"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’,
ma leggetela e fatela leggere"

Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
Evangelo come mi è stato rivelato
Print Friendly and PDF

Domenica 21 Settembre 2014, XXV Domenica delle ferie del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 20,1-16a.
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Traduzione liturgica della Bibbia 
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 8 Capitolo 534 pagina 285. 
1La sinagoga dei romani è proprio all’opposto del Tempio, presso l’Ippico. Della gente è in attesa di Gesù. E quando è segnalato al principio della via, delle donne gli vengono incontro per prime. Gesù è con Pietro e il Taddeo. «Salve, Maestro. Io ti sono grata di avermi esaudita. Entri ora in città?». «No. Vi sono dall’ora di prima. Sono stato al Tempio». «Al Tempio? Non ti hanno insultato?». «No. L’ora era mattutina e la mia venuta ignorata». «Ti avevo fatto chiamare per questo... e anche perché qui sono dei gentili che vorrebbero sentirti parlare. Da giorni andavano al Tempio in tua attesa. Ma erano beffati, e minacciati anche. Ieri c’ero anche io ed ho capito che ti si attende per insultarti. Ho mandato uomini a tutte le porte. Con l’oro tutto si ottiene...». «Io ti sono riconoscente. Ma non posso non salire al Tempio, Io, Rabbi d’Israele. Queste donne chi sono?». «La mia liberta Tusnilde. Barbara due volte, Signore. Delle foreste di Teotuburgo. Una preda di quelle imprudenti avanzate che tanto sangue hanno costato. Mio padre la regalò a mia madre, ed ella a me, alle mie nozze. Dai suoi dèi ai nostri. Dai nostri a Te, perché essa fa ciò che io faccio. È buona tanto. Le altre donne sono mogli ai gentili che ti attendono. Di ogni regione. Per lo più sofferenti. Venute con le navi dei mariti». «Entriamo nella sinagoga...». Il sinagogo, ritto sulla soglia, si inchina e si presenta: «Matatia Siculo, Maestro. A Te lode e benedizione». «La pace a te». «Entra. Chiudo la porta per rimanere tranquilli. Tanto è l’odio che i mattoni sono occhi e le pietre orecchie per osservarti e denunciarti, Maestro. Forse sono meglio costoro che, purché non si tocchino i loro interessi, ci lasciano fare», dice il vecchio sinagogo camminando a fianco di Gesù per condurlo, oltre un piccolo cortile, in una vasta stanza che è la sinagoga. 

2«Guariamo prima i malati, Matatia. La loro fede merita premio», dice Gesù. E passa da donna a donna imponendo le mani. Alcune sono sane ma è sofferente il figliolino che hanno fra le braccia, e Gesù guarisce il figliolino. Una è una bambina paralizzata completamente e, guarita che è, grida: «Sitaré ti bacia le mani, Signore!». Gesù, che era già passato avanti, si volge sorridendo e interroga: «Sei sira?». La madre spiega: «Fenicia, Signore. Di oltre Sidone. Siamo sulle rive del Tamiri. Ed ho altri dieci figli e due altre figlie, una di nome Sira a l’altra Tamira. E vedova è Sira, pur essendo poco più che fanciulla. Tanto che, libera di sé, si è stabilita presso il fratello, qui nella città, e ti è seguace. Lei ci ha detto che Tu puoi tutto». «Non è con te?». «Sì, Signore. Là è. Dietro quelle donne». «Vieni avanti», comanda Gesù. La donna si inoltra timorosa. «Non devi temere di Me se mi ami», la conforta Gesù. «Ti amo. Per questo ho lasciato Alessandroscene. Perché pensavo che ti avrei sentito ancora e... avrei imparato ad accettare il mio dolore...». Piange. «Quando sei rimasta vedova?». «Alla fine del vostro adar... Se Tu ci fossi stato, Zeno non sarebbe morto. Egli lo diceva... perché ti aveva sentito e credeva in Te». «E allora non è morto, o donna. Perché chi crede in Me vive. 

