioia al mio cuore.Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima, ma temete solo quello che può mandare a perdizione la vostra anima e ricongiungere nell’ultimo Giudizio questa al risorto corpo, per gettarli nel fuoco dell’Inferno. Non tenete. Non si vendono forse due passeri per un soldo? Eppure, se il Padre non lo permette, non uno di essi cadrà nonostante tutte le insidie dell’uomo. Non temete dunque. Voi siete noti al Padre. Noti gli sono nel loro numero anche i capelli che avete sul capo. Voi siete dappiù di molti passeri! Ed Io vi dico che chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anche Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei Cieli. Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anche Io lo rinnegherò davanti al Padre mio. Riconoscere qui è per seguire e praticare; rinnegare è abbandonare la mia via per viltà, per concupiscenza triplice, o per calcolo meschino, per affetto umano verso uno dei vostri, contrari a Me. Perché ci sarà questo.
12Non pensate che Io sia venuto per mettere concordia sulla terra, e per la terra. La mia pace è più alta delle calcolate paci per il barcamenare di ogni giorno. Non sono venuto a mettere la pace, ma la spada. La spada tagliente per recidere le liane che trattengono nel fango e aprire le vie ai voli nel soprannaturale. Perciò Io sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. Perché Io sono Colui che regna e ha ogni diritto sui suoi sudditi. Perché nessuno è più grande di Me nei diritti sugli affetti. Perché in Me si accentrano tutti gli amori sublimandosi, ed Io sono Padre, Madre, Sposo, Fratello, Amico, e vi amo come tale, e come tale vado amato. E quando dico: “Voglio”, nessun legame può resistere e la creatura è mia. Io col Padre, l’ho creata, Io da Me stesso la salvo, Io ho il diritto di averla.In verità i nemici dell’uomo sono gli uomini oltre che i demoni; e i nemici dell’uomo nuovo, del cristiano, saranno quelli di casa, coi loro lamenti, minacce o suppliche. Chi però d’ora in poi amerà il padre o la madre più di Me non è degno di Me; chi ama il figlio o la figlia più di Me non è degno di Me. Chi non prende la sua croce quotidiana, complessa, fatta di rassegnazioni, di rinunce, di ubbidienze, di eroismi, di dolori, di malattie, di lutti, di tutto quello che manifesta la volontà di Dio o una prova dell’uomo, e con essa non mi segue, non è degno di Me. Chi tiene conto della sua vita terrena più di quella spirituale, perderà la Vita vera. Chi avrà perduto la sua vita terrena per amore mio la ritroverà eterna e beata.
13Chi riceve voi riceve Me. Chi riceve Me riceve Colui che mi ha mandato. Chi riceve un profeta come un profeta riceverà premio proporzionato alla carità data al profeta, chi un giusto come un giusto riceverà un premio proporzionato al giusto. E ciò perché chi riconosce nel profeta il profeta è segno che è profeta lui pure, ossia molto santo perché tenuto fra le braccia dallo Spirito di Dio, e chi avrà riconosciuto un giusto come giusto, dimostra di essere lui stesso giusto, perché le anime simili si riconoscono. Ad ognuno dunque sarà dato secondo giustizia.Ma a chi avrà dato anche un solo calice d’acqua pura ad uno dei miei servi, fosse anche il più piccolo - e sono servi di Gesù tutti quelli che lo predicano con una vita santa, e possono esserlo i re come i mendicanti, i sapienti come coloro che non sanno nulla, i vecchi come i pargoli, perché in tutte le età e le classi si può essere miei discepoli - chi avrà dato ad un mio discepolo anche un calice d’acqua in mio nome e perché mio discepolo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa.
14Ho detto. Ora preghiamo e poi andiamo a casa. All’alba partirete e così: Simone di Giona con Giovanni, Simone Zelote con Giuda Iscariota, Andrea con Matteo, Giacomo d’Alfeo con Tommaso, Filippo con Giacomo di Zebedeo, Giuda mio fratello con Bartolomeo. Questa settimana così. Poi darò il nuovo ordine. Preghiamo».E pregano ad alta voce…
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 8 luglio 2018, XIV Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,1-6.
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i discepoli lo seguirono.
Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?
Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.
E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 246 pagina 122.
1Ancora la sinagoga di Nazaret, in giorno di sabato, però.
Gesù ha letto l’apologo contro Abimelec e termina con le parole: «esca la lui un fuoco e divori i cedri del Libano”». Poi rende al sinagogo il rotolo.
«Il resto non lo leggi? Bene sarebbe per far comprendere l’apologo» dice il sinagogo.
«Non occorre. Il tempo di Abimelec è molto lontano. Io applico al momento di ora l’apologo antico.
Udite, genti di Nazaret. Voi già sapete, per istruzione del vostro sinagogo, il quale fu istruito a suo tempo da un rabbi, e questo da un altro ancora, e così via da secoli, e sempre con lo stesso metodo e con le stesse conclusioni, le applicazioni dell’apologo contro Abimelec. Da Me sentirete un’altra applicazione. E vi prego, del resto, di saper usare della vostra intelligenza e non essere come corde appoggiate sulle carrucole del pozzo, che finché non sono logore vanno dalla carrucola all’acqua, dall’acqua alla carrucola senza mia poter cambiare. L’uomo non è un canapo obbligato, né un arnese meccanico. L’uomo è dotato di un cervello intelligente e lo deve saper usare di suo, a seconda dei bisogni e delle circostanze. Perché, se la lettera della parola è eterna, le circostanze cambiano. Miseri quei maestri che non sanno saper volere la fatica e la soddisfazione di estrarre volta per volta l’insegnamento nuovo, ossia lo spirito che le parole antiche e sapienti contengono sempre. Saranno simili a echi che non possono che ripetere, magari dieci e dieci volte, una sola parola, senza mettervene pur una di loro.