3Non è questo giorno in cui vive la carne la vera vita. La vita è quella che si ottiene credendo e seguendo la Via, la Verità, la Vita, e operando secondo la sua parola. Anche se fosse il credere e seguire per poco tempo, e operare per poco tempo, presto troncato dalla morte del corpo, anche fosse per un solo giorno, una sola ora, Io te lo dico in verità che quella creatura non conoscerà più morte. Perché il Padre mio e di tutti gli uomini non calcolerà il tempo trascorso nella mia Legge e Fede, ma la volontà dell’uomo di vivere sino alla morte in quella Legge e Fede. Io prometto la vita eterna a chi crede in Me e opera secondo ciò che dico, amando il Salvatore, propagando questo amore, praticando nel tempo che gli è concesso i miei insegnamenti. Gli operai della mia vigna sono tutti quelli che vengono e dicono: “Signore, accoglimi fra i tuoi operai”, e in quella volontà restano finché il Padre mio non giudica terminata la loro giornata. In verità, in verità vi dico che vi saranno operai che avranno lavorato un’ora sola, la loro ultima ora, e che avranno premio più pronto di quelli che avranno lavorato sin dalla prima ora, ma sempre con tiepidezza, spinti al lavoro unicamente dall’idea di non meritare l’inferno, ossia dalla paura del castigo. Non è questo il modo di lavorare che il Padre mio premia con una gloria immediata. Anzi, a questi calcolatori egoisti, che hanno premura di fare il bene e quel tanto di bene che è sufficiente per non darsi eterna pena, il Giudice eterno darà lunga espiazione. Dovranno imparare a loro spese, con una lunga espiazione, a darsi uno spirito alacre in amore, e in amore vero, tutto volto alla gloria di Dio. E ancora vi dico che in futuro molti saranno, specie fra i gentili, coloro che saranno gli operai di un’ora e anche di men di ora, che diverranno gloriosi nel mio Regno perché in quell’unica ora di rispondenza alla Grazia, che li avrà invitati ad entrare nella vigna di Dio, avranno raggiunto la perfezione eroica della carità. Sta’ dunque di buon animo, donna. Tuo marito non è morto, ma vive. Non è perduto per te, ma unicamente separato per qualche tempo da te. Ora tu, come una sposa non ancor entrata nella casa dello sposo, devi prepararti alle vere nozze immortali con colui che piangi. Oh! felici nozze di due spiriti che si sono santificati e che si ricongiungono in eterno là dove non è più separazione, né tema di disamore, né pena; là dove gli spiriti giubileranno nell’amore di Dio e reciproco! La morte per i giusti è vera vita, perché nulla può più minacciare la vitalità dello spirito, ossia la sua permanenza nella Giustizia. Non piangere e rimpiangere ciò che è caduco, o Sira. Alza il tuo spirito e vedi con giustizia e verità. Dio ti ha amata salvando il tuo consorte dal pericolo che le opere del mondo rovinassero la sua fede in Me». «Tu mi hai consolata, o Signore. Vivrò come Tu dici. Che Tu sia benedetto e con Te il Padre tuo, in eterno».

4Il sinagogo, mentre Gesù fa per passare avanti, dice: «Posso farti un’obbiezione, senza che ciò ti paia offesa?». «Parla. Sono qui Maestro per dare sapienza a chi mi interroga». «Tu hai detto che taluni diverranno subito gloriosi in Cielo. Non è chiuso il Cielo? Non stanno i giusti nel Limbo in attesa di entrarvi?». «Così è. Il Cielo è chiuso. E non sarà aperto che dal Redentore. Ma la sua ora è venuta. In verità ti dico che il giorno della Redenzione già albeggia ad oriente e presto sarà pieno. In verità ti dico che non verrà altra festa dopo questa, prima di quel giorno. In verità ti dico che già Io forzo le porte, essendo già in cima del monte del mio sacrificio... Il mio sacrificio già preme sulle porte dei Cieli perché è già in azione. Quando sarà compiuto, ricordalo, o uomo, si apriranno le sacre cortine e le celesti porte. Perché Jeové non sarà più presente con la sua gloria nel debir, e inutile sarà mettere un velo fra l’Inconoscibile ed i mortali, e l’Umanità che ci ha preceduto e che fu giusta ritornerà là dove era destinata, col Primogenito alla testa, già completo in carne e spirito, ed i suoi fratelli nella veste di luce che avranno sinché anche le loro carni saranno chiamate al giubilo».