2Gli alberi, ossia l’umanità raffigurata nel bosco dove sono radunate tutte le specie di piante, di arbusti e di erbe, sentono il bisogno di essere condotti da uno che si aggravi di tutte le glorie ma anche, ed è peso ben maggiore, di tutti i gravami dell’autorità, dell’essere il responsabile della felicità o infelicità dei sudditi, il responsabile presso i sudditi, presso i popoli vicini e, ciò che è tremendo, presso Dio. Perché le corone o le preminenze sociali, quali che siano, sono date dagli uomini, è vero, ma permesse da Dio, senza la quale condiscendenza nessuna forza umana può imporsi. Cosa che spiega gli impensabili e improvvisi mutamenti di dinastie che parevano eterne, e di potenze che parevano intoccabili, e che, quando passarono la misura nell’essere punizioni ai popoli o prova dei popoli, furono rovesciate dagli stessi, per permesso di Dio, divenendo nulla, polvere, talora fango di bassa cloaca.
Ho detto: i popoli sentono il bisogno di eleggersi uno che si aggravi di tutte le responsabilità verso i sudditi, verso le nazioni vicine e verso Dio, ciò che è più tremendo di tutto. Perché, se il giudizio della storia è tremendo, e invano cercano interessi di popoli di mutarlo, perché eventi e popoli futuri lo renderanno alla sua prima tremenda verità, ancor peggio è il giudizio di Dio, il quale non subisce pressioni da chicchessia, e non è soggetto a mutamenti di umore e di giudizio, come troppo spesso gli uomini lo sono, e tanto meno è soggetto a errori di giudizio. Occorrerebbe perciò che gli eletti ad essere capi di popoli e creatori di storia agissero con la giustizia eroica propria dei santi, per non essere infamati nei secoli futuri e puniti da Dio nei secoli dei secoli.

3Ma torniamo all’apologo di Abimelec. Gli alberi dunque vollero eleggersi un re e andarono dall’ulivo. Ma questo, albero sacro e consacrato ad usi soprannaturali, per l’olio che arde davanti al Signore ed è parte preponderante nelle decime e nei sacrifizi, che presta il suo liquido a formare il balsamo santo per l’unzione dell’altare, dei sacerdoti e dei re, e scende con proprietà direi quasi taumaturgiche nei corpi o sui corpi malati, rispose: “Come posso io mancare alla mia vocazione santa e soprannaturale per avvilirmi in cose della terra?”
Oh! La dolce risposta dell’ulivo! Perché mai non è imparata e praticata da tutti coloro che Dio elegge a santa missione, almeno da quelli, dico almeno? Perché in verità andrebbe detta da ogni uomo in risposta alle suggestioni del demonio, dato che ogni uomo è re e figlio di Dio, dotato di un’anima che tale lo fa, regale, figlialmente divino, chiamato a destino soprannaturale. Ha un’anima che è un altare e una casa. L’altare di Dio, la casa dove il Padre dei Cieli scende a ricevere amore e riverenza dal figlio e suddito. Oggi uomo ha un’anima, ed ogni anima essendo altare fa dell’uomo che la contiene un sacerdote, custode dell’altare, ed è detto nel Levitico: “Il Sacerdote non si contamini”. L’uomo dunque avrebbe il dovere di rispondere alle tentazioni del demonio, del mondo e della carne: “Posso io cessare di essere spirituale per occuparmi di cose materiali e peccaminose?”.