5Gesù prende il tono cantante, proprio di quando un sinagogo o un rabbi ripete parole bibliche o salmi, e dice: «Ed Egli mi disse: “Profetizza a queste ossa e di’ loro: ‘Ossa aride, ascoltate la parola del Signore... Ecco! Io infonderò in voi lo spirito e vivrete. Metterò sopra di voi i nervi, farò crescere su voi le carni, stenderò la pelle, vi darò lo spirito e vivrete e saprete che sono il Signore... Ecco! Io aprirò le vostre tombe... vi trarrò dai sepolcri... Quando avrò infuso in voi il mio spirito, avrete vita e vi farò riposare sopra la terra che è vostra’ ”». Riprende il modo di parlare suo abituale e riabbassa le braccia che aveva stese in avanti, e dice: «Due sono queste risurrezioni di ciò che è arido, morto alla vita. Due, adombrate nelle parole del profeta. La prima è la risurrezione alla Vita e nella Vita, ossia nella Grazia che è Vita, di quanti accolgono la Parola del Signore, lo Spirito generato dal Padre, che è Dio come il Padre di cui è Figlio, e che Verbo si chiama, il Verbo che è Vita e dà la Vita. Quella Vita di cui tutti hanno bisogno, e ne è privo Israele come i gentili. Ché, se per Israele sino ad ora era sufficiente, per aver l’eterna Vita, sperare e attendere la Vita veniente dal Cielo, d’ora innanzi per aver vita Israele dovrà accogliere la Vita. In verità vi dico che quelli del mio popolo che non accolgono Me‑Vita non avranno Vita, e la mia venuta sarà per loro cagione di morte, perché avranno respinto la Vita che veniva a loro per comunicarsi. L’ora è venuta in cui Israele sarà diviso fra quelli vivi e quelli morti. È l’ora dello scegliere, e del vivere o morire. La Parola ha parlato, ha mostrato la sua Origine e Potenza, ha guarito, insegnato, risuscitato, e presto avrà compiuto la sua missione. Non c’è più scusa per quelli che non vengono alla Vita. Il Signore passa. Passato che è, non torna. Non è tornato in Egitto a ridare vita ai figli primogeniti di coloro che lo avevano schernito e oppresso nei suoi figli. Non tornerà neppur questa volta, dopo che l’immolazione dell’Agnello avrà deciso le sorti. Coloro che non mi accolgono prima del Passaggio, e che mi odiano e odieranno, non avranno il mio Sangue a santificazione sul loro spirito, e non vivranno, e non avranno il loro Dio con loro per il resto del pellegrinaggio sulla Terra. Senza la divina Manna, senza la nube protettiva e luminosa, senza l’Acqua veniente dal Cielo, privi di Dio, andranno vagando per il vasto deserto che è la Terra, tutta la Terra, tutta un deserto se per chi la percorre manca l’unione col Cielo, la vicinanza del Padre e Amico: Dio. E vi è una seconda risurrezione, quella universale, nella quale le ossa calcinate e disperse da secoli torneranno fresche e coperte di nervi, carni e pelle. E il Giudizio sarà. E la carne e il sangue dei giusti giubilerà con lo spirito nell’eterno Regno, e la carne ed il sangue dei dannati soffrirà con lo spirito nell’eterno castigo. Io ti amo, o Israele; Io ti amo, o Gentilesimo; Io ti amo, o Umanità! E per questo amore vi invito alla Vita e alla Risurrezione beata». Gli adunati nella vasta sala sono come affascinati. Non vi è distinzione fra lo stupore degli ebrei a quello di altri, di altri luoghi e religioni. Anzi, direi che i più reverentemente stupiti sono gli stranieri.