4Gli alberi andarono allora dal fico, invitandolo a regnare su loro. Ma il fico rispose: “Come posso io rinunziare alla mia dolcezza ed ai miei soavissimi frutti per divenire vostro re?”.
Molti si volgono a colui che è dolce per averlo re. Non tanto per ammirazione della sua dolcezza quanto perché sperano che per essere molto dolce finisca col diventare un re da burla, dal quale si possa attendere ogni consenso e sul quale permettersi ogni licenza. Ma la dolcezza non è debolezza. È bontà. Giusta. Intelligente. Ferma. Non scambiate mai la dolcezza con la debolezza La prima è virtù, la seconda è difetto. E appunto essendo virtù comunica a chi la possiede una dirittura di coscienza che gli permette di resistere alle sollecitazioni e seduzioni umane, intese a piegarlo verso di oro interessi, che non sono gli interessi di Dio, rimanendo fedele al suo destino, ad ogni costo. Il dolce di spirito non ribatterà mai con asprezza le rampogne altrui, non respingerà mai con durezza chi lo reclama. Ma però, con perdoni e sorriso, dirà sempre: “Fratello, lasciami alla mia dolce sorte. Io sono qui per consolarti ed aiutarti, ma non posso divenire re, quale tu pensi, perché di un’unica regalità mi curo e preoccupo, per l’anima mia e per l’anima tua: di quella spirituale”.

5Gli alberi andarono dalla vite a chiederle di essere il loro re. Ma la vite rispose: “Come posso io rinunciare ad essere allegrezza e forza per venire a regnare su voi?”.
L’essere re, e per le responsabilità e per i rimorsi, perché più raro di diamante nero è il re che non pecca e non si crea rimorsi, porta sempre a cupezze di spirito. La potenza seduce finché splende come un faro da lontano, ma quando la si è raggiunta si vede che non è che un lume di lucciola e non di stella. E anche: la potenza non è che una forza legata dai mille canapi dei mille interessi che si agitano intorno ad un re. Interessi di cortigiani, interessi di alleati, interessi personali e di parentele. Quanti re giurano a se stessi, mentre l’olio li consacra: “Io sarò imparziale”, e poi non sanno esserlo? Come un albero potente che non si ribella al primo abbraccio dell’edera molle e sottile dicendo: “È tanto esile che non mi può nuocere” e anzi si compiace di esserne inghirlandato e di esserne il protettore che la sorregge nel suo salire, così sovente, potrei dire sempre, il re cede al primo abbraccio di un interesse cortigiano, alleato, personale o di parentela che a lui si volge, e si compiace di esserne il munifico protettore. “È tanto poca cosa!” dice anche se la coscienza gli grida: “Bada!”. E pensa non possa nuocergli né nel potere, né nel buon nome.
Anche l’albero crede così. Ma viene il giorno che, ramo dopo ramo, crescendo in robustezza e in lunghezza, crescendo nella voracità di suggere linfe del suolo e salire alla conquista di luce e di sole, l’edera abbraccia tutto l’albero potente, lo soverchia, lo soffoca, l’uccide. Ed era tanto esile! E lui era tanto forte! Anche per i re, è così. Un primo compromesso con la propria missione, una prima alzata di spalle alla voce della propria coscienza, perché le lodi sono dolci, perché l’aria di protettore ricercato piace, e viene il momento in cui il re non regna, ma regnano gli interessi altrui e lo imprigionano, lo imbavagliano fino a soffocarlo e lo sopprimono se, divenuti più forte di lui, vedono che egli non si affretta a morire. Anche l’uomo comune, sempre un re nello spirito, si perde se accetta regalità minori per superbia, per avidità. E perde la sua serenità spirituale che gli viene dall’unione con Dio. Perché il demonio, il mondo e la carne possono dare un illusorio potere e godere, ma a costo della allegrezza spirituale che viene dall’unione con Dio.
Allegrezza e forza dei poveri di spirito, ben meritate che l’uomo sappia dire: “E come posso accettare di divenire re nella parte inferiore se, venendo ad alleanza con voi, io perdo forza e allegrezza interna e il Cielo e la sua regalità vera?”. E possono anche dire, questi beati poveri di spirito che hanno solo la mira di possedere il Regno dei Cieli e sprezzano ogni altra ricchezza che quel regno non sia, e possono anche dire: “E come possiamo venire meno alla nostra missione, che è quella di maturare succhi fortificatori e di allegrezza per questa umanità sorella, che vive nell’arido deserto della animalità e che ha bisogno di essere dissetata per non morire, per essere nutrita di succhi vitali come un bimbo privo di nutrice? Noi siamo le nutrici dell’umanità che ha perduto il seno di Dio, che erra sterile e malata, che giungerebbe alla disperata morte, ai neri scetticismi, se non trovasse noi che, con l’allegra operosità dei liberi da ogni laccio terreno, li facessimo persuasi che vi è una Vita, una Gioia, una Libertà, una Pace. Non possiamo rinunciare a questa carità per un interesse meschino”.