6Uno, un vecchiotto dignitoso, mormora fra i denti. «Che hai detto, o uomo?», chiede Gesù volgendosi. «Ho detto che... Mi ripetevo le parole sentite in giovinezza dal mio pedagogo: “È concesso all’uomo con la virtù salire a perfezione divina. Nella creatura è il bagliore del Creatore, che tanto più si disvela quanto più l’uomo nobilita se stesso nella virtù, quasi consumando la materia nel fuoco della virtù. Ed è concesso all’uomo di conoscere l’Ente il quale, almeno una volta nella vita di un uomo, o con severo o con paterno aspetto, si mostra alla creatura perché essa possa dire: ‘Devo esser buono. Me misero se tale non sarò! Poiché un Potere immenso ha balenato a me davanti per farmi comprendere che la virtù è dovere ed è segno della nobile natura dell’uomo’. Troverete questo bagliore della Divinità talora nel bello della natura, talaltra nella parola del morente, o anche nello sguardo di un infelice che vi guarda e giudica, o nel silenzio della persona amata che tacendo rimprovera una vostra azione disonorevole, lo troverete nello spavento di un bambino davanti ad una vostra violenza, o nel silenzio delle notti mentre siete soli con voi stessi e, nella stanza più chiusa e solitaria, avvertirete un altro Io, ben più potente del vostro, che vi parla con un suono senza suono. E quello sarà il Dio, questo Dio che deve essere, questo Dio che il Creato adora anche senza forse sapere di farlo, questo Dio che, Unico, veramente soddisfa il sentimento degli uomini virtuosi, che non si sentono saziati e consolati per le nostre cerimonie e le nostre dottrine, né davanti alle are vuote, ben vuote, nonostante che una statua le sovrasti”. So bene queste parole, perché da molti lustri le ripeto come mio codice e mia speranza. Ho vissuto, lavorato, e anche sofferto e pianto. Ma tutto ho sopportato, e spero con virtù, sperando di incontrare prima della morte questo Dio che Ermogene mi aveva promesso che avrei conosciuto. Ora io mi dicevo che veramente io l’ho visto. E non come un baleno, non come un suono senza suono ne ho sentito la parola. Ma in una serena e bellissima forma d’uomo mi è apparso il Divino, ed io l’ho sentito e sono ripieno di uno stupore sacro. L’anima, questa cosa che i veri uomini ammettono, l’anima mia ti accoglie, o Perfezione, e ti dice: “Insegnami la tua Via e la tua Vita e la tua Verità, perché un giorno io, uomo solitario, mi ricongiunga con Te, suprema Bellezza”». «Ci ricongiungeremo. E ancor ti dico che, più tardi, ricongiunto sarai con Ermogene». «Ma è morto senza conoscerti!». «Non è la conoscenza materiale l’unica necessaria per possedermi. L’uomo che per sua virtù giunge a sentire il Dio ignoto e a vivere virtuoso in omaggio a questo Dio, ben si può dire che ha conosciuto Dio, perché Dio si è rivelato a lui, a premio del suo vivere virtuoso. Guai se fosse necessario di conoscermi di persona! Presto più alcuno non avrebbe modo di riunirsi a Me. Perché, Io ve lo dico, presto il Vivente lascerà il regno dei morti per tornare al Regno della Vita, né più gli uomini avranno altro modo di conoscermi che per la fede e lo spirito. Ma, anziché arrestarsi, la conoscenza di Me si propagherà, e perfetta, perché priva di tutto ciò che è pesantezza di senso. Dio parlerà, Dio opererà, Dio vivrà, Dio si svelerà agli animi dei suoi fedeli con la sua inconoscibile e perfetta Natura. E gli uomini ameranno il Dio‑Uomo. E il Dio‑Uomo amerà gli uomini coi mezzi nuovi, con gli ineffabili mezzi che il suo infinito amore avrà lasciato sulla Terra prima di tornarsene al Padre dopo aver tutto compiuto».

7«Oh! Signore! Signore! Dicci dunque come potremo trovarti e conoscere che Tu sei che ci parli e dove sei, dopo che te ne sarai andato!», esclamano in diversi. E alcuni proseguono: «Noi siamo gentili e non sappiamo il tuo codice. Tempo non abbiamo da restare qui a seguirti. Come faremo per avere quella virtù che fa meritevoli di conoscere Dio?». Gesù sorride, luminosamente bello nella felicità di queste sue conquiste nel gentilesimo, e dolcemente spiega: «Non preoccupatevi di sapere molte leggi. Verranno costoro (e pone le mani sulle spalle di Pietro e del Taddeo) a portare la mia Legge nel mondo. Ma finché non saranno venuti, abbiate a norma di legge le seguenti poche frasi nelle quali è tutta compendiata la mia Legge di salute. Amate Dio con tutto il vostro cuore. Amate le autorità, i parenti, gli amici, i servi, il popolo, e anche nemici, come amate voi stessi. E per essere sicuri di non peccare, prima di fare ogni azione, sia che vi venga comandata o che sia spontanea, chiedetevi: “Amerei che ciò che sto per fare a costui mi fosse fatto?”. E se sentite che non lo amereste, non lo fate. Con queste semplici linee voi potete tracciare in voi la via per la quale verrà Dio a voi e voi andrete a Dio. Perché nessuno amerebbe che un figlio gli fosse ingrato, che uno lo uccidesse, che un altro lo derubasse o gli levasse la sposa o disonorasse la sorella o la figlia o gli usurpasse la casa, i campi, o i servi fedeli. Con questa regola sarete buoni figli e buoni genitori, buoni mariti, fratelli, negozianti, amici. Perciò sarete virtuosi, e Dio verrà a voi.

8Io ho intorno a Me non solo ebrei e proseliti nei quali non è malizia, voglio dire venuti a Me non per cogliermi in fallo, come fanno coloro che vi hanno cacciati dal Tempio perché non veniste alla Vita. Ma anche gentili di ogni parte del mondo. Vedo cretesi e fenici misti con abitanti del Ponto e della Frigia, e vi è uno delle spiagge dove s’apre lo sconosciuto mare, via a sconosciute terre dove pure sarò amato. E vedo greci con siculi e cirenaici con asiatici. Ebbene, Io vi dico: andate! Dite nei vostri paesi che la Luce è nel mondo e che vengano alla Luce. Dite che la Sapienza ha lasciato i Cieli per farsi pane agli uomini, acqua agli uomini languenti. Dite che la Vita è venuta a risanare e risuscitare ciò che è malato o morto. E dite... dite che il tempo scorre rapido come un baleno estivo. Chi ha desiderio di Dio venga. Il suo spirito conoscerà Dio. Chi ha desiderio di guarigione venga. La mia mano, finché sarà libera, darà guarigione a quelli che l’invocano con fede. Dite... Sì! Andate, e andate solleciti, a dite che il Salvatore attende coloro che aspettano e desiderano un superno aiuto alla Pasqua, nella Città santa. Ditelo a quelli che hanno bisogno e anche a quelli che sono semplicemente curiosi. Dal movimento impuro della curiosità può scaturire per essi la scintilla della fede in Me, della Fede che salva. Andate! Gesù di Nazaret, il Re d’Israele, il Re del mondo, chiama a raccolta le rappresentanze del mondo per dar loro i tesori delle sue grazie a averli testimoni della sua assunzione, che lo consacrerà trionfante, per i secoli dei secoli, Re dei re e Signore dei signori. Andate! Andate! Nell’alba della mia terrena vita, da punti diversi, vennero le rappresentanze del popolo mio ad adorare il Pargolo nel quale l’Immenso si celava. Il volere di un uomo, che si credeva potente ed era un servo del volere di Dio, aveva ordinato il censo nell’Impero. Ubbidendo ad uno sconosciuto e inderogabile ordine dell’Altissimo, quell’uomo pagano doveva farsi il banditore di Dio che voleva tutti gli uomini di Israele, sparsi in ogni parte della Terra, nella terra di questo popolo, presso Betlem Efrata, a stupire dei segni venuti dal Cielo al primo vagito di un Nato. E ancor non bastando, altri segni parlarono ai gentili, e la rappresentanza di essi venne ad adorare il Re dei re piccolo, povero, lontano dalla sua incoronazione terrena, ma già, oh! ma già Re al cospetto degli angeli. È venuta l’ora in cui sarò Re al cospetto dei popoli. Re, prima di ritornare donde vengo. Nel tramonto del mio giorno terreno, nella mia sera d’Uomo, giusto è che qui siano uomini di ogni popolo a vedere Colui che va adorato e nel quale si cela tutta la Misericordia. E fruiscano i buoni, le primizie di questa messe nuova, di questa Misericordia che si aprirà come nube di nisam per gonfiare i fiumi delle acque salutari, atti a fare fruttiferi gli alberi piantati sulle rive, come si legge in Ezechiele».