6Gli alberi andarono allora dallo spino. Questo non li respinse. Ma impose patti severi: “Se mi volete per re, venite sotto di me. Ma se non lo volete fare, dopo avermi eletto, io farò di ogni spino tormento acceso e arderò tutti voi, anche i cedri del Libano”.
Ecco le regalità che il mondo accetta per vere! La prepotenza e la ferocia sono, per l’umanità corrotta, scambiate per vera regalità, mentre la mitezza e la bontà vengono prese per stoltezza e bassi sentimenti. L’uomo non si sottomette al Bene ma si sottomette al Male. Ne è sedotto. E conseguentemente ne è arso.
Questo è l’apologo di Abimelec.

7Ma Io ora ve ne propongo un altro. Non lontano e per fatti lontani. Ma vicino e presente.
Gli animali pensarono di eleggersi un re. Ed essendo astuti pensarono di eleggersi uno che non desse timore di essere forte o feroce. Scartarono dunque il leone e tutti i felini. Dissero di non volere le rostrate aquile né nessun altro uccello di rapina. Diffidarono del cavallo che con rapidità poteva raggiungerli e vedere le loro azioni; e ancor più diffidarono dell’asino di cui sapevano la pazienza ma anche le subite furie e i potenti zoccoli. Inorridirono di avere per re la scimmia perché troppo intelligente e vendicativa. Con la scusa che il serpente si era prestato a Satana per sedurre l’uomo, dissero di non volerlo a re nonostante i suoi vaghi colori e l’eleganza delle sue mosse. In realtà non lo vollero perché ne conoscevano il silenzioso incedere, il forte potere dei suoi muscoli, il tremendo agire del suo veleno. Darsi come re un toro o altro animale munito di aguzze corna? Ohibò! “Anche il diavolo le ha” dissero. Ma pensavano: “Se ci ribelliamo, un giorno esso ci stermina con le sue corna”.
Scansa e scansa, videro un agnelletto grasso e bianco saltabeccare allegro su un prato verde, dando musate alla tonda mammella materna. Non aveva corna, ma aveva occhi miti come un cielo d’aprile. Era mansueto e semplice. Di tutto era contento. E dell’acqua di un piccolo rio dove beveva tuffando il musetto rosato; e dei fioretti dai diversi sapori che appagano l’occhio e il palato; e dell’erba folta in cui era bello giacere quando era sazio; e delle nuvole che parevano altri agnellini che scorrazzassero su quei prati azzurri, lassù, e lo invitassero a giocare correndo sul prato come esse nel cielo; e, soprattutto, delle carezze della mamma che ancora gli permetteva qualche tiepida succhiata leccandogli intanto il vello bianco con la sua rosea lingua; e dell’ovile sicuro e riparato dai venti, della lettiera ben soffice e fragrante, nella quale era dolce dormire presso la madre. “È di facile accontentatura. È senza armi né veleno. È ingenuo. Facciamolo re”. E tale lo fecero. E se ne gloriavano perché era bello e buono, ammirato dai popoli vicini, amato dai sudditi per la sua paziente mansuetudine.

8Passò del tempo e l’agnello divenne montone e disse: “Ora è tempo che io realmente governi. Ora ho il pieno possesso della cognizione della mia missione. Il volere di Dio, che ha permesso che io fossi eletto re, mi ha poi formato a questa missione, dandomi capacità di regnare. È dunque giusto che io la eserciti in modo perfetto, anche per non trascurare i doni di Dio”.
E vedendo sudditi che facevano cose contrarie alla onestà dei costumi, o alla carità, alla dolcezza, alla lealtà, alla morigeratezza, all’ubbidienza, al rispetto, alla prudenza, e così via, alzò la voce per ammonire. I sudditi si risero del suo belato saggio e dolce che non spauriva come il ruggito dei felini, né come lo strido degli avvoltoi quando si calano rapidi sulla preda, né come il sibilo del serpente e neppure come l’abbaiata del cane che incute timore.
L’agnello divenuto montone non si limitò più a belare. Ma andò dai colpevoli per ricondurli al loro dovere. Ma il serpente gli sguisciò fra le zampe. L’aquila si elevò a volo lasciandolo in asso. I felini con una zampata lo scansarono minacciando: “Vedi che cosa c’è nella zampa felpata che per ora ti scansa soltanto? Artigli”. I cavalli, e tutti i corridori in genere, si dettero a giostrare al galoppo intorno a lui, deridendolo. E i forti elefanti o altri pachidermi, con un urto del muso, lo gettarono qua e là, mentre le scimmie, dall’alto degli alberi, lo bersagliarono di proiettili.
L’agnello divenuto montone si inquietò, infine, e disse: “Non volevo usare né le mie corna né la mia forza. Perché io pure ho una forza in questo collo, e sarà presa a modello per abbattere ostacoli di guerra. Non volevo usarla perché preferisco usare amore e persuasione. Ma posto che non vi piegate con queste armi, ecco che userò la forza, perché se voi mancate al vostro dovere verso me e Dio, io non voglio mancare al mio dovere verso Dio e voi. Qui sono stato messo per guidarvi alla Giustizia e al Bene, da voi e da Dio. E qui voglio che Giustizia e Bene, ossia Ordine regnino”. E punì con le corna, leggermente perché era buono, un testardo botolo che continuava a molestare i vicini, e poi, col collo fortissimo, sfondò la porta della tana dove un ingordo ed egoista porco aveva accumulato cibarie a scapito degli altri, e pure abbatté il cespuglio di liane eletto da due lussuriosi scimmiotti per i loro illeciti amori.

9“Questo re si è fatto troppo forte. Vuole realmente regnare lui. Vuole proprio che si viva da saggi. Ciò non ci va a genio. Bisogna detronizzarlo” decisero.
Ma un astuto scimmiotto consigliò: “Non facciamolo altro che con l’apparenza di un motivo giusto. Altrimenti faremo brutta figura presso i popoli e saremo invisi a Dio. Spiamo dunque ogni azione dell’agnello divenuto montone per poterlo accusare con una parvenza di giustizia”.
“Ci penso io” disse il serpente. “Ed io pure” disse la scimmia. Uno strisciando fra le erbe, l’altra stando sull’alto delle piante, non persero mai di vista l’agnello divenuto montone, e ogni sera, quando lui si ritirava per riposare dalle fatiche della missione, e per meditare sulle misure da adottare e le parole da usare per domare la ribellione e vincere i peccati dei sudditi, questi, meno qualche raro onesto e fedele, si riunivano per ascoltare il rapporto delle due spie e dei due traditori. Perché tali erano anche.
Il serpente diceva al suo re: “Ti seguo perché ti amo e se vedessi che sei assalito voglio potere difenderti”. La scimmia diceva al suo re: “Come ti ammiro! Ti voglio aiutare. Guarda, da qua io vedo che oltre quel prato si sta peccando. Corri!”; e poi diceva ai compagni: “Anche oggi ha preso parte al banchetto di alcuni peccatori. Ha finto di andare là per convertirli, ma poi, in realtà, è stato complice dei loro bagordi”. E il serpente riferiva: “È andato fino fuori dal suo popolo, avvicinando farfalle, mosconi e viscidi lumaconi. È un infedele. Commercia con stranieri immondi”.
Così parlavano alle spalle dell’innocente, credendo che costui ignorasse. Ma lo spirito del Signore, che lo aveva formato alla sua missione, lo illuminava anche sulle congiure dei sudditi. Avrebbe potuto fuggire sdegnato, maledicendoli. Ma l’agnello era dolce ed umile di cuore. Amava. Aveva il torto di amare. E aveva quello anche più grande di perseverare, amando e perdonando, nella sua missione, a costo della morte, per compiere la volontà di Dio. Oh! che torti questi presso gli uomini! Imperdonabili! E tanto lo erano che a lui procurarono condanna.
“Sia ucciso per essere liberati dalla sua oppressione”. E il serpente si incaricò di ucciderlo perché è sempre il serpente il traditore…

10Questo è l’altro apologo. A te capirlo, popolo di Nazaret! Io, per l’amore che a te mi lega, ti auguro di rimanere almeno al grado di popolo ostile, e non oltre. L’amor della terra in cui venni bambino, in cui crebbi amandovi e avendo amore, mi fa dire a voi tutti: “Non siete più ostili. Non fate che la storia dica: ‘Da Nazaret venne il suo traditore e i suoi giudici iniqui’ ”.
Addio. Siate retti nel giudicare e costanti nel volere. La prima cosa tutti voi, miei concittadini. La seconda quelli fra voi che non sono disturbati da pensieri disonesti. Io vado… La pace sia con voi».
E Gesù, fra un silenzio penoso, rotto solo da due o tre voci che lo approvano, esce, mesto, a capo chino, dalla sinagoga di Nazaret.

11È seguito dagli apostoli. In coda a tutti sono i figli d’Alfeo. E i loro occhi non sono certo gli occhi di un agnello mansueto… Guardano severamente la folla ostile, e Giuda Taddeo non esita a piantarsi ritto di fronte al fratello Simone e a dirgli: «Credevo di avere un fratello più onesto e di carattere più forte».
Simone china il capo e tace. Ma l’altro fratello, spalleggiato da altri di Nazaret, dice: «Vergognati di offendere il fratello maggiore!».
«No. Mi vergogno di voi. Tutti voi. Non matrigna. Ma matrigna depravata è questa Nazaret per il Messia. Però udite la mia profezia. Piangerete tante lacrime da alimentare una fonte, ma non serviranno a lavare dai libri della storia il nome vero di questa città e di voi. Sapete quale è? “Stoltezza”. Addio».
Giacomo aggiunge un saluto più ampio con augurare luce di sapienza. Ed escono insieme ad Alfeo di Sara e a due giovanotti che, se ben li ravviso, sono i due asinai che scortarono gli asinelli usati per andare incontro a Giovanna di Cusa morente.