9E Gesù riprende a sanare i malati e le malate, e ne raccoglie i nomi, perché ora tutti vogliono dire il loro: «Io Zilla... Io Zabdì... Io Gail... Io Andrea... Io Teofane... Io Selima... Io Olinto... Io Filippo. Io Elissa... Io Berenice... Mia figlia Gaia... Io Argenide... Io... Io... Io...». Ha finito. Vorrebbe andare. Ma quanto lo pregano di restare, di parlare ancora! E uno, forse guercio perché tiene un occhio coperto da una benda, dice, per trattenerlo ancora: «Signore, io fui colpito da uno, geloso dei miei buoni commerci. Mi salvai la vita a stento. Ma un occhio si perse, crepato dal colpo. Ora il mio rivale è divenuto povero e malvisto, ed è fuggito in un paese presso Corinto. Io son di Corinto. Che dovrei fare per costui che per poco mi uccise? Non fare agli altri ciò che a me non piacerebbe ricevere, sta bene. Ma io da costui ho già ricevuto... e del male; male molto...», ed è espressivo tanto il suo volto che si legge su esso il pensiero non detto: «e perciò dovrei dargli la rivalsa...» . Ma Gesù lo guarda, con una luce di sorriso nell’occhio zaffireo, sì, ma con dignità di Maestro in tutto il volto, e dice: «E tu, della Grecia, me lo chiedi? Non hanno forse detto i vostri grandi che i mortali divengono simili a Dio quando rispondono ai due doni che loro concede Iddio per farli simili a Lui, e che sono: poter essere nella verità e beneficare il prossimo?». «Ah! sì! Pitagora!». «E non hanno detto che l’uomo si avvicina a Dio non con la scienza e il potere o altro, ma col fare del bene?». «Ah! sì! Demostene! Ma, scusa, Maestro, se te lo chiedo... Tu non sei che un ebreo, e gli ebrei non amano i nostri filosofi... Come Tu sai queste cose?». «Uomo, perché Io ero Sapienza ispiratrice nelle intelligenze che pensarono quelle parole. Io sono là dove il Bene è in atto. Tu, greco, ascolta i consigli dei saggi, nei quali consigli Io ancora parlo. Fa’ il bene a chi ti ha fatto del male, e sarai detto santo da Dio. Ed ora lasciatemi andare. Ho altri che mi attendono. Addio, Valeria. E non temere per Me. Non è ancora la mia ora. Quando sarà l’ora, neppure tutti gli eserciti di Cesare potranno far argine ai miei avversari». «Salve, Maestro. E prega per me». «Perché la pace ti possieda. Addio. La pace a te, sinagogo. La pace ai credenti e a coloro che tendono alla pace». E con un gesto che è saluto e benedizione esce dalla sala, traversa il cortile ed esce nella via...
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

1 commento:

  1. Nei Vangeli chi lavora fa generalmente una brutta figura: Pietro quando pesca non prende pesci, il figlio prodigo avrà lavorato al massimo una settimana, chi costruisce una torre gli cade in testa, nella parabola dei talenti l'unico che lavora a sotterrare il talento e lo sorveglia viene punito, ecc.... Anche chi lavora per il Regno sembra ricadere nella stessa logica. Pur lavorando, meno si lavora meglio è, sembrerebbe. Non solo la paga è la medesima, ma gli ultimi perdono anche meno tempo per essere pagati. Probabilmente la vera ricompensa in questo caso è insita nella possibilità e nell'avere accettato di lavorare per il Regno. In questo caso a guadagnare di più sono stati quelli che vi hanno dato più ore. Si spiegherebbe così l'apparente scortesia di pagare prima gli ultimi e poi i primi. I primi rimangono più tempo nel regno, non capendolo diventano ultimi. Cfr. ebook/book. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

    RispondiElimina