12La folla, rimasta interdetta, mormora: «Ma da dove mai costui ha tanta sapienza?».
«E i miracoli donde li fa? Perché farli, li fa. Tutta la Palestina ne parla».
«Non è il figlio di Giuseppe il legnaiolo? Tutti lo abbiamo visto, al banco del fabbro di Nazaret, fare tavole e letti, e aggiustare ruote e serrature. Non è neppure andato a scuola, e solo sua Madre gli fu maestra».
«Uno scandalo anche questo che nostro padre ha criticato» dice Giuseppe d’Alfeo.
«Ma anche i tuoi fratelli finirono la scuola con Maria di Giuseppe».
«Eh! Mio padre fu debole presso la moglie…» risponde ancora Giuseppe.
«Anche il fratello di tuo padre, allora?».
«Anche».
«Ma è proprio il figlio del legnaiuolo?».
«E non lo vedi?».
«Oh! Tanti si assomigliano! Io penso che sia uno che si dice tale ma non lo è».
«E dove è allora Gesù di Giuseppe?»
«Ti pare che sua Madre non lo conosca?».
«Qui ci sono i suoi fratelli e le sue sorelle, e tutti lo dicono parente. Non è forse vero, voi due?».
I due anziani figli di Alfeo annuiscono.
«Allora è divenuto folle o indemoniato, perché ciò che dice non può venire da un operaio».
«Bisognerebbe non ascoltarlo. La sua pretesa dottrina è delirio o possessione»…

13…Gesù è fermo sulla piazza in attesa di Alfeo di Sara che parla con un uomo. E, mentre attende, uno degli asinai che era rimasto presso la porta della sinagoga gli riporta le calunnie dette nella stessa.
«Non te ne addolorare. Un profeta generalmente non è onorato dalla sua patria e dalla sua casa. L’uomo è tanto stolto che crede che per essere profeti occorre essere quasi esseri sua fuori della vita. E i concittadini e i famigliari più di tutti conoscono e ricordano l’umanità del loro concittadino e parente. Ma la verità trionferà sempre. Ed ora ti saluto. La pace sia con te».
«Grazie, Maestro, di avere guarito mia madre».
«Lo meritavi perché hai saputo credere. È inerte il mio potere qui, perché qui non c’è fede. Andiamo, amici. Domani all’alba partiremo».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domenica 1 luglio 2018, XIII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 5,21-43.
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.
Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi
e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva».
Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia
e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando,
udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti:
«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».
E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?».
I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».
Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.
Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.
Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.
Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!».
Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 230 pagina 20.
Apparsa mentre prego molto stanca e crucciata e perciò proprio nelle peggiori condizioni per pensare a simili cose di mio. Ma stanchezza fisica, mentale e cruccio si sono dileguati al primo apparire del mio Gesù, e scrivo.

Egli è per una strada assolata e polverosa che bordeggia le rive del lago. Si incammina verso il paese circondato da gran folla che l’attendeva di certo e che gli si pigia attorno nonostante che gli apostoli lavorino di braccia e di spalle per fargli largo e alzino la voce per indurre la folla a lasciare un poco di posto.
Ma Gesù non è inquieto per tanta confusione. Più alto di tutta la testa di chi lo circonda, guarda con un dolce sorriso la turba che gli si stringe intorno, risponde ai saluti, accarezza qualche bambino che riesce a insinuarsi fra la siepe degli adulti e giunge a venirgli vicino, posa la mano sul capo degli infanti che le madri sollevano oltre il capo dei presenti perché Egli li tocchi. E cammina intanto. Lentamente, pazientemente in mezzo a questo vocio, e a queste continue pressioni che infastidirebbero chiunque.

2Una voce d’uomo grida «Fate largo, fate largo». È una voce affannata e deve essere conosciuta da molti e rispettata come quella di persona influente, perché la folla si apre, con molta fatica tanto è pigiata, e lascia passare un uomo sulla cinquantina tutto coperto da un vestone lungo e sciolto e con una specie di fazzoletto bianco intorno al capo e ricadente con le falde lungo il viso e il collo.
Giunto davanti a Gesù, si prostra ai suoi piedi e dice: «Oh! Maestro, perché sei stato via tanto tempo? La mia bambina è tanto malata. Nessuno la può guarire. Tu solo sei la speranza mia e della madre. Vieni, Maestro. Ti attendevo con un’ansia infinita. Vieni, vieni subito. La mia unica creatura sta morendo...» e piange.
Gesù posa la mano sul capo dell’uomo piangente, sul capo curvo e scosso dai singhiozzi, e gli risponde: «Non piangere. Abbi fede. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei. Alzati! Andiamo!». Queste due ultime parole hanno il tono d’imperio. Prima era il Consolatore. Ora è il Dominatore che parla.
Si rimettono in moto. Gesù ha al fianco il padre piangente e lo tiene per mano. Quando un singhiozzo più forte scuote il pover’uomo, vedo Gesù che lo guarda e gli stringe la mano. Non fa altro, ma quanta forza deve rifluire in un’anima quando si sente trattata così da Gesù!
Prima al posto del padre era Giacomo. Ma Gesù gli ha fatto cedere il posto al povero padre. Pietro è dell’altro lato. Giovanni è di fianco a Pietro e cerca con lo stesso di fare argine alla folla, come fa Giacomo e l’Iscariota dall’altro lato, dopo il padre piangente. Gli altri apostoli sono parte davanti e parte dietro a Gesù. Ma ci vuol altro! Specie i tre di dietro, fra cui vedo Matteo, non ce la fanno a tenere indietro la muraglia viva. Ma quando brontolano un po’ troppo e quasi quasi insultano la folla indiscreta, Gesù volge il capo e dice dolcemente: «Lasciate fare a questi miei piccoli!…».

3Ad un certo momento però si volge di scatto, lasciando anche andare la mano del padre, e si ferma. Si volge non solo col capo. Ma con tutto il corpo. Sembra anche più alto perché ha preso un atteggiamento da re. Col volto e lo sguardo fatto severo, inquisitore, scruta la folla. I suoi occhi hanno lampi, non di durezza ma di maestà.
«Chi mi ha toccato?» chiede. Nessuno risponde. «Chi mi ha toccato, ripeto» insiste Gesù.
«Maestro» rispondono i discepoli, «non vedi come la folla ti pigia da ogni lato? Tutti ti toccano, nonostante i nostri sforzi».
«Chi mi ha toccato per ottenere un miracolo, chiedo. Ho sentito potenza di miracolo uscire da Me perché un cuore l’invocava con fede. Chi è questo cuore?».
Gli occhi di Gesù si chinano due o tre volte, mentre parla, su una donnetta sulla quarantina, molto poveramente vestita e molto sciupata nel volto, la quale cerca di eclissarsi nella folla, di farsi inghiottire dalla calca. Quegli occhi le devono bruciare addosso. Comprende che non può sfuggire e torna avanti e gli si butta ai piedi, quasi col volto nella polvere, le mani protese che però non osano toccare Gesù.
«Perdono. Sono io. Ero malata. Dodici anni che ero malata! Sfuggita da tutti! Mio marito mi ha abbandonata. Ho speso tutto il mio avere per non essere considerata obbrobrio, per vivere come vivono tutti. Ma nessuno ha potuto guarirmi. Lo vedi, Maestro? Sono una vecchia anzi tempo. La forza è defluita da me col mio flusso inguaribile, e la mia pace con essa. M’han detto che Tu sei buono. Me l’ha detto uno che è stato guarito da Te della sua lebbra e che per essere stato tanti anni sfuggito da tutti non ha avuto schifo di me. Non ho osato dirlo prima. Perdono! Ho pensato che solo se ti avessi toccato sarei guarita. Ma non ti ho reso immondo. Ho appena sfiorato il lembo della tua veste là dove striscia al suolo, sulle lordure del suolo... Sono io pure lordura... Ma son guarita, che Tu sia benedetto! Nel momento che ti ho toccato la veste il mio male è cessato. Sono tornata come tutte. Non sarò più schivata da tutti. Mio marito, i miei figli, i parenti potranno stare con me, li potrò accarezzare. Sarò utile alla mia casa. Grazie, Gesù, Maestro buono. Che Tu sia benedetto in eterno!».
Gesù la guarda con bontà infinita. Le sorride. Le dice: «Va’ in pace, figlia. La tua fede ti ha salvata. Sii guarita per sempre. Sii buona e felice. Va’».

4Mentre parla ancora, sopraggiunge un uomo, direi un servo, il quale si rivolge al padre che è stato tutto quel tempo in una attesa rispettosa ma tormentosa come fosse sulla brace. «Tua figlia è morta. Inutile importunare più il Maestro. Il suo spirito l’ha lasciata e già le donne ne fanno i lamenti. La madre ti manda a dire ciò e ti prega di venire subito».
Il povero padre ha un gemito. Si porta le mani alla fronte e se la stringe comprimendosi gli occhi e curvandosi come fosse colpito.
Gesù, che pare non debba vedere e udire nulla, intento come è ad ascoltare e rispondere con la donna, si volge invece e pone la mano sulle spalle curve del povero padre. «Uomo, ti ho detto: abbi fede. Ti ripeto: abbi fede. Non temere. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei». E si incammina tenendo stretto a Sé l’uomo annichilito.
La folla, davanti a quel dolore e alla grazia già avvenuta, si ferma intimorita, si divide, lascia camminare speditamente Gesù e i suoi, e poi segue come scia la Grazia che passa.
Si fanno così un cento metri circa, forse più - non sono calcolatrice - e si entra sempre più al centro del paese.

5Un affollamento di gente è davanti ad una casa di civile condizione e commenta a voce alta e stridula l’accaduto, rispondendo a più alti stridi che escono dalla porta spalancata. Sono stridi trillati, acuti, tenuti su una nota monocorde, e sembrano diretti da una voce più acuta che fa da a solo, e alla quale rispondono prima un gruppo di voci più esili, poi un altro di voci più piene. Un baccano da far morire anche chi sta bene.
Gesù ordina ai suoi di sostare davanti all’uscio e chiama con Sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Entra con questi in casa tenendo sempre stretto per un braccio il padre piangente. Sembra voglia infondergli la certezza che Egli è lì per farlo felice, con quella stretta.
Le... piangenti (io le chiamerei: le urlatrici) nel vedere il capo di casa e il Maestro raddoppiano il gridio. Battono le mani, scuotono dei tamburelli, percuotono dei triangoli, e su questa... musica appoggiano i loro lamenti.
«Tacete» dice Gesù. «Non occorre piangere. La fanciulla non è morta, ma dorme».
Le donne gettano gridi più forti e alcune si rotolano per terra, si graffiano, si strappano i capelli (o meglio: ne fanno mostra) per mostrare che è proprio morta. I suonatori e gli amici scuotono il capo davanti all’illusione di Gesù. Loro la credono tale.
Ma Egli ripete un: «Tacete!» talmente energico che il baccano, se non cessa del tutto, diviene brusio. E passa oltre.

6Entra in una cameretta. Sul letto è stesa una fanciulla morta. Magra, pallidissima, ella giace già vestita e coi bruni capelli accomodati con cura. La madre piange presso quel lettino dal lato destro e bacia la cerea manina della morta.
Gesù... come è bello ora! Come poche volte l’ho visto! Gesù si accosta sollecito. Pare che scivoli sul pavimento, in volo, tanto si affretta a quel letticciuolo. I tre apostoli restano contro la porta che chiudono in faccia ai curiosi. Il padre si ferma ai piedi del letto.
Gesù va alla sinistra del lettuccio, tende la mano sinistra e prende con questa la manina abbandonata della morticina. La mano sinistra. Ho visto bene. È la mano sinistra tanto di Gesù che della bambina. Alza il braccio destro portando la mano aperta sino all’altezza della spalla e poi l’abbassa con l’atto di uno che giura o comanda. Dice: «Fanciulla, Io te lo dico. Alzati!».
Un attimo in cui tutti, meno Gesù e la morta, restano sospesi. Gli apostoli allungano il collo per vedere meglio. Il padre e la madre guardano con occhi straziati la loro creatura. Un attimo. Poi un sospiro alza il petto della morticina. Un lieve colore monta al visetto cereo e ne annulla le lividure di morte. Un sorriso si disegna sulle labbra pallide prima ancora che gli occhi si aprano, come la fanciulla facesse un bel sogno. Gesù le tiene sempre la mano nella sua mano. La bambina apre dolcemente gli occhi, li gira intorno come se si svegliasse allora. Vede per primo il volto di Gesù che la fissa coi suoi splendidi occhi e le sorride con bontà che incoraggia, e gli sorride.
«Alzati» ripete Gesù. E scosta con la sua mano gli apparati funebri che erano sparsi sul lettuccio e ai lati (fiori, veli, ecc. ecc.) e l’aiuta a scendere, le fa fare i primi passi tenendola sempre per mano.
«Datele da mangiare, ora» ordina. «Essa è guarita. Dio ve l’ha resa. Ringraziatelo. E non dite a nessuno ciò che è accaduto. Voi sapete che era avvenuto di lei. Avete creduto e avete meritato il miracolo. Gli altri non hanno avuto fede. Inutile cercare di persuaderli. A chi nega il miracolo Dio non si mostra. E tu, fanciulla, sii buana. Addio! La pace sia a questa casa». Ed esce rinchiudendo l’uscio dietro di Sè.
La visione cessa.

Le dirò che i due punti in cui essa mi ha particolarmente letificata sono stati quelli in cui Gesù cerca nella folla chi l’ha toccato e soprattutto quando, ritto presso la morticina, le prende la mano e le ordina di alzarsi. La pace, la sicurezza è entrata in me. Non è possibile che un Pietoso suo pari e un Potente non possa avere pietà di noi e vincere il Male che ci fa morire.
Gesù per ora non commenta, come non dice nulla su altre cose. Mi vede quasi morta e non giudica opportuno che io stia meglio questa sera. Sia fatto come Egli vuole. Sono felice abbastanza nell’avere in me la sua visione.


Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/